“Molto nel piccolo”: benvenuti al Museo Burel di Belluno, due stanze dedicate all’arte contemporanea – oggi occupate dalla mostra “Still Life” dell’artista Sean Donovan – che stupiscono per freschezza e energia
Domenica. Abbiamo voglia di vedere una mostra, qualcosa di contemporaneo, che ci incuriosisca, e magari sorprenda. Ed eccoci, mia moglie ed io, quasi di buon’ora, salire in auto per visitare un museo di arte contemporanea che ha aperto da pochi anni e ancora non conosciamo. Per chi vive in provincia come noi, questa premessa implica quasi sempre un viaggio in una città più grande, una metropoli in cui ci sono le mostre o le istituzioni importanti. Potremmo andare a Venezia, in questi mesi letteralmente costipata dalla Biennale d’Arte e da tutto quello ad essa collegato, o Milano, sempre ricca di cose da vedere, o Bologna, Firenze… e invece scegliamo di andare in una città di provincia addirittura più piccola della nostra: Belluno.
La nostra meta è il Museo Burel, aperto per iniziativa della (giovane) curatrice Daniela Zangrando. È un posto strano, e bello, è composto di due stanze, una piccola e una piccolissima. Ospita la mostra “Still Life” dell’artista americano Sean Donovan (giovane anche lui, 1987) che propone una serie di vasi (o urne) realizzate fondendo bossoli di armi da fuoco – sui canali social del Museo si trovano tutte le informazioni necessarie. All’entrata veniamo accolti da una giovane donna che custodisce la mostra, è sorridente, informata, appassionata, ci racconta dell’esposizione, di Daniela e Sean, delle opere, del museo, della città. La mostra è bella, formalmente affascinante, con argomenti sociali e storici declinati in un discorso non pedante o dimostrativo; ed molto equilibrata, perfetta per uno spazio così difficile perché piccolo, in cui facilmente si può eccedere facendolo somigliare a un bazar.
Ci intratteniamo per un po’, respiriamo la freschezza che emana dal luogo: freschezza umana, freschezza di intenzioni, freschezza di sguardi. Per noi, spettatori provinciali, abituati all’aria condizionata che si respira nelle sale bianche e ovattate dei grandi musei – quelli con la fila per il biglietto e la fila alla cassa del book shop – è una freschezza insolita, come d’aria naturale. Ci rendiamo conto che non sempre c’è bisogno di andare in un grande museo, uno di quelli progettati da qualche archistar, per scoprire cose di qualità e che questa, l’ineffabile “qualità” – l’ingrediente inseguito, rivendicato, a volte millantato dai direttori dei grandi musei e dai curatori delle grandi mostre, sempre a caccia di grandi sponsor che investano grandi somme in eventi di grande qualità – si manifesta solo quando ci sono quelle cose strane e rare che si chiamano “idee”, come in questo caso.
Il “sistema” dell’arte è un meccanismo complesso, con centri d’attrazione molto forti attorno ai quali si muovono una moltitudine di realtà, più o meno ufficiali, da cui sprigiona un’energia reale sebbene spesso impercepita, forse perché poco raccontata. Un’energia che, di fatto, per me, nutre il “sistema” e gli permette di macinare i grandi eventi, quelli con i grandi numeri, così amati dai direttori e dagli assessori. Ecco, domenica abbiamo incrociato uno di questi generatori di energia, e chissà quanti luoghi così ci sono in giro per l’Italia, sarebbe bello scoprirne altri e respirare ancora l’aria fresca del Museo Burel.
Per finire, chioso con un motto latino che riassume bene la nostra visita domenicale: multum in parvo, molto nel piccolo.