Dal prossimo 29 giugno al 30 settembre, il Palais Fesch-musée des Beaux-Arts de la Ville d’Ajaccio spalanca le porte a una mostra intitolata Bologna nell’età dei Lumi. Arte e scienza, tra realtà e teatro. Il Settecento a Bologna iniziò con la fondazione dell’Istituto delle Scienze e dell’Accademia Clementina, frutto dell’ingegno del Generale Luigi Ferdinando Marsili, con il sostegno di intellettuali ispirati dall’Illuminismo e l’approvazione del Senato.
Entrambe le istituzioni godettero della protezione di Papa Clemente XI, il sovrano che riportò la città all’ovile della Chiesa. Mentre l’Istituto delle Scienze, basato sugli ultimi progressi scientifici europei, mirava a ripristinare il prestigio della città come sede della più antica università, l’Accademia Clementina cercava di riscoprire gli splendori dell’epoca d’oro della pittura celebrata dalla Felsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia (1678) e legata ai nomi di Carracci, Reni e Guercino. Il nuovo secolo vide la fine delle carriere di pittori come il neo-carraccino Domenico Maria Viani, Benedetto Gennari, nipote di Guercino, che tornò a Bologna dopo un lungo soggiorno in Inghilterra, Giovanni Gioseffo dal Sole, ultimo interprete della finezza di Guido Reni, e Carlo Cignani, principe a vita dell’Accademia Clementina, rappresentante di un classicismo che si tinge di ricordi di Correggio.
Nella prima metà del Settecento, l’opposizione tra i due campioni della pittura, Donato Creti e Giuseppe Maria Crespi, era radicale e irriducibile. La ricerca di Creti portò a un classicismo elegante e raffinato, luminoso e incorruttibile, mentre quello di Crespi fu un naturalismo aggressivo e prosaico con sfumature ironiche, di carattere quasi popolare. Allo stesso tempo, la cultura letteraria dell’Arcadia ispirò Marcantonio Franceschini, un pittore europeo caro ai principi del Liechtenstein, ad adottare uno stile purista che si evolse in un barocchetto sommesso, abile e leggero, apprezzato dagli ambienti aristocratici e dalle autorità religiose. Mentre i solenni dipinti d’altare rispondevano ai requisiti di decoro e alle commissioni ufficiali, i dipinti di palazzo di grandi dimensioni erano destinati a celebrare le famiglie senatorie, che sostenevano l’autorità papale nel governo della città, con allegorie ed evocazioni di antiche glorie.
La città pullula di collezioni grandi e piccole. Non solo i palazzi dell’aristocrazia, ma anche le case dei borghesi e degli artigiani erano ricoperte di dipinti, disposti sotto affreschi che mostravano il virtuosismo prospettico dei pittori di quadratura. Trompe-l’œil, dilatazione spaziale e illusioni teatrali che si spingevano fino all’incredibile resero gli scenografi bolognesi famosi nei teatri europei, grazie al successo della famiglia Bibiena, sulla scia dei precedenti esperimenti di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli, che furono chiamati a viaggiare oltre le corti italiane, in Spagna e Francia. All’Accademia Filarmonica, frequentata da luminari come il cantante Carlo Broschi, noto come Farinelli, il compositore Johan Christian Bach e il musicologo Charles Burney, si unirono cantanti, compositori e strumentisti sotto l’occhio vigile del famoso padre Giambattista Martini, Nel 1763, il Teatro Comunale fu inaugurato con il Trionfo di Clelia di Christoph Willibald Gluck, su testi di Metastasio. Una pittura luminosa trasforma la solida tradizione del XVII secolo in rocaille. I suoi interpreti furono Francesco Monti, Giuseppe Marchesi dit Sanson, Vittorio Maria Bigari, Giuseppe Varotti e Nicola Bertuzzi, affiancati in perfetta armonia dagli scultori e modellatori Giovan Battista Bolognini, Francesco Jannsens, Angelo Piò e suo figlio Domenico, che, seguendo l’esempio di Giuseppe Maria Mazza, diedero alle figure in stucco e terracotta un movimento elegante e sinuoso e una grazia seducente. Il successo dell’Accademia Clementina, grazie allo zelo del suo segretario Gianpietro Zanotti, portò alla graduale sostituzione della formazione tradizionale nelle botteghe con un insegnamento codificato, all’istituzione ufficiale di premi nei vari rami artistici e all’apertura dell’Accademia del nudo. In questo contesto, emersero le due figure di spicco della seconda metà del secolo, i fratelli Ubaldo e Gaetano Gandolfi, nei quali la tradizione fu rigenerata dal fruttuoso contatto con la cultura pittorica veneziana, arrestando l’avanzata del neoclassicismo. Nel 1796, con l’arrivo delle truppe napoleoniche, Gaetano Gandolfi fu testimone del crollo dell’Ancien Régime e degli sconvolgimenti socio-politici che ne seguirono: il rovesciamento del potere pontificio, la soppressione degli ordini religiosi e delle confraternite laiche e la confisca dei loro beni. Questa nuova era fu inaugurata dalla creazione dell’Accademia di Belle Arti in sostituzione dell’Accademia Clementina e della moderna Pinacoteca.