Abbiamo incontrato Emma Helene Moriconi in occasione della sua prima personale a New York curata da Delfina Pattacini. Dal 7 giugno al 20 luglio, alla Galerie Timonier, la Moriconi trae il titolo della sua mostra dalle “Manifestazioni del viaggio” di Etel Adnan: “Tu ed io siamo fatti da un legno marcio” esprime l’incarnazione fisica della condizione umana non diversa dall’agenzia dei fiumi, dei vulcani e delle foreste. Illumina la vita irradiata nel nostro sistema nervoso e nelle profondità degli ambienti microbiologici e geologici.
Raccontaci un po’ del tuo lavoro
Utilizzo principalmente la pittura e il disegno, per creare mondi intimi e incontri con ambienti microscopici, scientifici e biologici invisibili a occhio nudo. La mia pratica è interdisciplinare e si incrocia tra l’antropologia, la biologia, le scienze e discipline umanistiche. (Dai disegni telescopici della luna di Galileo alle illustrazioni microscopiche di Robert Hooke). Intreccio delle connessioni dalla storia della scienza, immagini tecniche e indago come le pratiche di visualizzazione, documentazione e categorizzazione della natura hanno plasmato le percezioni e la comprensione della natura attraverso la pittura e il disegno principalmente. Integro la pittura tradizionale ad olio su lino, o con la tela di cotone, a volte con pigmenti naturali e su superfici organiche non sempre intelaiate. Quelle che io chiamo sottostorie, figure emergono dalle composizioni di organismi viventi e non viventi, dai batteri intestinali ai terreni geologici e ai composti minerali, con colori e pigmenti riconoscibili e altamente fantasiosi
Hai sempre saputo che volevi diventare un artista? C’era un momento in cui hai saputo che volevi essere un’artista?
Quasi come un rinnegato, ho sempre fatto le cose in modi non convenzionali e ho creato la mia strada. Il percorso per me ha sempre avuto perfettamente senso. Sono estremamente curioso. Ho interessi poliedrici e interdisciplinari che a volte mi spingono in direzioni che potrebbero sembrare opposte, ma è grazie a queste curiosità e passioni interdisciplinari che hanno reso il mio lavoro ricco e più stratificato secondo me. Non scegliendo un percorso accademico lineare solo del disegno e la pittura al liceo e all’università, mi considero anche un artista in gran parte autodidatta. Lungo il percorso ho raccolto le mie cose che mi hanno insegnato cosa devo fare e come farlo. Mi interessavano i disegni anatomici e le tecniche pittoriche, ma ballavo anche, cantavo e facevo teatro. Cercavo il mio modo di espressione. Ho imparato a creare una pratica di arte visiva in un modo indipendente, poiché i miei corsi d’arte in studio da adolescente erano in gran parte autogestiti, con un insegnante presente principalmente per guida e supporto di ricerca e di come pensare profondamente al mondo, piuttosto che per imporre pratiche tecniche specifiche. È stato qui che ho iniziato a chiedermi che tipo di lavoro visivo volevo realizzare, quali questioni più ampie volevo indagare sul mondo intorno a me e come potevo usare i dipinti di nature morte e disegni anatomici per andare ben oltre…Per me, essere autodidatta riguarda il modo in cui ho sperimentato le cose da sola, anche se ho avuto molti mentors, insegnanti e professori influenti lungo il percorso. Ho definito da sola l’arte che voglio fare e l’artista che voglio essere attraverso le mie esperienze. Non perché avessi preso 10 o il voto più altro nelle lezioni d’arte, ma poiché spingevo costantemente me stessa, perseguendo i miei obiettivi e valutando i miei progressi, nessuno mi stava tracciando la strada. Sapevo che ci sarebbe stato un modo di esprimere tutto questo attraverso un linguaggio pittorico e visivo ma dovevo solo capire come.
Il tuo lavoro tocca diverse discipline, dall’antropologia alla biologia. Puoi parlarci un po’ di questa pratica interdisciplinare in relazione ai tuoi dipinti e al tuo lavoro?
