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Giovanni Valagussa racconta le infinite e meravigliose trame dei tappeti persiani (in mostra al MITA di Brescia)

Persia Felix al MITA
Persia Felix al MITA

PERSIA FELIX, la seconda mostra dall’apertura di MITA (il Museo Internazionale del Tappeto Antico di Brescia) in programma fino al 14 luglio, è un viaggio nell’impero persiano tra il 1500 e il 1700 dove, attraverso tappeti della Collezione Zaleski e una serie di oggetti tra miniature, tessili, sculture e metalli grazie al prestito da Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica e The NUR Islamic Metalworks Collection, si raccontano città, antiche dimore, giardini, storia ed eleganza della cultura “fiorita” che si sviluppò nella zona che oggi viene fatta coincidere con l’Iran. 40 manufatti invitano il pubblico ad avvicinarsi al Rinascimento persiano, grazie all’apertura intellettuale di una tradizione sciita dell’Islam, in grado di far crescere la società e le arti. La curatela è di Giovanni Valagussa che abbiamo incontrato per l’occasione.

A ogni città safavide una tipologia di tappeto, quali sono le peculiarità di ogni città persiana?

In mostra abbiamo cercato di proporre uno schema che sia comprensibile, quasi didattico e non per soli “addetti ai lavori”: i tappeti sono un argomento estraneo alla maggior parte del pubblico.

Dunque, abbiamo evidenziato tre grandi gruppi, più uno.

I tappeti di Tabriz, prima capitale Safavide (e anche di Heriz) cioè della Persia nord occidentale: con disegno più geometrico, lineare, motivi vegetali stilizzati e astratti, pur sempre riconoscibili nella loro forma naturale ma molto schematizzati. Inoltre, questi tappeti presentano il grande medaglione geometrico centrale e quattro decorazioni angolari “cantonali”, oltre a una bordura anche questa più geometrica. Si vede bene dunque il rapporto più stretto con il vicino mondo dei tappeti anatolici, che appunto trasformano le decorazioni vegetali in motivi rigorosamente geometrici.

Poi i tappeti di Isfahan, la capitale del periodo più splendido dei Safavidi, al centro della Persia e non lontana dalla capitale attuale Teheran. Sono tappeti straordinariamente ricchi e sofisticatissimi, con decorazioni vegetali trasformate in magnifiche volute di piante immaginarie, racemi intrecciati in spirali spettacolari, foglie e fiori di una natura inventata ma lussureggiante e piena di forme morbide. Si tratta di tappeti dalla policromia ricchissima, con sfumature di gialli, rosa, verdi, azzurri, viola e ogni altro tono, come non troviamo in nessuna altra tipologia di tappeto. In questi tappeti “a giardino” spesso appaiono anche animali come tigri, cervi, antilopi, giaguari, uccelli multicolori. Qui manca invece il tema del medaglione centrale e dei cantonali, proprio perché prevale l’aspetto naturalistico. E troviamo anche un tema come il leone che azzanna il toro, simbolo antichissimo della forza e della circolarità della natura, presente già nei bassorilievi di Persepoli.

I tappeti di Kirman fanno parte di una terza tipologia particolarissima. La città è in una zona appartata e quasi desertica a sud-est della Persia, verso l’India (oggi in realtà vicino al Pakistan). Qui si sviluppa in epoca antica un modo del tutto specifico di realizzare grandi tappeti con una strana invenzione di grandi fiori quadrati che contengono a loro volta altri fiori, che contengono ancora altri fiori. Anche in questo caso il campo centrale è unico, senza medaglione centrale, ma la vegetazione nasce da minuscoli vasi (si parla infatti di “tappeti Kirman a vasi”) come se vedessimo una rappresentazione immaginaria di una grata fiorita su una terrazza. Questi fiori completamente inventati e che sembrano evocare quasi forme vegetali aliene sono di una modernità sorprendente, anche nelle geniali astrazioni come, ad esempio, la trasformazione del centro del fiore in una minuscola scacchiera bianca e nera, oppure di altri colori. Non so dire esattamente perché, ma mi piace pensare che li abbia guardati con interesse Paul Klee.

Infine ci sono in mostra anche due tappeti Kashan: altra città che ha una produzione vastissima, qui rappresentata da due lussuosissimi esemplari di “tappeti a preghiera” che erano evidentemente dei raffinati doni per qualche occasione importante: mai usati, perfettamente intatti, conservano benissimo anche tutte le parti ricamate in filo metallico argento. E sono questi tappeti connotati in modo chiaramente islamico, assolutamente astratto e con una componente fondamentale data dalla scrittura ricamata di versetti del Corano, molto diversi dagli altri tappeti persiani dove rimane invece assai forte la tradizione figurativa della Persia pre-islamica.

Persia Felix al MITA

Quali sono le principali simbologie dietro alle immagini (flora, fauna, paradiso, melagrana, corano…) raffigurate e ricamate sui tappeti?

