L’evoluzione è un movimento complesso, sovente alla rovescia. Ne parliamo con Lorenzo Scarpellini, giovanissimo artista romagnolo, in questa trentacinquesima puntata di Progetto (s)cultura.
Dove sei nato e dove vivi?
Sono nato e vivo a Ravenna.
Quando hai capito che ti saresti dato all’arte?
Non so dire precisamente quando ho deciso che mi sarei dedicato all’arte. Da quando ho memoria, ho sempre sognato di diventare un artista. Il mio percorso non è stato sempre lineare e in certi momenti ho pensato di abbandonare questa strada. Ho frequentato il Liceo Artistico Statale Nervi-Severini a Ravenna prima seguendo l’indirizzo di Scultura e poi cambiando corso, iscrivendomi a Pittura. Alla fine del Liceo ho deciso di restare a Ravenna e di studiare all’Accademia. Non ero sicuro che sarei riuscito a combinare qualcosa a livello di carriera artistica, ma mi sono sempre impegnato per migliorare nel mio lavoro, che è sempre stato prima di tutto una passione. Se devo proprio determinare un momento della mia vita, quando mi è stato più chiaro che dovevo continuare, forse posso farlo risalire al 2021: era l’anno in cui dopo la pandemia mi ero iscritto al biennio specialistico di Mosaico, sempre all’accademia di Ravenna. Fortunatamente fra i vari sconforti di quel periodo, ho avuto qualche riscontro positivo sul mio lavoro grazie a mostre, concorsi, premi e da allora ho cominciato a lavorare in una maniera più professionale.
Qual è la prima opera da cui sei stato catturato?
La prima opera d’arte visiva che mi ha catturato è stato il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto in Puglia, che conosco molto bene grazie ai miei genitori: entrambi romagnoli, in gioventù si dedicavano al mosaico e si sono conosciuti proprio a Otranto per lavorare al cantiere di restauro di una porzione di questa grande opera musiva. Ho passato tanto tempo d’estate durante l’infanzia in Salento, il legame con quel territorio era ed è ancora molto forte, in particolare con il mosaico della Cattedrale, perciò nel corso degli anni ho memorizzato e interiorizzato moltissimi dettagli. Il mosaico risale al Medioevo e raffigura l’albero della vita con simbologie cristiane e pagane e riferimenti biblici. Appollaiati tra le fronde, appaiono tantissimi personaggi fantastici, umani e demoniaci, figure di animali reali e mitologici e varie creature ibride che sicuramente hanno influenzato il mio immaginario, fin dal principio.
Col passare del tempo, i tuoi gusti saranno cambiati…
Durante l’adolescenza ero rapito da Magritte, Ernst, De Chirico, ma la mia ossessione era Dalì per i soggetti deliranti e le sue atmosfere spiazzanti e turpi che mi hanno sempre attirato, poi al liceo il mio professore di Pittura mi fece lavorare molto su Bosch e Goya, che non avevo ancora approfondito bene e dai quali presi moltissimo. In quel periodo scoprii anche il Codex Seraphinianus di Serafini e parallelamente cominciai a guardare molto anche Giger. Nei miei vecchi dipinti si vede bene quanta ispirazione traessi da questi grandi maestri. In Accademia ho ampliato molto le mie conoscenze sull’arte contemporanea, ma conservo ancora un amore per i miei gusti precedenti.
Quali artisti contemporanei, anche tra i tuoi docenti dell’Accademia, sono stati importanti nella tua formazione?
