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Baùbo: l’arte di rivelare la vita attraverso il teatro di Jeanne Candel

© Copyright ANSA
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Nel panorama teatrale contemporaneo, emergere con originalità e profondità non è impresa da poco. Jeanne Candel, tuttavia, continua a stupire e affascinare con la sua ultima creazione «Baùbo, ovvero sull’arte di non essere morto», presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto. La sua opera rappresenta una raffinata esplorazione della drammaturgia, concepita come un processo di sottrazione più che di addizione.

Candel, fondatrice della compagnia de la vie brève, ci offre una rappresentazione che prende ispirazione dalla mitologia greca, ma solo come un’eco lontana. Il personaggio di Baùbo, anziana sacerdotessa che, secondo il mito, con un gesto audace e liberatorio, riesce a strappare Demetra dalla sua disperazione, diventa il punto focale di una narrazione che oscilla continuamente tra dramma e farsa. Questo gesto di sollevare le vesti e mostrare il sesso a Demetra, suscitando un riso liberatorio, incarna perfettamente gli elementi centrali del teatro di Candel: la sessualità, l’ambiguità, la trasgressione e la commistione tra il tragico e il comico.

L’opera di Candel è una celebrazione della sperimentazione teatrale. «Baùbo» non si limita a raccontare una storia, ma coinvolge lo spettatore in un viaggio emotivo e sensoriale. La prima parte dello spettacolo è dominata da un prologo drammatico, in cui la protagonista comunica in una lingua immaginaria, simbolo di un amore universale ma effimero. Questa scelta linguistica, sebbene surreale, riesce a evocare sentimenti profondi e universali, trascendendo le barriere della comprensione razionale.

Man mano che l’opera evolve, il linguaggio si fa sempre più incomprensibile, riflettendo la natura transitoria dell’amore e la sua evoluzione verso l’incomprensione e la disillusione. La teatralità di Candel si manifesta anche attraverso l’uso simbolico degli oggetti in scena, come l’arpione che rotea minacciosamente, evocando la presenza incombente della morte e del fallimento.

Un ulteriore tratto distintivo è l’eterogenità. L’ensemble musicale, composto da strumenti che vanno dal violino al sassofono, dalla chitarra classica all’elettrica, fino al contrabbasso e alle percussioni, arricchisce l’esperienza teatrale con una varietà sonora che accompagna e amplifica le emozioni in scena. La direzione musicale di Pierre-Antoine Badaroux e la voce del mezzosoprano Pauline Leroy aggiungono una dimensione ulteriore, creando un ponte tra la tradizione musicale barocca di Dietrich Buxtehude e Heinrich Schütz e la modernità della performance teatrale.

Candel ci invita a riflettere su come la vita e la morte, l’amore e la perdita, siano parte di un continuum in cui la tragedia può trasformarsi in commedia e viceversa. «Tutti abbiamo sperimentato la fine di un amore, e tutti reagiamo in modo diverso. Tuttavia c’è sempre un momento in cui la vita prende il sopravvento, in cui il nostro stato cambia» racconta la regista. Questo messaggio di resilienza e trasformazione è il cuore pulsante di «Baùbo».

«Baùbo, ovvero sull’arte di non essere morto» non è solo uno spettacolo, ma un’esperienza che sfida e arricchisce lo spettatore, portandolo a confrontarsi con le proprie emozioni e con la natura stessa del teatro. Jeanne Candel, con la sua visione audace e la sua capacità di mescolare generi e linguaggi, si conferma una delle voci più innovative del teatro contemporaneo. La sua opera ci ricorda che, attraverso il teatro, possiamo esplorare le profondità dell’animo umano, scoprendo che la vita, anche nei suoi momenti più bui, è un’opera d’arte in continua evoluzione.

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