Non ho fatto un “BFA” (una laurea in belle arti) ma ho scelto di seguire un corso chiamato World Arts and Cultures perché mi ha permesso di combinare l’arte con questioni sociali e politiche, indagini storiche, visive e antropologiche e una forte ricerca accademica. Ho anche studiato all’estero in Italia, seguendo corsi di antropologia, architettura e storia dell’arte, che mi hanno portata ad aggiungere una laurea in italiano. Ciò mi ha permesso di trovare un collegamento tra i miei interessi artistici e accademici – dalle opere d’arte del XX secolo al cinema e alla letteratura come atti di resistenza artistica, sociale e politica. Sono sempre stato fortemente interessata alla questione di una narrativa, la narrazione, ai temi della rappresentazione, e alle questioni relative alle origini biologiche e culturali: cioè quale storia, quale narrativa viene raccontata e in che modo, e con quale scopo? Questo background interdisciplinare ha creato una base per studiare l’antropologia visiva, analizzare tessuti contestualizzati e provenienti da diverse parti del mondo, e i coloranti e pigmenti provenienti da tutto il mondo, perché è come mai si usano certi metodi e colori e tessuti in un posto piuttosto che un altro, e indagare le dinamiche di potere riguardanti la collezione museale occidentale, l’azione individuale o collettiva e chi ha “l’agency” di raccontare una storia e soprattutto di chi è quella storia. Questo è stato il catalizzatore che mi ha ispirata a studio in biennio/master in Arti Visive e Studi Curatoriali presso la NABA di Milano, e mi ha portata a questo momento oggi.
Mentre studiavo a Milano, ho stabilito un framework concettuale per la mia ricerca attraverso i corsi, vari workshop e residenze. Ho iniziato a esplorare le attività collettive delle creature del suolo e dei microrganismi come funghi, spore e batteri, ho iniziato a creare il mio linguaggio visivo che rendesse tangibili queste forme di vita attraverso l’uso di un palette vibrante e inaspettato, non tradizionalmente associato a questi soggetti. Sono curiosa delle connessioni che abbiamo con questi colori e le loro connotazioni.
C’è stato un momento specifico che è stato catalizzatore di questa svolta nel tuo lavoro?
Ho iniziato a pensare all’intima relazione con i nostri corpi su scala macroscopica e geologica durante una residenza a Cittadellarte, Fondazione Pistoletto nel 2021. Cittadellarte è un laboratorio di arte e creatività fondato nel 1998 dall’artista dell’Arte Povera Michelangelo Pistoletto in un’industria tessile dismessa situata sul fiume Cervo a Biella, Italia. Sono stata invitata da una docente NABA, Beatrice Catanzaro, a partecipare alla residenza. Abbiamo tenuto conferenze e workshop con artisti e curatori affermati e rinomati a livello internazionale, tra cui Michelangelo Pistoletto, Jonas Staal, Leone Contini e Chto Delat. Questa è stata la prima residenza artistica a cui ho partecipato e ha profondamente plasmato la mia pratica e il mio approccio alla ricerca. La filosofia di Pistoletto mi ha incoraggiato a interagire direttamente con l’ambiente circostante, i bacini e l’ecosistema vulcano-sedimentario alpino. Ho introdotto nuovi materiali, composizioni minerali ed elementi site-specific direttamente nel mio lavoro utilizzando pietre vulcaniche locali, pigmenti grezzi, coloranti naturali e seta organica per rappresentare la linea di faglia geologica e le caratteristiche tettoniche del territorio. Le mie passeggiate lungo il fiume Cervo e la sperimentazione con coloranti, pigmenti e materiali naturali hanno influenzato un avanzamento della mia pratica artistica, che abbraccia un quadro geologico e politico più ampio, mettendo in discussione la posizione e la mia connessione personale con il mondo fisico intorno a me. Sia dagli ambienti viventi che da quelli non viventi.
Qual è stato il catalizzatore o il momento specifico che ha ispirato questa specifica fascinazione per un approccio microbiologico e scientifico al tuo lavoro? Quando hai capito che volevi concentrarti sulla tua arte a tempo pieno e a lungo termine?
