Nel suo percorso alla scoperta di Canova scrive così Luigi Spina: “Attraverso il corridoio della casa di Canova. Mi immergo nel suo mondo. Il contrasto stridente fra le opere esposte e la semplicità delle stanze mi fa percepire quale percorso creativo fece quest’uomo”.
A quattro anni dall’uscita del primo volume, si conclude il quarto tempo e il progetto editoriale e fotografico Antonio Canova Quattro Tempi dedicato ai gessi canoviani del Museo Gypsotheca di Possagno e il cerchio della collaborazione tra Fondazione Pallavicino e 5 Continents Editions.
In ciascuno dei quattro racconti, l’artista e fotografo Luigi Spina conduce lo sguardo attraverso la densità del gesso, fa emergere ogni possibile dettaglio e postura delle sculture, i chiodini di piombo sui gessi, i punti di repère, diventano un codice di lettura delle opere.
“Il mio proposito”, afferma Spina, “è rivendicare la contemporaneità del classico, il suo essere trasversale in ogni epoca”. Ha pubblicato oltre venti libri fotografici di ricerca personale e ha realizzato prestigiose campagne fotografiche per Enti e Musei ma davanti all’arte di Canova scopre l’anima dell’artista.
Nel quarto volume si intrecciano i temi mitologici con la ritrattistica a sottolineare la persistenza del modello classico di armonia e perfezione. Con il suo terzo volume ha vinto la medaglia d’oro come miglior libro d’Arte attribuita dall’ICMA – International Editorial-Design & Research Forum.
In occasione dell’uscita del quarto e ultimo volume del progetto editoriale, Luigi Spina ha selezionato 32 fotografie in bianco e nero di grande formato, tra le più rappresentative dei temi amorosi, mitologici, eroici presenti nella Gypsotheca di Possagno, proponendoli in dialogo con le opere di Canova esposte nell’Ala Gemin della Gypsotheca stessa (fino al 29 settembre a Possagno, Tv).
Spina, nato nel 1966 a Santa Maria Capua Vetere, si è perdutamente innamorato di diversi campi di ricerca come gli anfiteatri, il senso civico del sacro, i legami tra arte e fede, le antiche identità culturali, il confronto con la scultura classica, l’ossessiva ricerca sul mare, le cassette dell’archeologo sognatore Giorgio Buchner e forse da qui può partire il suo suggestivo racconto per comprendere la sua percezione profonda della grandezza creativa di Antonio Canova. Le immagini catturano l’attimo creativo dell’Artista, quello in cui l’idea si tramuta in forma e in gesso: il momento in cui la genialità si misura con i limiti della materia, cercando di plasmarla, modificarla, assoggettarla alla forma desiderata.
Canova Quattro tempi. Quattro pubblicazioni con 5 Continents e ora una mostra e la quarta pubblicazione.
“Questo lavoro su Canova ha una storia molto lunga che risale al 2018 e si è stratificata pian piano.
Deriva dal fatto che per anni ho indagato la scultura classica perché è stato sempre un mio motivo d’interesse. È dal 1998-1999 che indago la scultura e poi ho avuto il grande privilegio di entrare al Museo Nazionale di Napoli dove in parte sono cresciuto nella visione della scultura sulla Collezione Farnese. Tutto questo mi ha portato nel tempo a guardare la scultura e quelle successive, quelle che imitano la scultura greco romana e il neoclassico e sostanzialmente per me è stata sempre una sorta di imitazione anche molto noiosa però devo dire che quando ho visto il gesso sono rimasto totalmente sopraffatto da questa bellezza imperfetta perché in realtà mi ero reso conto che Antonio Canova in questo caso ma anche gli altri facevano la stessa cosa, lavoravano moltissimo sulla materia gessosa perché la potevano plasmare come volevano e ho capito che c’era tutto il genere, l’artista, ma anche tutte le sue sofferenze, i patimenti, le esaltazioni, le depressioni, erano intrinsecamente legati al gesso. Il marmo era un passaggio finale per quando arrivava il committente e molto spesso la rifinivano addirittura gli assistenti, ma la sua visione, la sua esaltazione era nel gesso.
E così nel 2019 quando Vittorio Sgarbi diventa presidente della Fondazione Canova – ma Vittorio Sgarbi lo conosco da oltre 20 anni – avevo già un’idea e il progetto si doveva chiamare Canova e il Bianco ma quando poi ci sono state le celebrazioni canoviane durate esattamente quattro anni dal 2019 al 2022, mi è venuta l’idea di sviluppare questo concetto del Canova Quattro Tempi perché in realtà questa soluzione mi permetteva di lavorare ad ogni volta solo su certe sculture e quindi creare una pausa tra questi quattro libri”.