Per fare qualche esempio, certi aspetti del lavoro di Burri e Schwitters hanno condizionato la mia ricerca per l’uso dei materiali e anche il lavoro sulla natura di Penone e Durham ha influito inizialmente sulla mia pratica artistica. Per i lati più oscuri del mio lavoro penso alle influenze delle ricerche di Bacon, Bourgeois, Beksiński, Giger e Samorì; le mie tendenze da allora si sono spostate, ma solo leggermente. Tra i miei artisti preferiti viventi: Berlinde De Bruyckere, Anselm Kiefer e Anish Kapoor. Per quanto riguarda l’Accademia, ricordo che al primo e al secondo anno del Triennio il corso di pittura di Andrea Chiesi è stato molto suggestivo: allora mi dedicavo ancora principalmente alla pittura e durante il corso ho imparato che la ricerca artistica deve essere lineare qualunque sia il media utilizzato e ho capito che dovevo tirare fuori i miei soggetti dalla bidimensionalità del dipinto, per farne dei corpi tridimensionali. Al secondo e al terzo anno grazie a Nicola Cucchiaro, che era docente di Plastica Ornamentale, sono tornato alla scultura che avevo accantonato da tempo lavorando principalmente con gesso e legno e negli stessi due anni il corso di Decorazione di Graziano Spinosi mi ha riportato su una tecnica che utilizzavo da bambino, cioè la cartapesta; da allora non ho mai più smesso di lavorare su questo materiale che nel tempo ho sempre più affinato e personalizzato. Durante il Biennio invece, Leonardo Pivi, docente di Mosaico, mi ha sempre spronato a migliorare e a continuare sulla scultura e grazie a lui ho anche cominciato a inserire nel mio lavoro rocce, ferri, tessere e applicare altri materiali che prima non padroneggiavo bene come i cementi. Infine a Daniele Torcellini, che è stato anche il mio relatore di tesi, devo la parte più teorica del mio lavoro; grazie alle sue lezioni sulla storia della decorazione e teoria del mosaico, ho potuto perfezionare e arricchire il mio lavoro e ampliare lo sguardo su aspetti riguardanti anche la mia ricerca che prima non consideravo.
Come nasce una tua scultura dall’idea, al primo abbozzo, alla realizzazione finale?
Solitamente disegno sempre prima di cominciare un lavoro nuovo, anche se quando lavoro in serie non sempre lo ritengo necessario. Comunque sono per lo più semplici bozze preparatorie di cui mi servo per avere un’idea di ciò che nascerà più tardi. I miei lavori cambiano sempre rispetto a come li avevo pensati inizialmente e questo aspetto oltre ad essere molto divertente e stimolante per me, trovo sia anche interessante: il lavoro cresce senza vincoli precisi e durante la lavorazione apporto modifiche, che molto spesso non erano previste. Non so con certezza come terminerà il lavoro e in quale maniera crescerà mentre mi ci dedico. Quasi sempre, tra l’altro, per ogni nuovo lavoro metto in campo tecniche nuove o divergenti dal solito, che non ho mai sperimentato prima, quindi diventa una sorpresa anche per me vedere il risultato finale.
Lavori quasi esclusivamente con materiali poveri e di recupero come carta, ferro, carbone, calce, legni, ossidi e terre. Per quale ragione?
Intanto si tratta di materiali che si possono ottenere o produrre facilmente e con i quali si possono fare moltissime cose pur essendo così poveri. Mi interessa l’aspetto del recupero della materia e l’idea che da poco si possa ottenere molto. I miei lavori sono una sorta di assemblaggi/corpi composti da detriti e oggetti apparentemente inutili che attraverso la lavorazione possono trovare una nuova forma, anche una nuova bellezza. Sento di avere un certo legame con l’ambiente e in un periodo storico come questo, penso che sia fondamentale ragionare anche in termini ecologici, per quanto possibile, anche quando si fa arte; è per questo che cerco di recuperare e utilizzare materiali che non siano estremamente inquinanti, sia all’uso sia durante la loro produzione. Non mi limito però soltanto ai materiali recuperati per il mio lavoro, infatti le colle o i cementi di cui faccio uso non lo sono.
Le opere che hai presentato in una delle tue ultime mostre, In-e-volution, sono come carcasse di animali scomparsi, vittime di un’evoluzione alla rovescia, che li avrebbe condotti all’estinzione. L’apocalisse è vicina?