Quando ero al liceo, la mia insegnante d’arte si sedette di fronte alla classe e ci disse che non avrebbe perso tempo insegnandoci come disegnare le ombre o mischiare i colori, ma c’erano video su YouTube. ciò che era importante era lo scopo della nostra ricerca: le domande che guidano le nostre indagini nei percorsi e nella ricerca interdisciplinare in cui stavamo dedicando il nostro tempo, alla fondazione del nostro lavoro, della nostra arte visiva e di ciò che cercavamo di dire. Non era necessariamente politico o radicato nel fare una dichiarazione o una presa di posizione, ma si trattava di interrogarsi, essere curiosi e osservare diversi metodi visivi come il materiale come metafora o scala ecc. e come questi strumenti ci avrebbero aiutato a vedere ciò che volevamo indagare sulla nostra domanda di ricerca ed è stato in questo momento che ho capito che volevo esprimere ed esplorare le origini e l’essenza delle cose che ci rendono non solo dal mio punto di vista umano, ma guardando a livello atomico delle cellule, che ci compongono. Volevo capire meglio la questione della “natura” rispetto all’educazione e di come gli ambienti possono avere un impatto su chi sei, su chi diventi, sulla nostra DNA, mentre imparavo cos’erano i genotipi e fenotipi nelle mie lezioni di biologia al liceo. Usando i microscopi nei nostri laboratori, ero affascinata sicuramente, ma non sapevo in quel momento questo sarebbe stato un percorso più lungo, però sapevo che stava stravolgendo una parte di me.
Due anni fa vivevi a Milano e avevi appena finito di studiare Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA – Cosa ti ha spinta a decidere di fare un salto e trasferirti a New York?
sentivo un tale senso di urgenza di concentrarmi sulla mia arte come carriera e dovevo almeno provarci. Questo è stato il momento cruciale. Stavo cercando possibilità e opportunità e quando ho visitato New York mi è sembrato il momento e il posto giusto. C’è qualcosa nella confusione e negli aspetti straordinariamente pieni e stimolanti della città che ti fanno sentire come se potessi farlo anche tu. A nessuno importa, ma se ci tieni è tutto ciò che conta.
Qual è il tema o il concept e la visione della tua prima mostra personale a New York?
Per la mia prima mostra personale a New York, è stato fondamentale per me unire la mia ricerca nel curatoriale, biologico e antropologico, con un linguaggio visivo e pittorico in cui i dipinti diventano qualcosa che diventa ed esiste su il loro. Oggetti, materia, concetti e materiali sono posti sotto osservazione e ispezione visiva per riconoscere temporalità e processi sovrapposti e dalle parti biologiche, geologiche e profondamente intime di noi stessi. Come appaiono e come si sentono queste relazioni fisiche? Come posso evocare la sensazione di essere messo sotto osservazione e collegarlo a un livello emotivo umano?
Ho scoperto la pratica scientifica comune di colorare i vetrini dei campioni per aumentare la visualizzazione dell’oggetto sotto osservazione, mi si è aperto un mondo di possibilità. Spesso, questi campioni colorati e le immagini microscopiche risultanti vengono colorati tramite software e editing grafico ma non rivelano informazioni sui campioni stessi. I dipinti diventano fantasiosi e poetici. Il concept Radicato in lavori precedenti che esplorano il significato, il valore, l’agency di esseri viventi e non viventi, oggetti messi in mostra e soggetti a gerarchie e categorizzazioni, questa nuova serie di lavori presenta un paesaggio intimo di organi, viventi e non, una topografia visiva che traccia sia il corpo interno che quello esterno. Mi interessano i paesaggi e gli ecosistemi che contengono e, di fatto, prosperano grazie all’interazione di specie diverse, alla dipendenza delle specie l’una dall’altra, a questa idea di storie congiunte e connesse. Desidero riflettere anche sul dolore, sul piacere, sulla crescita e sul disagio di tutto ciò e tradurlo in un linguaggio visivo. Non è più solo il “nostro” mondo.
Mentre realizzavo questo lavoro, ho dovuto sottopormi a numerosi esami medici e ho avuto qualche problema di salute che mi ha portata ad analizzare numerose radiografie ed ecografie di parti del mio corpo, un interno che non visualizziamo o consideriamo quotidianamente. Realizzare questo lavoro, come la mia prima mostra personale a New York, è stato quasi curativo, poiché considero le opere come corpi vivi, in divenire, in via di sviluppo e in trasformazione. È un processo lungo con la pittura a olio, quello che considero un push-pull, un processo di stratificazione e l’asciugatura come tutti sappiamo con la pittura a olio, tutto da ripetere più e più volte per ottenere il risultato desiderato. I dipinti non sono specificatamente concepiti come dittici o trittici ma sono concettualmente uniti tra loro. Questo push-pull e il modo in cui interagisco con le mie superfici e i miei materiali è interessante, quasi come se fossi in questo scambio avanti e indietro con la porosità e l’assorbimento di una superficie rispetto a un’altra, quanto colore prende e assorbe.
