Dal 13 al 16 giugno 2024 (con preview 11-12) è in scena Art Basel, la fiera più importante del mondo. Nonostante l’annata complicata per il mercato dell’arte, l’evento ha già fatto registrare alcune vendite significative. Eccole.
Nella Messeplatz non si può che respirare elettricità. Il sole riflette sull’acciaio chiaro degli edifici; tram colorati tagliano le vie che circondano la piazza; giornalisti e collezionisti si affrettano a recuperare i badge per entrare in fiera; i curiosi cercano di decifrare il senso di Honoring Wheatfield, installazione di Agnes Denes che porta l’erba alta sul cemento di Basilea. Visto dall’alto, tutti con le bag nere di Art Basel firmate Zegna, il sistema dell’arte rischia di assomigliare a un formicaio, un brulichio di strette di mano e chiacchiere che accompagna l’esposizione del meglio che il mercato ha da offrire. Un circo, dall’altro lato della strada, è fuori luogo fino a un certo punto: sembra ricordarci di non prendersi mai troppo sul serio.
Anche perché, all’interno, le aspettative vengono rispettate, ma senza i fuochi d’artificio segretamente agognati. I 285 espositori, legittimamente intimoriti da un contesto storico ed economico che non invita ad azzardi, hanno infatti optato per scelte conservative, sia in termini di nomi (grandi artisti consolidati) sia in termini di presentazione (gli stand sono ben curati, ma senza slanci estetici sensibili a errori). Non è il momento di osare o andare troppo per il sottile: l’importante è vendere, alla curatela e alla ricerca ci penserà poi, giustamente, qualcun altro. Vediamo allora cosa si è venduto in queste poche ore di fiera, le prime e le più importanti, dove spesso, se c’è da comprare l’opera clamorosa, la si compra in questo momento. E anche questa volta alla fine la si è comprata.
Il pezzo più caro di Art Basel, quest’anno (almeno per ora), non è un Rothko da 50 milioni come nel 2023 da Acquavella, ma il dittico Sunflowers (1990-91) di Joan Mitchell, venduto da David Zwirner, prima di pranzo, per 20 milioni di dollari. Passaggio di mano che certifica una volta di più il momento di crescita e attenzione dedicata all’astrattista, la quale sembra incarnare il perfetto compromesso per gli investimenti di grossa taglia in una cornice storica complessa: storicizzata ma non inflazionata, costosa ma non impossibile (si parla di ultra-milionari, ça va sans dire), con buone possibilità di crescita e poche di sgonfiarsi. Non a caso il suo record in asta (45,2 milioni di dollari) risale al mese scorso. A puntare su di lei, a pochi stand di distanza, anche Mnuchin, con un dittico più piccolo dell’artista, Girasoli del 1991, ceduto al prezzo di 7,5 milioni di dollari. Tornando a Zwirner, altre due le vendite da segnalare: Abstraktes Bild (Abstract Painting), 2016, di Gerhard Richter (6 milioni di dollari) e Aspiring to Pumpkin’s Love, the Love in My Heart, 2023, di Yayoi Kusama (5 milioni di euro). Quest’ultima è una delle opere che compongono Unlimited, la sezione di Art Basel dedicata alle installazioni fuori scala.
Da Pace protagonista un’altra artista astratta, Agnes Martin, il cui Untitled #20 (1974), in offerta per 12,5 milioni di dollari, è stato venduto sul finire della giornata. Meno indecisione per un disegno senza titolo del 1946-47 di Arshile Gorky, che con i 16 milioni di dollari necessari per acquistarlo al momento è la vendita più alta di Hauser e Wirth. Attenzione però a una grande tela di Philip Guston che potrebbe superarla nei prossimi giorni. Già venduta invece, Survival (1989) di Jenny Holzer, esposta in Unlimited. L’acquirente dovrebbe essere un non precisato museo asiatico.
Può dirsi soddisfatta della prima giornata anche White Cube, che presenta uno degli stand più interessanti in fiera. Tanto che sono già state due le vendite notevoli per la galleria che ha sede a Hong Kong, Seoul, Londra, New York, West Palm Beach e Parigi. La prima è un intricato e ipnotico inchiostro e polimeri su tela di Julie Mehretu (Untitled 2, 1999), venduto per 6.75 milioni di dollari. 4.5 milioni di dollari sono stati sufficienti, si fa per dire, per acquistare Clowns Travel Through Wires, 2013, di Mark Bradford. Che alla fine è tutto una sorta di circo, dopotutto, l’avevamo già ipotizzato.