In-e-volution è stata la mia prima personale, si svolse nella Galleria Zamagni nel giugno del 2021 a Rimini ed era una raccolta delle prime acefale e chimere, ed altri esperimenti. Da quei primi lavori si è poi sviluppata la mia ricerca ed erano tutte sculture che effettivamente ricordano scheletri o carcasse con elementi innestati sui dorsi e al posto delle teste, come ferri arrugginiti. Sono abitanti di un pianeta Terra in futuro distopico, in cui l’evoluzione è stata forse manipolata dall’uomo stesso, oppure i viventi hanno incorporato resti della nostra civiltà ormai scomparsa da tempi immemori, per qualche ragione non chiara, forse per adattarsi a sopravvivere in un ambiente inospitale. Sono come sintesi tra artificiale e naturale, due parole che tendono anche a confondersi a un certo punto; totem che fungono da monito sia di vita che di morte. Col passare del tempo le mie creature hanno cominciato ad apparire sempre meno malate: è un’evoluzione anche estetica che sta ancora avvenendo. Non so se l’Apocalisse sia vicina o lontana, i tempi in cui viviamo non sono per niente sereni. Prima o poi la nostra specie lascerà posto ad altro.
Ciò nonostante, come tu stesso affermi, “siamo e facciamo parte di un miracolo naturale”. Alcune tue sculture, come ha scritto Milena Becci nel testo che introduce il catalogo di in-e-volution, “tentano di rimanere in equilibrio, alcune con parti mancanti, altre con elementi in sovrannumero rispetto alla normalità alla quale siamo abituati”. Altre ancora, sebbene segnate dalla morte, sembrano germogliare a vita nuova…
Mi piace da sempre studiare i vari regni dei viventi, come le forme di vita si siano evolute e di come lentamente, e non senza incidenti, le specie riescano a vivere in un equilibrio anche momentaneo. Trovo meraviglioso come la vita con tutte le sue sfaccettature, mutazioni e problematiche sia incredibilmente dedita alla propria sopravvivenza: c’è qualcosa di tremendamente miracoloso in questo. Riguardo alle estetiche dei miei lavori come dicevo, non cerco di illustrare semplicemente un mostro che potrebbe comparire in un film di fantascienza (anche se non mi dispiacerebbe affatto) ma le mie creature attraverso questi corpi mutati e dilaniati parlano anche della vita e della resistenza di chi resta in equilibrio senza crollare, sostenendosi su arti magri e deboli come fanno le creature anziane, come fenici che stanno morendo ma per rinascere.
Qual è il tuo atteggiamento verso la religione, la spiritualità?
Sono ateo
La politica culturale italiana e il sistema dell’arte. Per un giovane artista è ancora possibile rimanere in Italia, costruire qui?
Per il momento non ho intenzione di andarmene dall’Italia almeno non definitivamente, anche se ne sento il bisogno. Il mio studio è a Ravenna e mi trovo bene qui. Sicuramente in altri paesi c’è più considerazione dei giovani artisti, del loro lavoro e più occasioni rispetto all’Italia, per cui sicuramente in futuro salperò in altre direzioni.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
In questo momento sto esponendo insieme a Luca Campestri presso lo Spazio Torrso di Michele Cotelli a Pesaro. La mostra intitolata “Io Altro” è a cura di Alessandro Mescoli e fa parte di un ciclo di mostre chiamato Un-Natural, inserite nel programma di Pesaro Capitale della Cultura Europea 24. Sempre in questo periodo alla galleria Zamagni di Rimini per l’anniversario della stessa è stata organizzata Oltre l’Orizzonte, una collettiva con tutti gli artisti della scuderia. Per il resto continuo la mia ricerca e preparo nuovi lavori per alcune mostre che si terranno in Romagna verso l’inizio dell’estate.