Quali sono alcune delle influenze teoriche e dei testi che informano il tuo lavoro (e come si manifesta nel tuo lavoro?)
Anna Tsing e Donna Haraway sono state una fonte fondamentale di conoscenza e ispirazione, evidenziando come possiamo immaginare un’umanità impegnata a livello ambientale in cui altre forme di vita sono ovunque, coinvolte nel dare forma a tutto, con socialite più che umane realizzate con o nonostante chiaramente interazioni umane formulate. Anche le cose che non sono vive sono sociali, si costituiscono in relazione con gli altri, reagiscono; sono trasformati. Non c’è motivo di non estendere la teoria sociale alle rocce e ai fiumi. “Sviluppiamo continuamente nuovi modi per conoscere gli altri, estendendo i nostri modi di vivere e conoscere. Siamo partecipanti così come osservatori; ricreiamo la sensibilità interspecie in ciò che facciamo. Non identifichiamo semplicemente i non umani come altri statici, ma impariamo ulteriormente loro e noi stessi in azione, attraverso attività comuni”. (34) — Anna Tsing, More-than-Human Sociality: A Call for Critical Description (© 2013 Taylor & Francis).
Solo con l’emergere dell’ecologia nella seconda metà del XIX secolo i sistemi organici – costituiti da individui in rapporti cooperativi e competitivi – completarono le concezioni basate sull’individuo delle scienze della vita. “Le scoperte hanno messo profondamente in discussione la visione generalmente accettata degli “individui”. La simbiosi sta diventando un principio fondamentale della biologia contemporanea e sta sostituendo una concezione essenzialista di “individualità” con una concezione congruente con l’approccio sistemico più ampio che ora spinge le scienze della vita in direzioni diverse. Queste scoperte ci conducono in direzioni che trascendono le dicotomie sé/non sé e soggetto/oggetto che hanno caratterizzato il pensiero occidentale” (Tauber 2008a,b). — [“A Symbiotic View of Life: We Have Never Been Individuals Author(s): Scott F. Gilbert, Jan Sapp and Alfred I. Tauber. The Quarterly Review of Biology, Vol. 87, No. 4 (December 2012), The University of Chicago Press]
Gran parte dei soggetti del mio lavoro riguarda questi sviluppi, queste interazioni tra elementi che non sono solo umani – come la relazione simbiotica tra funghi e alghe – i licheni, che sono alcuni degli elementi chiave che scompongono le rocce a livello molecolare, livello minerale, nel corso di secoli di tempo. L’idea del tempo per me è fondamentale. Mi aiuta a non pensare in modo individualistico e a guardare alla reale sovrapposizione delle scale temporali e della durata della vita. Desidero tradurre come gli stessi minerali nel nostro corpo siano gli stessi minerali nelle grotte calcificanti o i batteri nell’intestino umano si trovino nei ruminanti e nei mammiferi così come nel suolo. Oppure prendiamo ad esempio i funghi e le loro spore che vivono e resistono a condizioni estreme di calore, che molti organismi viventi non potrebbero mai.
Potresti parlarci del titolo “ tu ed io siamo fatti di un legno tarlato?” (you and i are made from a worm-eaten wood?)
Stavo leggendo “Manifestations of the Voyage” della poetessa, saggista e pittrice libanese-americana Etel Adnan che riflette su questa idea del viaggio continuo della vita, i suoi racconti personali sono intrecciati con momenti complessi di violenza, guerra e disastro naturale . In “Manifestations of the Voyage”, da cui prende il titolo la mostra, Adnan ha questo modo di dare letteralmente vita a questi momenti e aspetti ordinari del mondo che ci circonda. Penso che ci sia una bellissima eco tra le sue parole e il mio linguaggio visivo, sebbene i dipinti non siano stati direttamente ispirati dalla scrittura di Adnan. Penso che questo sia legato in un certo senso anche al mio desiderio di raccontare una storia attraverso il mio spettacolo. Raccontare una storia che non sia una narrazione con una trama prestabilita, un inizio, una parte centrale e una fine, ma raccontare una storia e invitare lo spettatore a immaginare e considerare questa rete intricata di organismi, a rallentare il tempo e lo spazio e a riflettere su forse l’ambiente circostante.