È molto difficile affrontare in generale un discorso sulle simbologie che appaiono nei tappeti, anche perché si tratta di un uso piuttosto diverso da quello del mondo occidentale dove in genere un simbolo ha un significato puntuale e non equivocabile.

Nei tappeti troviamo motivi decorativi antichissimi che risalgono evidentemente alle popolazioni nomadi dell’Asia Centrale, molto semplificati e trasformati in elementi che forse è improprio definire “simbolici”. Meglio piuttosto definirli direi “evocativi”. Così in Asia orientale troviamo effettivamente la melagrana, frutto che allude alla fertilità per i suoi molti semi, elemento pre-islamico che rimane però nella decorazione dei tappeti fino a tempi recenti. Oppure la croce uncinata che è noto elemento buddista come segno del sole, e non soltanto, visto che assume una serie di sfumature di significato molto varie di matrice indoeuropea: nei tappeti costituisce spesso il perimetro esterno, diventando quindi anche un tema decorativo, simile alla greca.

Diverso il grande tema del giardino: in qualche modo tutti i tappeti nascono probabilmente con l’idea di rappresentare un giardino recintato, uno spazio fiorito e fertile che costituisce una specie di minuscola oasi rispetto al territorio inospitale circostante, perlopiù desertico. È interessante ricordare che in persiano “giardino recintato” si dice paradeiza da cui il greco paradeisos, dunque l’idea comune a tutte le religioni antiche del Paradiso come giardino cinto da un muro, presente anche nella Genesi e in generale nell’Antico Testamento. Così il tappeto è come un piccolo paradiso personale nella tradizione più antica, sulla quale si aggiunge la versione più tipicamente islamica che lo trasforma anche nel “suolo sacro” sul quale si svolge la preghiera, in qualche modo anticipando la collocazione del fedele nello spazio paradisiaco appunto, che raggiungerà dopo la morte.

Però non dobbiamo dimenticare che nei tappeti si trovano un’infinità di segnali di vario tipo che sarebbe lunghissimo interpretare: dal motivo del leone e del toro a cui accennavo, alla fenice, che pure appare spesso nei tappeti persiani, al motivo della fenice e del drago, più tipico dei tappeti anatolici più antichi e di probabile origine cinese.

Ma ci si può perdere all’infinito nella lettura di motivi decorativi più stilizzati come gli arabeschi, cioè rami intrecciati che anche nel nome noi individuiamo come elementi arabi, oppure nei motivi rigorosamente geometrici specifici ad esempio dei tappeti mamelucchi o damaschini, che sono quasi una dimostrazione matematica della perfezione del cosmo, di nuovo con un significato anche in questo caso evidentemente riferito alla perfezione divina.

E ancora un altro tema affascinante è quello del passaggio di questi elementi decorativi tra popoli e civiltà diversissime ma evidentemente con rapporti molto antichi tra loro, per cui si colgono analogie, ad esempio, tra motivi floreali molto stilizzati o motivi geometrici dei tappeti da un lato, e motivi decorativi presenti nelle decorazioni nella scultura a bassorilievo o nei capitelli del Medioevo occidentale. Da dove venivano i Longobardi, ad esempio?

Insomma molte linee di ricerca, spesso poco frequentate dalla storia dell’arte più tradizionale, ma sicuramente di immenso fascino.

Persia Felix

Quali sono le maggiori influenze (iconografiche, geografiche, culturali…) che si ritrovano fra le trame dei tappeti?

Troppo complesso cercar di delineare in breve la continua sovrapposizione di civiltà diversissime che si incontrano e si scontrano nell’Asia centrale. Ne viene un elenco sorprendente che comprende Bisanzio a ovest e la Cina a est, la Persia quasi come baricentro, ma anche l’India. Questo significa anche l’incontro delle più antiche religioni, dalla Mesopotamia alla diffusione del Confucianesimo e del Buddismo. Poi l’espansione dell’Islam ma anche i grandi imperi di Gengis Khan o di Tamerlano. Insomma forse la sintesi migliore per iniziare a capire questo contesto è ricordarsi che la Via della Seta, o meglio le Vie della Seta, furono per almeno dieci secoli l’asse principale dei commerci nel mondo, con contatti e influssi reciproci che si intuiscono negli usi, negli abiti, nelle arti figurative, nella scrittura, e in fondo in ogni aspetto delle varie civiltà.

A poche settimane della chiusura della mostra, tiriamo le somme: risposta del pubblico, risposta della città, prossimi appuntamenti? 

Abbiamo fatto una proposta difficile e rara, a partire da ottobre 2023, quindi da poco tempo in realtà per poter tirare dei bilanci. Però la risposta dei visitatori possiamo dire che è andata al di là di ogni migliore aspettativa. Questo pensiamo (parlo qui al plurale perché le scelte sono condivise in un piccolo gruppo iperattivo e molto compatto) sia dovuto all’originalità di queste idee, che presentano tappeti antichi preziosi e difficili da vedere in Italia, ma anche, attorno a questo nucleo principale, vari sviluppi come i concerti di musica etnica rivisitata in chiave elettronica (appuntamenti di straordinario successo), e poi le conferenze sull’arte persiana, i laboratori per imparare la tessitura, e ancora la formazione – in collaborazione con il FAI – di mediatori culturali che ci riportano nelle terre di origine di questi tessuti che non sono certo appartenenti alla tradizione europea.

