Una colonia estiva abbandonata da oltre due decenni, una memoria storica ingombrante, i ricordi dei cittadini che attorno a quell’edificio hanno passato una vita e la necessità di confrontarsi con il significato di quella struttura per la città contemporanea e immaginare nuove ipotetiche destinazioni per il suo futuro. Sono gli elementi che hanno generato in Tommaso Fiscaletti e Nicola Perugini il desiderio di dare vita, con il supporto dell’associazione Macula – Cultura Fotografica, all’articolata ricerca partecipativa “La Pelle Sotto. Decolonizzare Villa Marina”, in occasione di Pesaro 2024 – Capitale italiana della cultura.
Nell’intervista qui sotto Fiscaletti e Perugini ci raccontano la nascita di questo progetto, il lavoro con i cittadini e la voglia di ampliare questa modalità operativa.
«Patrimonio cittadino protetto dal Ministero della cultura, la Colonia di Villa Marina è “segnata” da una memoria complessa – hanno spiegato gli organizzatori -. Attraverso eventi artistici e momenti di confronto pubblico, il progetto costruisce le basi per immaginare una “colonia decolonizzata”: l’installazione Bagni Di Sole su una delle facciate dell’edificio e 7 Interferenze, una mostra fotografica diffusa sul circuito delle affissioni urbane, aiuteranno a riscoprire con lo sguardo frammenti di Villa Marina. Con la raccolta di testimonianze, immagini e oggetti della memoria, è stato creato un archivio da restituire alla cittadinanza, mentre una serie di interventi e di incontri ha aperto ai molteplici significati della colonia e ai suoi utilizzi nel futuro».
Dopo una lunga fase di preparazione “La Pelle Sotto” è stata presentata alla città nell’aprile 2024. L’enorme installazione Bagni Di Sole rimarrà fino a dicembre, mentre sono in fase di definizione le attività che proseguiranno oltre la collaborazione con Pesaro 2024 – Capitale italiana della cultra.
Il progetto è nato dalla volontà di Tommaso Fiscaletti e Nicola Perugini, entrambi originari di Pesaro e residenti da anni all’estero, di fare ricerca sull’area urbana in cui sono cresciuti, portando un contributo significativo per l’oggi e il domani della città, grazie alle esperienze professionali rispettivamente di fotografo e antopologo.
Tommaso Fiscaletti, infatti, è un artista visivo, fotografo che vive a Città del Capo, in Sudafrica. Il suo lavoro, attraverso fotografie video e installazioni, esplora costantemente la consapevolezza che l’uomo ha dell’universo, il passare del tempo e le relazioni interpersonali. Negli ultimi sei anni con Nic Grobler ha creato l’archivio Hemelliggaam Or The Attempt To Be Here Now con la supervisione di Filippo Maggia, che ne ha curato varie mostre. Alcune sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private e hanno ricevuto riconoscimenti attraverso pubblicazioni ed esposizioni in vari paesi.
Nicola Perugini, invece, è un antropologo politico e insegna relazioni internazionali all’Università di Edimburgo. È autore de Il diritto umano di dominare (nottetempo, 2016), Morbid Symptoms(Sharjah Biennial 13, 2017), Human Shields. A History of People in the Line of Fire (University of California Press, 2020). È stato membro dell’Institute for Advanced Study di Princeton e ha lavorato come consulente per UNESCO e UN Women.
Come è nato il progetto “La Pelle Sotto. Decolonizzare Villa Marina”?
«Nasce dal fatto che a Pesaro, la nostra città di origine, nel 1928 il regime fascista costruì una delle centinaia di colonie marine presenti tra Marche ed Emilia Romagna con una doppia funzione: ospitare i bambini provenienti da classi disagiate e rafforzare la “salute dei corpi” attraverso l’elioterapia e il soggiorno al mare, al fine di costruire una “stirpe italica” capace di colonizzare altre popolazioni nel continente africano. Negli ultimi decenni, la colonia, di proprietà dell’INPS, è diventata, come tanti edifici simili, un fantasma attorno a cui si è dibattuto a lungo su possibili riusi o addirittura su una possibile demolizione. Ma la colonia è stata dichiarata patrimonio nazionale. Un patrimonio scomodo e difficile.
