Un antico edificio sovrastato da cinque cupole che lasciano filtrare la calda luce dell’estate di Istanbul: è la Five Domes Hall – il salone delle cinque cupole – del MSGSU Tophane-i Amire Cultural and Art Center, uno dei centri culturali più attivi della metropoli, che conta quasi 16 milioni di abitanti. Il centro sorge accanto alla piazza del museo di arte contemporanea, l’Istanbul Modern, affacciato sulle acque del Bosforo, con una nuova sede disegnata da Renzo Piano inaugurata poco più di un anno fa, in un quartiere tra i più vivaci e moderni della città. Qui fino al 31 luglio è in corso la mostre personale di Vuslat “Emanet”, che la curatrice Ebru Yetiskin ci ha raccontato nell’intervista qui sotto.
Il percorso espositivo presenta un ricco e articolato nucelo di opere prodotte dall’artista turca Vuslat tra il 2023 e il 2024 e include sculture, dipinti, poesie, opere sonore e installazioni. Nel percorso espostivo i visitatori sono invitati «a esplorare le varie manifestazioni del concetto di emanet», termina che dà il titolo alla mostra ma non direttamente traducibile, che trova un generico corrispettivo nel concetto di “affidato a”, nell’accezione che rimanda a rapporti di fiducia, di lasciato ereditario in senso sentimenatale e culturale. Emanet «incarna valori quali l’affidabilità, la lealtà, la cura, la fedeltà alla parola data e la tutela», hanno spiegato gli organizzatori. «La parole emanet vanta significati condivisi in un’ampia geografia culturale e in nove lingue diverse: derivante dalla radice “e-m-n”, il termine emanet presenta i propri equivalenti in aramaico-siriaco, ebraico, arabo, persiano, urdu, turco, greco e curdo».
L’allestimento della tesse rimandi tra le opere in mostre partendo da espisodi personali della vista dell’artista che ben presto sollevano domande universali e al tempo stesso offrono possibili vie per rispondere a esse, facendo del concetto di emanet una bussola per affrontare situazioni personali e al tempo stesso per creare un modo più umano e giusto, partendo dalla responsabilità di ciascuno nelle sue connessioni con le altre persone e, più in generale, con la società.
«Come attivista e leader della società civile, – hanno ricordato gli organizzatori – Vuslat ha dedicato una parte significativa della sua vita ad avere un impatto sulla parità di genere e sulla libertà di espressione. In un contesto globale sempre più complesso, transitorio e interdipendente, l’artista analizza le connessioni che gli individui stabiliscono con se stessi, con gli altri e tra di loro. Ritenendo che il superamento delle sfide fondamentali che l’umanità deve affrontare richieda connessioni autentiche, nel 2020 Vuslat ha istituito la Vuslat Foundation con l’obiettivo di promuovere la generosa capacità di ascoltare. Dopo oltre 15 anni di attività artistica, nel 2022 tiene la sua prima mostra personale dal titolo “Silence” presso la Pi Artworks Gallery di Londra, a cura di Chus Martinez. Nel 2023, sempre sotto la cura di Chus Martinez, ha avuto luogo la sua prima mostra istituzionale intitolata “Emanet” al Baksı Museum. Nel 2024, Vuslat sta conseguendo un Master of Fine Arts presso l’Otis College of Art and Design di Los Angeles».
La curatela della mostra è stata affidata alla Professoressa Associata Ebru Yetişkin, «membro del Dipartimento di Sociologia dell’Università Tecnica di Istanbul. Tiene corsi nei programmi di laurea in Art History and Science, Technology, Society (STS) graduate programs at ITÜ – Istanbul Technical University Università. Ha lavorato come ricercatrice ospite presso l’Ecoles Nationale des Mines de Paris, il Centre de Sociologie de L’innovation e il Palais de Tokyo Museum. Ha tenuto corsi di arte interattiva e tecnologia presso la New York University, l’Università di Madrid e l’Università Ionica. La sua ricerca artistica e curatoriale comprende mostre nazionali e internazionali, workshop, festival e seminari pubblici. È consulente e curatrice dell’Istanbul Metropolitan Municipality Cendere Art Museum, membro dell’Association of Art Critics (AICA) e membro fondatore del FEMeeting – Women in Arts, Science and Technology. Nel 2022 ha vinto il Rosalind Franklin Foundation Science Award per i suoi lavori innovativi all’intersezione tra scienza, tecnologia e arte».