Qual è il prossimo passo ora che hai aperto il tuo primo solista a New York?
Sono entusiasta di partecipare ad alcuni prossimi progetti, sia a New York che in Italia. Ci sarà una mostra collettiva da C L E A R I N G, New York, con altri artisti davvero straordinari. A settembre avrò una mostra personale a Milano in un bellissimo spazio e residenza, Villa Clea – dove sono curiosa di vedere come posso continuare a esplorare questo senso di intimità nei dipinti e invitare lo spettatore nelle mie opere in un ambiente quasi domestico, non essendo una galleria tradizionale a pareti bianche. Poi parteciperò ad un’altra mostra collettiva a Venezia, con la Galleria Barbati, con alcune artiste fantastiche principalmente con sede a New York e in California. Sarà divertente portare questi dialoghi a Venezia e a milano, alle mie radici.
ENGLISH
Tell us a little about your work
I use primarily painting and drawing, installation, and video to create intimate worlds and encounters with microscopic, scientific, and biological environments invisible to the naked eye. My practice is interdisciplinary and cross-informed from anthropology, biology, the sciences, and the humanities. (From Galileo’s telescopic moon drawings to Robert Hooke’s microscopic illustrations). I weave together connections from the history of science, technical imagery, and how practices of visualizing, documenting, and categorizing nature have shaped perceptions and understandings of nature primarily through painting, but sometimes with video and objects.I integrate traditional oil painting on stretched linen, cotton, and burlap canvas with natural pigments on unprimed and unstretched, organic surfaces. What I call understories, figures emerge from the compositions of living and non-living organisms, from intestinal bacteria to geological terrains and mineral compounds, with both recognizable and highly imaginative colors and pigments.
Did you always know you wanted to be an artist? (Something along these lines..)
As almost a renegade, I have done things in unconventional manners and paved my path. Although my path can seem all over the place and almost distracting, it has always made perfect sense to me. I am extremely curious. I have multifaceted and interdisciplinary interests that sometimes pull me in what might seem opposing directions, but it is thanks to these curiosities and interdisciplinary passions that have made my work rich and more layered. By not choosing a singular or linear path from drawing and painting courses in high school and college, I am a largely self-taught artist. I picked up my things along the way that have taught me what I need to do, and how to do them. I was interested in anatomy drawings, and painting techniques, but I also danced, sang, and did theater. I learned to spearhead my visual art practice independently, as my studio art courses as a teenager were largely self-led, with a teacher primarily there for guidance and support rather than imposing specific technical practices. It was here that I began asking myself what kind of visual work I wanted to make, what larger questions I wanted to investigate, and how I could go far beyond still-life paintings or charcoal shading drawings. For me, being self-taught is about how I have experienced things on my own, although I did have many influential mentors, teachers, and professors along the way. I have made my self-definition of the art I want to make, and the artist I want to be through my experiences. Not because I got A’s in my studio art classes, but because I was constantly pushing myself, going after my own goals, and grading my progression, no one was mapping the way for me.
Your work touches on a few different disciplines, from anthropology to biology. Can you talk a little bit about this interdisciplinary practice in connection to your paintings and work?
I did not pursue a BFA but I chose to study in a program called World Arts and Cultures because it allowed me to combine art with social and political issues, historical, visual and anthropological investigations and strong academic research. I also studied abroad in Italy, taking courses in anthropology, architecture, and art history, which led me to double major in Italian studies. This allowed me to bridge my artistic and academic interests spanning from 20th-century artworks to film and literature as acts of artistic, social, and political resistance. I was always ferociously interested in the narrative, themes of representation, and questions of biological and cultural origins. This interdisciplinary background laid the foundation to study visual anthropology analyze textiles, dyes, and pigments from around the world, and investigate power dynamics concerning the Western museum collection, individual vs collective agency, and who really gets to tell who’s story. This was the catalyst that all inspired me to pursue an MA in Visual Arts and Curatorial Studies at NABA, Milan, and brought me to where I am exactly today.
While studying in Milan, I established the conceptual framework for my research through various workshops and residencies. I started to explore the collective activities of soil creatures and microorganisms like fungi, spores, and bacteria, I began creating a visual language that made these forms of life tangible through the use of an unexpected vibrant palette not traditionally associated with these subjects.