Nel corso degli anni, tornando a casa in estate, abbiamo ritrovato immagini di archivi di famiglia che ci legavano alla colonia, ci siamo scontrati e incontrati con il legame tra uno spazio intimo della nostra infanzia e la storia globale del colonialismo e del razzismo.
Il passo successivo è stato pensare a come lavorare sulla percezione che i cittadini hanno di questo luogo. La Pelle Sotto è un modo per far emergere lo strato problematico dell’architettura e della storia della nostra città riconnettendoci al presente e alle sempre vive lotte antirazziste. Cosa fare delle tracce del fascismo e del colonialismo presenti nelle nostre città?».
Voi avete due background professionali molto diversi. Come si sono intrecciati per dare vita a questo progetto?
«Ormai i confini tra discipline e saperi sono sempre più labili. Arte, Antropologia e interventi civici sono mondi compatibili, in grado di alimentarsi a vicenda.
Chiaramente, portiamo la nostra visione del mondo da posizioni ed esperienze differenti, in un progetto che rappresenta l’opportunità di articolare la forza delle immagini e dei segni di una rovina legata a un passato oscuro con una sua riscoperta e uno studio critico.
Tutti e due abbiamo già lavorato a progetti in cui arte contemporanea e ricerca s’intersecano».
Nel titolo si parla di decolonizzare Villa Marina. Come avete attivato questo processo rispetto a questo luogo e alla sua storia? Quali ne sono stati i principali attori?
«Negli ultimi tre anni tornando dai rispettivi paesi in cui viviamo (Tommaso dal Sudafrica e Nicola dalla Scozia) abbiamo visitato l’enorme palazzo fatiscente ripetute volte lavorando, maturando idee e aprendoci a conversazioni poi proseguite a distanza. Cosa significa decolonizzare un’architettura così imponente carica di una eredità, le cui tracce sono vive nel presente? Come risvegliare Villa Marina da quella che potremmo chiamare la grande amnesia coloniale – un’amnesia che riguarda il nostro paese intero, che ancora stenta a riconoscere la propria eredità scomoda? Quali pratiche occorre mettere in campo?
Lavorando al progetto abbiamo intercettato la candidatura di Pesaro a Capitale della Cultura per il 2024 e questo ci ha permesso di portare avanti alcune delle attività che avevamo in mente, con il supporto della città. Tutto ciò ha richiesto molto tempo e dedizione. Il progetto fino a ora si è sviluppato principalmente attraverso installazioni, fotografie, parole, ed è stato condiviso attraverso interventi di arte pubblica in cui presente e passato dialogano.
Il processo di riscoperta intrapreso ha avuto inizio con l’installazione Bagni Di Sole: una fotografia di 240mq, su una delle facciate della colonia. L’immagine mostra frammenti della memoria, personaggi, che entrano in connessione attraverso elementi naturali: una composizione tridimensionale, qui restituita in due dimensioni, richiamando lo stato di copertura e appiattimento dell’edificio, tenuto coperto e lontano dall sguardo degli abitanti ormai da tanti anni. Le immagini mostrano come la storia della nostra cittadina, la storia dei bagni di sole (benefici per i giovani, figli di coloni italiani), fosse connessa al desiderio di supremazia razziale e coloniale su scala globale, dall’Africa all’America passando per fatti, reazioni e questioni ancora aperte e dolorose, come quella palestinese.
Il secondo atto del progetto si è sviluppato attraverso le 7 Interferenze, una serie di mega affissioni in giro per la città dove la colonia, quello che è oggi, il suo stato di abbandono genera parole che portano a riflettere su limiti e prospettive che riguardano la storia del colonialismo d’oltremare. In queste interferenze distribuite nel tessuto urbano di Pesaro, il deterioramento della colonia di Villa Marina diventa—invece che elemento malinconico e nostalgico della “colonia che fu”— una forza che genera il disfacimento dell’idea di colonialismo. Tutto questo attraverso un dialogo sperimentale tra immagini e parole, che si amalgama al contesto dei cartelloni pubblicitari, che è appunto il media che abbiamo deciso di utilizzare».