La mostra “Emanet” di Vuslat è allestita al Centro culturale e artistico MSGSU Tophane-i Amire. Cosa rappresenta questa istituzione nel panorama culturale di Istanbul?
Ebru Yetiskin: «Penso che il MSGSU Tophane-i Amire Cultural and Art Center Five Domes Hall sia una delle più magnifiche reliquie culturali di Istanbul. Poiché reca le tracce dei periodi bizantino, ottomano e repubblicano, la sua struttura architettonica a cinque cupole incarna la polifonia cosmopolita di Istanbul. Tophane-i Amire, uno degli spazi espositivi più iconici di Istanbul, si trova all’incrocio di un vibrante polo culturale e storico tra i quartieri di Karaköy, Galata e Beyoğlu».
Quali sono – a livello concettuale – i principali punti di contatto tra la ricerca di Vuslat e i valori che emergono nel percorso espostivo della mostra?
Ebru Yetiskin: «Il viaggio di Vuslat verso le memorie dei suoi antenati dà vista a un potere unico e collettivo di creazione del mondo. Vuslat ci ricorda alcuni valori che in realtà conosciamo, che desideriamo e possiamo abbracciare anche se li abbiamo dimenticati. È interessata a creare nuove associazioni tra diverse geografie, storie, corpi e materiali.
Esplorare nuovi modi di prendersi cura l’uno dell’altro è oggi una capacità di risposta critica. La sua ricerca ci ricorda che in realtà esiste un contratto reciproco tra chi affida e chi si affida, basato sulla co-produzione di valori come la fiducia, la cura, la lealtà e la promessa.
Acquisendo nel tempo l’abilità di affidarsi incondizionatamente a questo contratto silenzioso, diventa possibile una socializzazione più civile in cui possiamo stabilire associazioni forti con noi stessi e con gli altri».
Questa mostra è una nuova presentazione della personale di Vuslat che si è tenuta al Museo Baksı lo scorso anno. Quali sono le principali differenze tra le due presentazioni?
Ebru Yetiskin: «Nel Museo Baksı ci si trova in cima alle montagne, più vicini all’ascolto del silenzio e del proprio mondo interiore. Questo cambia il modo di interagire con le opere d’arte. Quella mostra mi ha portato a pormi molte domande e ha scatenato la mia curiosità sugli aspetti inesplorati del concetto di emanet.
La mostra di Istanbul è più dinamica, transdisciplinare e orientata all’esperienza. La ricerca che abbiamo condotto insieme ha prodotto nuove opere e nuove installazioni. I visitatori possono esplorare le opere attraverso testi audiovisivi e letterali. Pertanto, la modalità curatoriale di questa mostra è orientata alla connessione con i sentimenti e con i pensieri genuini dei visitatori, che si sono distaccati dal loro mondo naturale/culturale vivendo nella frenetica megalopoli. È più interattiva, ma non in modo aggressivo. Invece che spiegare e descrivere le opere d’arte, ad esempio, in ogni registrazione che i visitatori possono ascltare lungo il percorso, abbiamo condiviso le nostre conversazioni e le nostre note sulle opere d’arte esposte.
Ci sono anche alcuni vuoti che abbiamo intenzionalmente lasciato per i visitatori, in modo che potessero riflettere mentre camminavano da un’opera all’altra. Mentre al Museo Baksı la domanda di Vuslat al visitatore si basava sul “ricevere”, a Istanbul abbiamo ritenuto più importante chiedere ai visitatori cosa possono “dare”.
La mostra di Istanbul si apre anche al “pensiero cinematografico”: come una cristallizzazione del pensiero sotto cinque cupole, ogni opera d’arte è situata come se fosse un frammento di memoria, come una sequenza di un film, e nel percorso espositivo ogni visitatore può modificare la propria versione spostando l’attenzione da un’area all’altra. Nella mostra, per un momento, si può vedere ciò che si perde dietro le montagne nebbiose da una prospettiva a volo d’uccello, mnetre in un altro momento, si può passare a una prospettiva “molecolare” e concentrarsi sul modo in cui immagazziniamo, conserviamo o modifichiamo le informazioni che abbiamo ricevuto dai nostri antenati mentre con gli occhi percorriamo una catena con la stessa struttura del DNA.