Brescia direi che ha risposto alla grande, ma molti visitatori sono arrivati da altre città e da altri paesi. Non dimentichiamoci che nel mondo i musei di tappeti non sono molti e il nuovo MITA ha dunque subito attirato la curiosità, e poi l’ammirazione, dei maggiori studiosi, esperti, galleristi, collezionisti provenienti da ogni dove.

Questa mostra, Persia Felix, chiude a metà luglio ma da ottobre avremo già un altro progetto espositivo sul quale stiamo lavorando, e altri seguiranno. Ma meglio non fare adesso troppe anticipazioni.

Persia Felix

Un passo indietro, entriamo all’interno della collezione della fondazione Tassara: come si compone la raccolta? quale il filo rosso? come si possono valorizzare quei capolavori tessili?

La collezione ha fama di essere la più grande raccolta privata al mondo e già questo dice molto! Si tratta al momento di 1328 tappeti di ogni epoca, dal XV al XX secolo. E soprattutto di ogni regione importante di produzione: molto in generale, partendo da Oriente: Cina, poi Asia centrale (Turkestan) e India, e ancora Persia, Caucaso, Anatolia per arrivare al Medio Oriente e al contesto mediterraneo con i tappeti spagnoli e anche italiani, dall’Abruzzo e dalla Sardegna.

L’importanza di questa collezione sta nell’avere pezzi da tutte queste aree principali e in gran numero per ciascuna area. Quindi si può dire che si tratti di una raccolta veramente “completa” (anche se nessuna collezione d’arte ovviamente è mai “completa”) e rappresentativa di ogni tipologia e zona di produzione.

Il numero maggiore di tappeti è però – dobbiamo sottolinearlo – di provenienza dal Caucaso, perché chi ha personalmente costituito la raccolta scegliendo pezzo per pezzo gli acquisti, cioè Romain Zaleski, ha una vera e propria predilezione per i tappeti appunto caucasici, in virtù probabilmente della loro vivacità cromatica e della varietà rigorosamente geometrica, ma fantasiosa e quasi ironica, dei motivi decorativi.

Quanto all’attività che svolgiamo e che continueremo a svolgere, per rendere noti e affascinanti a tutti questi magnifici oggetti (detesto il termine “valorizzazione”: non c’è nessun bisogno di introdurre un termine di contabilità in un discorso culturale!) si articolerà soprattutto in esposizioni temporanee, in qualche modo a rotazione, di nuclei specifici della raccolta. Ma sempre cercando di trovare temi che consentano dialoghi, intrecci, rapporti, confronti (gli inglesi direbbero crossing cultures): ad esempio con il filone sempre più ampio del tessile nell’arte contemporanea, oppure nel campo altrettanto ampio del legame tra tappeti e dipinti, viste le continue apparizioni di tappeti nella pittura europea.

Persia Felix

L’ultimo acquisto della collezione? e, ultima domanda, il pezzo da sogno che la collezione vorrebbe acquisire in futuro?

L’ultimo acquisto della collezione è recentissimo, di nemmeno due mesi fa. Un tappeto rarissimo, gigantesco, del quale gli esemplari simili si contano sulle dita di una mano e sono ad esempio al Bargello a Firenze e al Metropolitan Museum di New York! Veramente un pezzo straordinario che alza ancora il livello della collezione, per la quale ormai gli unici acquisti che hanno un senso, costituita la base amplissima e appunto “completa”, sono capolavori inestimabili a livello mondiale. Presenteremo questa nuova acquisizione prossimamente, ma non vogliamo fare anticipazioni.

Per finire, un tappeto da sogno per eccellenza è il tappeto volante, ma quello pare sia difficile trovarlo sul mercato, se non in quello dell’immaginazione!

Però, personalmente, mi piacerebbe ampliare la raccolta negli ambiti “minori” come, ad esempio, quelli dei tappeti mongoli, oppure tibetani, o afghani. Per casa mia ho acquistato un grande tappeto afghano, più povero ed essenziale in un certo senso rispetto ai magnifici tappeti persiani o anatolici, ma di straordinaria eleganza nei decori geometrici in nero su un fondo rosa antico.

E poi è probabile che si presenteranno altre occasioni uniche come quella che ha portato all’acquisto recente: tappeti come quello cui accennavo riappaiono magari una volta in un decennio a volte per circostanze casuali, riemergendo da palazzi nobiliari dove erano stati dimenticati da quattro o cinque secoli. Oggi MITA è diventato un luogo noto a livello internazionale e le proposte non mancheranno. Se dovesse arrivare ad esempio un grande capolavoro indiano o mamelucco non ce lo faremo sfuggire!

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