“La Pelle Sotto. Decolonizzare Villa Marina” è un progetto partecipativo. Come avete coinvolto la cittadinanza e quali sono i presupposti e i processi per rendere duraturi nel tempo i risultati di un lavoro di questo tipo?
«Inizialmente, con l’aiuto di Macula (associazione locale che si occupa di fotografia), abbiamo lanciato una call, per raccogliere materiali sull’esperienza dei cittadini all’interno della colonia. Alcuni di questi sono divenuti parte delle installazioni create, dialogando con il presente. La stessa associazione ha presentato il progetto in alcune scuole locali coinvolgendo gli studenti in attività relative al progetto e al significato di questo luogo, fino ad ora rimasto piuttosto oscuro, soprattutto per le nuove generazioni. Pochi giorni fa attraverso il Forum Villa Marina – Ripensare la Colonia, un forum pubblico di dialogo con la cittadinanza e le istituzioni, abbiamo delineato un percorso nel tentativo di mantenere viva la memoria problematica che il luogo porta con sé e arrivare ad una condivisione d’intenti con il comune.
L’evento si è tenuto dinnanzi al fatiscente edificio, dal lato della spiaggia, di fronte al pennone, dove durante il ventennio, si svolgeva l’alzabandiera. Il pubblico riunito ha potuto anche vedere l’ultima interferenza: l’opera che abbiamo realizzato, stampata su maxi affissione è attualmente installata all’interno della colonia, come una quinta teatrale, divide lo spazio in maniera significativa.
Il vicesindaco si è detto molto interessato e speriamo che questo porti a nuove iniziative in grado di mantenere la memoria viva stimolando la percezione che i cittadini hanno di Villa Marina. L’idea è di arrivarci anche coinvolgendo artisti di origini differenti».
Quali sono le speranze per il futuro di Villa Marina e per la nuova “pelle” che le avete conferito attraverso il progetto?
«Innanzitutto dopo il nostro progetto la colonia è diventata un luogo che i cittadini hanno re-iniziato a guardare, a immaginare e soprattutto sul quale hanno iniziato nuovamente a interrogarsi. La colonia non è più un edificio fantasma. Le persone che visitano la nostra installazione, che vedono le affissioni, nei media locali o sui social media vedono circolare la re-significazione della colonia operata dal nostro progetto e questo è positivo.
Per fare un esempio in cui questo processo viene messo in atto potremmo citare una delle 7 interferenze in cui immaginiamo che l’area balneare principale della colonia venga rinominata “Lido Omar El Mokhtar”, il “Leone del Deserto” che guidò la resistenza anticoloniale in Libia contro l’invasione italiana.
La speranza è in un futuro di piena consapevolezza del significato e delle origini del luogo e di cosa ci può insegnare nel lungo percorso della lotta globale al razzismo».
Quali sono i prossimi progetti per i vostri rispettivi percorsi professionali?
«Per La Pelle Sotto ci piacerebbe creare nuove sinergie, che guidino questo progetto e i significati che porta con se fuori da Pesaro, magari realizzando altre mostre, installazioni o opere pubbliche e una pubblicazione, visto che le serie di fotografie e le idee già concretizzate per “La Pelle Sotto” sono molteplici».
TF: «Ormai da mesi sono impegnato alla creazione del libro di Hemelliggaam Or The Attempt To Be Here Now, l’ampio progetto realizzato con Nic Grobler in Sudafrica (un grande archivio di fotografie, video e installazioni, tra astronomia e fantascienza), che spero di portare presto anche in Italia. Nei prossimi mesi sarò anche al lavoro in un altro paese africano per un progetto che verrà presentato con una mostra e un libro, nel 2025».
NP: «Sto lavorando a diversi progetti di ricerca che ruotano intorno al tema della persistenza delle tracce del colonialismo nel presente. A Edimburgo, nella mia università è in corso un ripensamento critico del profondo legame della nostra istituzione con lo schiavismo, l’imperialismo e il colonialismo. Sto dando il mio contributo con una ricerca e una serie di interventi pubblici sul nostro legame storico con la storia di spossessamento del popolo palestinese, visto che abbiamo legami istituzionali molto forti con questa storia. Poi sto lavorando a un libro sulle lotte di liberazione nazionale in Africa, Asia e Americhe».