Flavio Favelli (Firenze, 1967) laureato in storia Orientale all’Università di Bologna, è uno degli artisti italiani viventi più conosciuti, ed è anche accumulatore compulsivo di mobili dismessi recuperati dai mercatini, di materiali di uso quotidiano o di scarto che utilizza nelle sue opere, capaci di ricucire passato e futuro, arte e vita. Nella sua produzione memoria soggettiva e collettiva coesistono, si relazionano con il pubblico e il luogo in cui agiscono. A Palermo Favelli presenta una mostra sui generis, in cui la rivista Sicilia, le insegne, gli scarrabili – vecchie transenne provenienti dai depositi della Casa Circondariale di Bona-Ucciardone, raccontano il suo rapporto con la città, valorizzando il rapporto tra il Museo Regionale e la direzione del Carcere. Scopriamo di più in questa intervista esclusiva.
Come nasce la mostra “La Sicilia e altre figure” ideata per Real Albergo delle Povere, Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, a cura di Elisa Fulco e Antonio Leone?
Mi ha invitato Evelina De Castro, la direttrice del Museo Riso, avevo fatto un seminario con le persone in esecuzione penale esterna. La mostra è il risultato di un recupero e di montaggio di elementi prelevati in contesti diversi.
Come hai realizzato l’installazione composta da 89 numeri della rivista Sicilia edita da Flaccovio dal 1953 al 1983 e quale obiettivo ti sei posto?
È un’esposizione delle riviste, serie completa originale con un collage sulla copertina. Ho messo, cercando corrispondenze formali e concettuali, dei ritagli di pubblicità presi da riviste. Credo che ci sia una densa relazione fra la pubblicità e l’isola, e quindi fra la rivista che la rappresenta. L’isola è isolata e le immagini e la televisione sono i mezzi per sentirsi meno isolati. Quando la Nazionale di calcio vuole un pubblico caloroso, gioca a Palermo, lo spettacolo, l’evento come il festino dell’a’ santuzza. E c’è uno spettacolo più esplosivo della pubblicità? Qui la Casa delle Libertà (c’è un posto più bello al mondo della Casa delle Libertà?) nel 2001 vinse 61 a 0.
Quali sono le connessioni tra questa importante rivista e Palermo in particolare?
Questa rivista fa parte di una delle tante incredibili eccellenze italiane, edizione audace e sperimentale nei contenuti e nella grafica. Soprattutto la grafica, a volte scomposta e irriverente, con titoli scritti male a presentare monumenti o delizie locali. Raffinata, con un’immagine edulcorata dell’isola, ma anche sovversiva, considerando la cultura classista della società, metteva insieme cose alte con cose basse.
Insegne, ‘scarrabili’ e transenne, questi sono gli elementi centrali dell’installazione, perché li hai messi insieme?
Sono prodotti che vengono dalla fabbrica, dall’età moderna, dalla società veloce. Sono segni forti, decisi, sono oggetti seriali che scavalcano l’artigianato, il lavoro e la società di una volta. Gli scarrabili (cassoni in ferro per la raccolta dei detriti dell’edilizia) in particolare, sono tipici di Palermo, sono una presenza costante. C’è una relazione fra questi e la pasticceria, sono i due decisi estremi presenti in città, il reietto e il delizioso, in nessuna altra città si può vedere questo. Lo scarrabile fa parte della logistica militare e del resto, tutto il paesaggio da Punta Raisi alla città, sembra un grande compound.
In coincidenza con la mostra presenti un altro intervento site-specific nell’area verde del carcere Ucciardone, un container abitabile riservato agli incontri tra i detenuti e famigliari, realizzata in occasione del progetto SPAZIO ACROBAZIE: come nasce questa collaborazione e per quale fine?
Non è semplice per un artista lavorare a cose che servono. Ho voluto fare questo lungo seminario in carcere per varie ragioni. E c’era un’esigenza di fare uno spazio coperto nel giardino per gli incontri coi familiari dei detenuti. Ho pensato che potevo mettere un container, anzi due, aprirli nelle pareti e dipingerli con un motivo astratto.
Cosa fa SPAZIO ACROBAZIE?
Costruito su tre target differenti (detenuti con pena definitiva del carcere Ucciardone; minori e detenuti in esecuzione penale esterna), Spazio Acrobazie, a cura di Elisa Fulco e Antonio Leone, mira a creare un innovativo modello di “servizi” che funziona come cerniera tra il dentro e il fuori, utilizzando l’arte e la creatività come occasione di formazione, di riqualificazione degli spazi detentivi e come formula produttiva in grado di migliorare l’immagine e il posizionamento di quanto prodotto dal sistema carcerario attraverso la formula del workshop con l’artista. Una riqualificazione che dai luoghi si trasferisce alle persone, utilizzando proprio l’arte come modello formativo in grado di favorire l’acquisizione di nuove competenze relazionali. Il progetto è promosso da Acrobazie e Ruber contemporanea.
Frequenti Palermo da anni, quali sono gli aspetti di questa città che ti affascinano e quelli che invece ti irritano?
La mia è una frequentazione esclusivamente di carattere poetico, adatta all’ambiente surreale della città che è il luogo di congiunzione fra il paradiso e l’inferno, tutto s’impasta con le pietre, gli smalti, gli ori e le carcasse insieme. Palermo è un sogno sofisticato, rappresenta, con Napoli e Roma, la vicenda umana di Serie A (in confronto le altre città sono dei villaggi, dei residence), ma è più piccola, ristretta; sembra che l’isola abbia una sua scala, un suo sistema metrico che ridisegna le misure e queste misure più caute ne fanno una città rarefatta. La Cattedrale non ha piazza, ma un giardino privato, il Teatro Massimo nessuno direbbe che è il più grande d’Italia, si trova in uno spiazzo semidomestico, il cuore squisito dei Quattro Canti è guarnito con barriere in cemento armato da posto di blocco, le autostrade sono delle statali col guardrail. È una città segnata dal potere dell’arte del passato, che qui picchia di più.
Quali sono i luoghi di Palermo per te più misteriosi, dove forse abiteresti e perché?
Sembra che le rocce attorno la seppelliscano da un momento all’altro.