Was there a specific moment that was a catalyst for this turn in your work?
I began thinking about the intimate relationship with our bodies on the macroscopic and geologic scale while doing a residency at Cittadellarte, Fondazione Pistoletto in 2021. Cittadellarte is an art and creativity laboratory founded in 1998 by the Arte Povera artist Michelangelo Pistoletto in a disused textile mill by the river Cervo in Biella, Italy. I was invited by a NABA professor, Beatrice Catanzaro, to participate in the residency. We had visiting lectures and workshops with internationally established and renowned artists and curators including Michelangelo Pistoletto, Jonas Staal, Leone Contini, and Chto Delat. This was the first artist residency I participated in and it deeply shaped my practice and approach to research. Pistoletto’s philosophy encouraged me to directly engage with my surroundings of the Alpine volcano-sedimentary basins and ecosystem. I brought new materials, mineral compositions, and site-specific elements directly into my work by using local volcanic stones, raw pigments, natural dyes, and organic silk to represent the territory’s geologic fault line and tectonic features. My walks along the River Cervo, and experimentation with natural dyes, pigments, and materials, set the foundation for artistic practice moving forward, encompassing a larger geological and political framework to it, questioning positionality, location, and my personal connection to the literal and physical world around me. From both the living and non-living environments.
What was the catalyst or Aha moment that inspired this specific fascination with a microbiological and scientific approach to your work? When did you know that you wanted to focus on your art full-time, and long-term?
When I was in high school my art teacher sit in front of the class and told us she wasn’t gonna waste any time teaching us how to draw shadows or blend colors they were YouTube videos forgot there were so many online materials but what was important was the purpose of our research the questions that were guiding our investigations in the paths and interdisciplinary research that we were dedicating our time to the foundation of our work of our visual art and what we were trying to Say. It wasn’t necessarily political or rooted in making a statement or stance but it was about questioning and being curious and looking at different visual methods like material as a metaphor or scale etc. and how these tools would help us see what we wanted to stay or investigate our research question and it was in this moment where Where I realized that I wanted to express and explore The origins and essence of the things that make us not just for me human standpoint but looking at an atomic level of the cells that make us up, but also this question of nature versus nurture and how environments can also have an impact on who you are as learning about genotypes and phenotypes in my high school biology classes And Looking at microscopes in our labs, I was fascinated but didn’t know at the time that this was going to be a path and the path I am on now, but I did know it was tugging on some part of me.
Two years ago you were living in Milan and had just finished studying Visual Arts and Curatorial Studies at NABA – What made you decide to make the leap and move to New York?
I felt such a sense of urgency to focus on my art as a career and I had to try at least. This was the pivotal moment. I was searching for possibilities and opportunities and when I visited New York it just felt right. There is something about the commotion and overwhelmingly full and over-stimulating aspects of the city that just make you feel like you can do it too. No one cares, but if you care that is all that matters.
What is the topic/concept/vision of your first solo show in NY?
For my first solo show in New York, it was fundamental to me to bring together my foundational research that spans from the curatorial, the biological, and the anthropological, with a visual and pictorial language in which the paintings become something that becomes and exists on their own. Objects, matter, concepts, and materials, are placed under observation and visual inspection to recognize overlapping temporalities and processes and from the biological, the geological, and the deeply intimate parts of ourselves. What do these physical relationships look and feel like? How can I evoke sensations of then being placed under observation as well as connect that to a human emotional level?
When I learned of the scientific common practice of dying specimen slides to heighten the visualization of the object under observation, a world of possibilities was opened to me. Commonly, these dyed specimens as well as the resulting microscopic images are colorized through software and graphic editing but do not reveal information about the specimens themselves. The paintings become imaginative and poetic. Rooted in previous works that explore the meaning-hood, value, the agency of living and non-living beings, objects placed on display and subjected to hierarchies and categorizations — this new body of work presents an intimate landscape of organs, living and non, a visual topography that traces both the internal and external body. I am interested in landscapes and ecosystems that contain and in fact, thrive off of the interaction of different species, the dependence of species on one another, on this idea of conjoined and connected histories. I desire to reflect also on the pain, pleasure, growth, and discomfort of this and translate that into a visual language. It’s not just “our” world anymore.