Grazie al dinamismo di queste prospettive mutevoli, si può vedere e dare un senso al mondo forse in modo nuovo. Mentre vaghiamo tra paesaggi narrativi che si estendono da una sequenza di ricordi all’altra, proiettando la vita su noi stessi come in un film, sperimentiamo uno stato di coesistenza che permette l’autoriflessione. Possiamo aprirci alle altre possibilità di immaginare la “vita”».
Per Lei, come ricercatrice internazionale, quali sono gli aspetti più interessanti della ricerca di Vuslat?
Ebru Yetiskin: «La ricerca artistica di Vuslat è molto genuina. Richiede una prospettiva multidimensionale. Come le sue sculture e installazioni, è un appello a modi dinamici di pensare, percepire e imparare, in modo molto sensibile e sottile… La sua ricerca lascia anche spazio all’ascolto generoso e alla co-produzione. È generativa in un modo inaspettato, che scatena la curiosità».
Vuslat, che cosa rappresentano le opere esposte nel tuo ampio percorso di ricerca?
Vuslat: «Nel mio percorso artistico, le opere esposte in questa mostra rappresentano una significativa evoluzione e un ampliamento del mio percorso di ricerca. Inizialmente ero incuriosito dal rapporto tra forme di dimensioni simili e dal ruolo dello spazio nella loro interazione. Tuttavia, con questa mostra, mi sto addentrando in relazioni molto più ampie e complesse. Sto esplorando le nostre connessioni con la natura, i bambini, i vulnerabili, i senza voce e le nostre radici storiche.
Per la prima volta ho esaminato l’interazione tra forme più piccole e più grandi, incorporando una varietà di nuovi materiali. Mi sono avventurata nell’uso di elementi naturali come le piante curative, i pigmenti naturali della pietra e della terra e nuovi metalli. Questa esplorazione dei materiali non è solo un impegno tecnico, ma un aspetto profondamente orientato alla ricerca ed esaltante della mia pratica. Il mio impegno con la natura è particolarmente toccante in questa mostra: sto esplorando il modo in cui possiamo commemorare e celebrare ogni aspetto della natura, fino ad arrivare alle piante secche. Questa esplorazione si manifesta attraverso tecniche innovative, come la copertura delle piante con l’argento per simboleggiare la continuità e l’immortalità, così come il lavoro con l’argilla su una scala molto più ampia rispetto al passato. Le sfide e i risultati inaspettati del lavoro con l’argilla mi hanno insegnato a fidarmi ancora di più del linguaggio e delle caratteristiche uniche del materiale, arricchendo ulteriormente il mio percorso artistico».
Una delle opere in mostra, Kucaklaşma, è il risultato di una collaborazione con un’alatra artista. Come nascono le collaborazioni presenti nelle tua ricerca artistica e che cosa rappresentano nella sua pratica?
Vuslat: «Le collaborazioni nella mia pratica, come quella con l’artista Pelda Aytaş per l’opera “Kucaklaşma”, nascono dall’esplorazione condivisa di connessioni culturali e linguistiche. L’opera in mostra simboleggia l’unità fonetica della parola “Emanet” (“affidato”) in nove lingue diverse, riflettendo un profondo impegno con le radici culturali e storiche che Pelda e io condividiamo. Questa collaborazione non solo mette in evidenza il nostro patrimonio e i nostri valori comuni, ma arricchisce anche la mia pratica portando nel mio lavoro prospettive e tecniche diverse. “Kucaklaşma”, ad esempio, utilizza lana lavorata con metodi di tintura tradizionali della regione di Kelkit, incarnando il ricco patrimonio culturale e naturale della zona. I diversi pigmenti naturali utilizzati nel processo di tintura della lana, provenienti da piante come il verbasco, la mora e il sambuco, sottolineano ulteriormente il profondo legame con la natura e le pratiche tradizionali. Questo approccio non solo preserva la memoria culturale, ma simboleggia anche la trasmissione di questo patrimonio alle generazioni future. Collaborazioni come queste sono parte integrante della mia pratica, in quanto rappresentano una confluenza di diverse narrazioni culturali e metodologie artistiche.
Essi arricchiscono il mio lavoro incorporando una molteplicità di voci e tradizioni, consentendo un’espressione polifonica della memoria e della narrazione. Questo spirito collaborativo si allinea con il tema più ampio della mia mostra “Emanet”, che è stata concepita come una registrazione polifonica della memoria e un paesaggio narrativo, incoraggiando un impegno dinamico e multistrato con il passato, il presente e il futuro».