Il 9 luglio a Roma, si è celebrato il ritorno dopo 8 mesi d’assenza della Madonna di Oditrigia, ribattezzata come Madonna del Pantheon.
L’opera, icona bizantina risalente al VII secolo, è stata restaurata dopo 63 anni grazie a un intervento promosso dal Ministero della Cultura, operato dall’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali di Roma, in collaborazione con il Capitolo della Basilica di Santa Maria ad Martyres e con il sostegno di Bulgari come sponsor, e finalmente tornerà alla sua sede originaria: la Capellina d’Inverno, all’interno di uno tra i luoghi più amati e visitati, il Pantheon.
L’importanza della Madonna è dovuta allo stretto legame storico che ha con la Basilica stessa, come ha sottolineato la direttrice del Pantheon Gabriella Musto: “Il restauro della Madonna del Pantheon, traccia una miracolosa linea di continuità tra la Roma pagana e la Roma cristiana, sigillando e sancendo questa condivisione secolare che in nessun altro luogo come il Pantheon trova una tale, completa compiutezza”.
L’opera, realizzata a tempera su legno di olmo, datata agli anni della consacrazione della Basilica, avvenuta nel 609 d.C, è strettamente collegata dalla tradizione, quando Papa Bonifacio IV, ricevuto in dono il Pantheon dall’Imperatore bizantino Foca, decideva di consacrare il luogo a tutti i martiri cristiani e alla Vergine di Santa Maria ad Martyres. In quella stessa occasione, il Papa riceveva l’immagine della Beata Vergine realizzata secondo la narrazione orale dall’Apostolo Luca, al quale la storia attribuisce molte altre icone mariane. L’antica Madonna di San Luca, detta Madonna del Pantheon, venne da allora custodita nell’aula principale, affrontando con il monumento secoli di storia e vicende. Solo nel 1961, in seguito al restauro curato da Carlo Bertelli fu collocata nella cappella interna della Basilica, detta Cappella d’Inverno per la conservazione.
Si tratta di una delle immagini più antiche della Vergine Maria, l’immenso fascino che si attribuisce a quest’opera non solo è legata alle vicende storiche che le sono attribuite, ma anche alla al suo significato a partire dalla composizione. Il dipinto rappresenta infatti la Madonna Odigitria, termine di origine greca che significa “colei che conduce”, con la mano destra rivolta verso il Bambino, a indicare la via della salvezza e della verità. La mano destra della Madonna, infatti, tocca il ginocchio del bambino, indicando la via, la verità e la vita. Questo gesto sottolinea la mediazione di Maria presso Cristo. È la mano che dona la salvezza. La Vergine Maria non guarda il Figlio, ma lo spettatore, che “chiama” indicandogli “il cammino”. Questa immagine era molto venerata anticamente non solo dai romani, ma anche da tutti i pellegrini che andavano a visitare la chiesa, con le sue centinaia di reliquie appartenute ai martiri dell’epoca di Diocleziano. Questa grande venerazione si può constatare per via dei vari strati di pittura sulla tavola per conservare l’immagine nel corso dei secoli. È stata ornata anche con una copertura d’argento dorato.
Il restauro è stato svolto da un gruppo interdisciplinare di professionisti, selezionato e guidato dalla direttrice Musto, che ha coordinato anche la direzione scientifica del cantiere, composto da Antonio Sgamellotti, docente emerito di Chimica inorganica dell’Università degli Studi di Perugia e Accademico dei Lincei, dalla restauratrice Susanna Sarmati, dagli esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Chiara Anselmi e Nicola Macchioni, da Massimo Musacchio, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, da Matilde Amaturo e Silvana Costa, funzionarie dell’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo e da Paolo Castellani della Direzione generale Abap.
L’opera potrà essere fruita dal pubblico grazie a un programma di visite guidate dedicate che arricchiranno ancora di più l’esperienza di visita di questo luogo che ancora oggi custodisce una tra le cupole più grandi mai realizzate.