While making this body of work, I had many medical examinations and health issues that led me to analyze numerous x-rays and ultrasounds of parts of my inner body that we do not visualize or let alone think about daily. Making this work, as my first solo show in NY, has been healing, as I consider the works as alive, becoming, developing, and transforming bodies. Its a long process with oil painting, what I consider a push-pull, a layering and drying process as we all know of with oil painting, all to just repeat it over and over again to get the desired result. The paintings are not specifically conceived of as diptychs or triptychs but they are joined together conceptually. This push-pull and how I am interacting with my surfaces and materials is interesting almost as if I am in this back-and-forth exchange with the porosity and absorption of one surface over another, how much color it takes and soaks up.
What are some of the theoretical influences and texts that inform your work (How does that show up in your work?)
Anna Tsing and Donna Haraway have been a fundamental source of knowledge and inspiration highlighting how we can imagine an environmentally engaged humanity in which other forms of life are everywhere, involved in shaping everything, with more-than-human socialites made with or despite of clearly formulated human interactions. Things that are not alive are social too, they are constituted in relations with others, they react; they are transformed. There is no reason not to extend social theory to rocks and rivers. “We are continually developing new ways to learn about others, extending our ways of living and knowing. We are participants as well as observers; we recreate interspecies sensibilities in what we do. We don’t just identify non-humans as static others, we further learn them and ourselves in action, through common activities.” (34) — Anna Tsing, More-than-Human Sociality: A Call for Critical Description (© 2013 Taylor & Francis).
Only with the emergence of ecology in the second half of the 19th century did organic systems—comprised of individuals in cooperative and competitive relationships— complement the individual-based conceptions of the life sciences. “Discoveries have profoundly challenged the generally accepted view of “individuals.” Symbiosis is becoming a core principle of contemporary biology, and it is replacing an essentialist conception of “individuality” with a conception congruent with the larger systems approach now pushing the life sciences in diverse directions. These findings lead us into directions that transcend the self/nonself, subject/object dichotomies that have characterized Western thought” (Tauber 2008a,b). — [“A Symbiotic View of Life: We Have Never Been Individuals Author(s): Scott F. Gilbert, Jan Sapp and Alfred I. Tauber. The Quarterly Review of Biology, Vol. 87, No. 4 (December 2012), The University of Chicago Press]
Much of the subject matter of my work is looking at these developments, these interactions between elements that aren’t only human – like the symbiotic relationship between fungi and algae – lichens that are some of the key elements that break down rocks to the molecular, mineral level, over centuries of time. The idea of time is fundamental to me. It helps me not think individualistically, and look at the real overlap of time scales, and life spans. I desire to translate how the same minerals in our body are the same minerals in calcifying caves or the bacteria in human intestines are found in ruminants and mammals as well as in the soil. Or take fungi and their spores that live and withstand extreme conditions of heat for example, that many living organisms could never.
Can you talk about the title you and i are made from a worm-eaten wood?
I was reading “Manifestations of the Voyage” by Lebanese-American poet, essayist, and painter, Etel Adnan who reflects on this idea of the ongoing journey of life, her personal accounts are interwoven with complex moments of violence, war, and natural disaster. In “Manifestations of the Voyage”, from which the exhibition takes its title, Adnan has this way of literally breathing life into these ordinary moments and aspects of the world around us. I think there ia a beautiful echo between her words and my visual language, although the paintings were not directly inspired by Adnan’s writing. I think that this also relates in a way to my desire to tell a story through my show. To tell a story that is not a narrative with a set plot, a beginning, middle, and end – but to tell a story and invite the viewer to imagine and consider this entangled web of organisms, to slow time and space, and reflect on their surroundings perhaps.
What’s next now that you have opened your first solo in NYC?
I am really excited to be in some upcoming shows, both in NY and Italy. I am looking forward to the summer annual group show at C L E A R I N G, New York with some other really amazing artists. I will be having a solo show in Milan in September with a beautiful space called Villa Clea – where I am curious to see how I can continue exploring this sense of intimacy in the paintings and inviting the viewer into my works in an almost domestic setting that isn’t a traditional white-walled gallery. Then I am going to be in another great group show in Venice, with Barbati Gallery with some kick-ass female artists, mainly based in NY and CA. So it will be really fun to bring our practices to Venice in November.