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Da Tato a Morandi: cento (grandi) artisti bolognesi del Novecento in mostra

Tato (Guglielmo Sansoni), Marciare non marcire, s.d., olio su tavola, 35 x 45 cm
Tato (Guglielmo Sansoni), Marciare non marcire, s.d., olio su tavola, 35 x 45 cm

Martedì 18 giugno inaugura la mostra “Paesaggi emiliani” curata da Sandro Malossini, con una selezione di 30 dipinti di paesaggio eseguiti da pittori bolognesi appartenenti alla Collezione Martelli. Il volume Collezione Martelli – Cento artisti bolognesi del Novecento (2024), a cura di Claudio Spadoni, con i contributi critici dello stesso Spadoni, di Francesca Sinigaglia – che ha studiato la genesi e l’evoluzione della raccolta – e della studiosa Daniela Bellotti, è un regesto completo delle 440 opere di pittura e scultura realizzate da artisti dell’ambito felsineo, facenti parte della raccolta. Il catalogo è stampato in un’edizione di pregio con copertina rigida e pubblica le immagini a colori di tutte le opere, a cui si aggiungono accurate schede bio-bibliografiche. La Collezione Martelli è unica nel suo genere perché offre una panoramica vasta e completa della grande arte bolognese dalla metà dell’Ottocento fino a tutto il Novecento. La raccolta evidenzia una passione collezionistica di lungo corso, che ha toccato le vite private e professionali della famiglia bolognese Martelli che, con amore e dedizione, nel corso di due generazioni ha riunito un nucleo significativo di dipinti e sculture che documentano l’arte del territorio a cavallo di due secoli e oltre.

Subito dopo la presentazione, aprirà al pubblico la mostra “Paesaggi emiliani”, a cura di Sandro Malossini, con una selezione di 30 dipinti di paesaggio della Collezione Martelli realizzati da pittori bolognesi, tra cui la prima incisione di Giorgio Morandi, che offre uno spaccato sullo sviluppo della pittura emiliana tra la metà dell’Ottocento e il pieno Novecento. La mostra proseguirà fino al 5 luglio (ingresso libero, lunedì – venerdì, h. 9-18). Il percorso di mostra si apre con la tela di Luigi Bertelli (1833-1916), L’abbeverata, (1890) che illustra bene l’incontro tra due mondi: quello rurale e contadino, simboleggiato dalle imponenti figure dei buoi, e quello industriale, che si evince dalla presenza di fumi sullo sfondo. Il paesaggio trova poi ulteriore sviluppo nelle poetiche di Flavio Bertelli (1858-1938) e di Augusto Majani (1867-1959) esponenti locali del Divisionismo italiano: in mostra si possono ammirare I fiori sui monti (1920) e L’aratura (1930), fino a Nino Bertocchi (1900-1956), di cui viene presentata l’opera Casolare (1927) ambientata nelle terre verso Monzuno, località immortalata anche da Ferruccio Giacomelli (1897-1987), Guido Bugli (1912-2003) e Aldo Borgonzoni (1913-2004). Di Bugli è rappresentativa l’opera Ottobre, mentre di Borgonzoni è in mostra il dipinto Giornata grigia (la curva di Pianoro). Entrambe le tele sono del 1934. Percorsi fuori e dentro le mura cittadine si delineano anche nelle opere di altri artisti, come Norma Mascellani (1909-2009) di cui è esposta Viale Aldini (1948) opera iconica con cui l’artista si distinse a livello nazionale identificandosi nelle proposte del Secondo Futurismo degli anni Trenta, fino a Giardini Margherita (1957), per arrivare allo Chalet (1955) ormai “destrutturato” di Sergio Vacchi (1925-2016). Garzia Fioresi (1888-1968) è presente in rassegna con l’opera Via Orefici (anni ’20), caratterizzata dalle luci dei lampioni che illuminano la strada e il retro di Palazzo Ronzani; mentre è ambientato in Piazza Maggiore, alle luci dell’alba, il dipinto La processione (1957) di Arnaldo Gentili (1890-1983), fino ad arrivare alla Processione delle orfanelle di Fabio Fabbi (1861-1945). Le opere di Guglielmo Pizzirani (1886-1971), Ilario Rossi (1911-1994) e di Pompilio Mandelli (1912-2006) immortalano l’antico Santuario di San Luca, per tutti i bolognesi “sinonimo di casa”, da sempre variamente ritratto, nei secoli, dagli artisti del territorio. Chiudono il percorso due incisioni di Giorgio Morandi (1890-1964) Il Ponte sul Savena a Bologna (1912) e I Pioppi (1930), gli alberi più comuni del territorio bolognese, resi però internazionali, allora come oggi, dalla poetica di «ricognizione del mondo di natura» del pittore di via Fondazza.

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