L’occasione dell’incontro a Milano con Vittorio Sgarbi apre un nuovo scenario del progetto:
“Gli spiego che non voglio considerare il noioso marmo perché per me il vero genio creativo di Canova è nel gesso. E lui rimane colpito da questa cosa. Ho fatto un saggio, una sorta di verifica per capire se la mia ricerca poteva funzionare. Sono andato per quasi quattro anni a Possagno, ho vissuto in quegli spazi e in qualche modo oltre alle sculture, ho raccontato lo spazio. Perché la mia idea è che questo gesso vive una sua contemporaneità. Io non sono molto legato al valore assoluto delle opere. Ovviamente nei musei sono dei valori assoluti, hanno perso la loro funzione e questo accade in ogni museo. Penso che in questo caso vivono questa sorta di contemporaneità ma la deve sviluppare chi indaga. Io sono uno che indaga e cerca di dimostrare quanto ormai queste sculture sono nate e si sono originate in quell’epoca a fine ‘700, inizio ‘800, ma ormai sono parte del nostro tempo e quindi funzione vitale e per chi come me usa il linguaggio fotografico, deve concedere a queste opere di essere parte di questo tempo. E io lo faccio in un modo estremamente lineare. Lavoro con una luce che mi consente di mostrare la trama superficiale, questa pelle epidermica del gesso, – ci sono anche le impronte di Canova su queste superfici – e a quella distanza le vedi ed è come sentire l’ansia dell’artista nel momento della creazione”.
E in qualche modo hai sviluppato una sorta di tandem visuale?
“La scultura la racconto sempre in una sorta di rotazione continua perché vorrei che l’osservatore e il lettore in questo caso dei libri e anche nella mostra che è in corso, abbia la possibilità di una percezione non bidimensionale, l’opera è veramente davanti a chi osserva. Non è una visione ideale, sono dei corpi e io spesso lo sottolineo tagliando le teste e concentrandomi su questi corpi di donne o di uomini.
A me interessa quell’azione che è legata all’artista e che dall’artista si riflette in un ambiente che è sociale, culturale e politico e da lì la scultura trae tutta la sua forza.
Quindi abbiamo in qualche modo martellato dal 2019 con questa tecnica continua di mostrare le stesse sculture”.
Spina parla della sua esperienza biografica, della luce, del raccontare storie che hanno l’imprinting del territorio.
“Non posso dimenticare di essere a Possagno, sono nel Veneto e sono nella Bassa Padana e tutti questi sono dei valori importanti che fanno la scultura e non sono qualcosa di slegato da quello che sto fotografando e quindi mi auguro alla fine che le persone percepiscano questo fatto quasi di identità perché in realtà quelle sculture sono intrinsecamente legate al loro territorio, a questo piccolo paesino che raccoglie la testimonianza di un genio creativo che aveva un territorio di competenza immenso, eppure tutto è lì dentro adesso, c’è una tale concentrazione di opere che può incutere timore ma il punto è eliminare tutto ciò che è celebrativo e guardare in faccia l’uomo, guardare in faccia Canova”.
Ventotto sculture in quattro tempi e questo è il quarto volume.
“Del libro si deve capire e osservare la qualità, la scelta profonda del perché abbiamo cercato una carta quasi porosa per dare quella sensazione che ricorda il gesso anche nella copertina, la stessa sensazione legata alla scultura di Canova”.
Luigi Spina tratta i temi del sacro, dell’antichità e dell’arte e ogni progetto è una minuziosa e affinata ricerca della perfezione nella fotografia. Ma quando è stato il primo approccio e gli studi che lo hanno portato alla dedizione totale ai suoi progetti?
“Ci sono arrivato per caso, da autodidatta. Sono laureato in Scienze politiche con indirizzo economico. Ho fatto la tesi sperimentale in Economia e Politica industriale e avevo vinto una borsa di studio e il professore della mia tesi che aveva fatto il reporter durante gli anni di piombo a Milano e poi l’economista – perché questa era la sua strada – mi disse: Domani ti laurei, lascia tutto e fai fotografia.
Tu non ti rendi conto Non ho mai visto le tue cose ma come parli di fotografia, io ti ascolterei per ore. Quella è la tua strada devi avere il coraggio di scegliere. Mi sono dato dei tempi io ho fatto il mio libro con una sottoscrizione pubblica. E non ci credevo nemmeno io perché ero una persona estremamente timida. Ma da qui ho iniziato”.