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La Gallleriapiù annuncia la chiusura, dopo 10 combattivi anni di ricerca

Courtesy Gallleriapiù
Courtesy Gallleriapiù

L’annuncio è stato diffuso oggi dalla galleria attraverso una mail che ne spiegava le ragioni, e un articolo di Emanuela Zanon “Cosa ha rappresentato GALLLERIAPIU per la scena artistica italiana (e che cosa ci dice la sua chiusura)” pubblicato sul magazine di settore Juliet, che riportiamo in versione integrale qui sotto.

«A volte ritirarsi, “decrescere” e sconfessare i termini capitalistici del successo è la strategia migliore per lanciare un segnale sincero e per vivere meglio. Trovo la chiusura di GALLLERIAPIÙ meravigliosamente espressiva, un crollo in scena, un modo per esprimere un’emozione che sarebbe falsata se decidessi di proseguire».  (Veronica Veronesi, fondatrice di GALLLERIAPIÙ)

«GALLLERIAPIÙ chiude la sua sede espositiva in via del Porto a Bologna: la notizia serpeggiava già da qualche tempo e la sua conferma si configura come l’ennesima radicale presa di posizione della fondatrice Veronica Veronesi. La gallerista, che negli ultimi dieci anni si è sempre impegnata ad aprire fronti di discussione sul sistema dell’arte, con questo gesto ci porta a riflettere su quanto all’interno di tale sistema il monopolio delle brand galleries finisca per spegnere le visioni non allineate con le tendenze del mercato. Il processo era già (ancora inconsapevolmente) in atto quando per festeggiare il primo decennio di attività a dicembre 2023 la galleria aveva preso alla sprovvista il suo pubblico sospendendo la normale attività espositiva a favore di un programma transdisciplinare di talk, performance, laboratori, live set e screening.  La rassegna, intitolata OFF GALLLERIAPIÙ, per tre mesi ha offerto al pubblico tre appuntamenti settimanali incentrati sulle nuove tecnologie, i linguaggi e le sottoculture digitali, analizzati come catalizzatori di un’interrogazione sovversiva: «Cosa significa essere uno spazio espositivo quando il concetto stesso di spazio è infinitamente espandibile, digitalizzabile, algoritmicamente programmabile? Cosa significa essere l’anello tra la produzione artistica e il mercato quando quest’ultimo crea sistematicamente asimmetrie? È possibile resistere in questo sistema e proteggere gli artisti, i lavoratori, la ricerca in modo da offrire una proposta culturale e continuare a creare materia vibrante?». Questi dubbi, una volta esplicitati in un dichiarato cortocircuito del concetto di white cube, sono diventati materiale incandescente. Quando ciò che sta sottotraccia si ribella e sbaraglia l’ordine costituito facendone deflagrare il rimosso, le risposte non convincenti confermano le contraddizioni e non è più possibile tornare indietro, da qui la decisione di decrescere e ritirarsi».

 

 

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