Attraverso la fotografia, Florence Di Benedetto (1975) ci offre un racconto intimo e personale che procede per simbolismi e metafore che narrano tanto il vissuto e l’identità dell’artista quanto tematiche esistenziali universali come il rapporto tra l’uomo e la natura, che oggi ha perso la sua sacralità. Un lavoro introspettivo, che nasce dal desiderio di conoscere il proprio io in relazione alla società in cui viviamo.
In questa intervista Florence Di Benedetto ci apre al suo mondo e ci racconta della sua mostra “Personale” alla galleria Podbielski di Milano.
– Mi racconti dei tuoi inizi con il medium fotografico, come hai iniziato e quali incontri hanno alimentato in te la consapevolezza di intraprendere questo percorso?
La fotografia ha sempre fatto parte della mia vita, fin da piccolissima. Ricordo perfettamente la prima fotografia che mi ha affascinata: Le Violon d’Ingres di Man Ray. Una copia di questa opera era appesa nell’ingresso della casa dei miei zii a Parigi. Chiedendo loro della genesi di quest’immagine, ho scoperto presto che la fotografia non solo poteva essere testimone della realtà, ma poteva anche rappresentare un pensiero, un sogno, e una molteplicità di mondi immaginari.
Da quel momento sono passati molti anni prima che iniziassi a fotografare.
Ho studiato fotografia all’Istituto Italiano di Fotografia a Milano, dove ho avuto la fortuna di incontrare Maurizio Galimberti, che teneva un seminario. Per caso, proprio in quel periodo, Maurizio cercava un assistente, e io mi sono subito proposta. Ho lavorato con lui per un po’ di tempo, e con lui ho ritrovato ciò che mi aveva affascinato nella fotografia da bambina: il suo potenziale artistico. Maurizio è una persona generosissima, e grazie a questa sua rara dote è stato per me un maestro straordinario, aiutandomi a capire quale fosse la mia strada e a perseguirla senza temere il fallimento.
Un altro incontro fondamentale è stato quello con Agostino Bonalumi. L’ho incontrato anni fa nel suo studio a Monza; entrare in contatto con un grande artista, protagonista della storia dell’arte italiana, è un’esperienza unica che ti arricchisce nel profondo. Da lui ho imparato molte cose, ma soprattutto l’importanza della disciplina e della costanza, tanto quanto quella del lavoro artistico.
– Hai realizzato molti progetti. Parliamo de “La Natura Umana”, un racconto fotografico sulla natura e sulla sua relazione con l’essere umano, come tu stessa affermi. Uno dei focus della tua ricerca è proprio questo rapporto, che ha perso la sua sacralità per essere sottomesso all’uomo. Vuoi raccontarmi come è nato questo progetto, come si è evoluto e realizzato, e cosa significa per te?
Tutti i miei progetti fotografici sono racconti intimi e personali, e “La Natura Umana” non fa eccezione. Il rispetto per l’ambiente è un argomento universale, ma diventa personale poiché coinvolge ognuno di noi nella vita quotidiana, con le nostre azioni, parole e ciò che decidiamo di trasmettere agli altri. “La Natura Umana” affronta questo tema da varie prospettive, utilizzando diverse simbologie. Il mito greco, dove la natura è raffigurata da molteplici divinità che regolano l’esistenza degli uomini, è un punto di partenza. Con il tempo, questa idea di sacralità e rispetto si è persa, e la natura è stata quasi ridotta in schiavitù, con risorse sfruttate e manipolate per lo sviluppo della nostra specie, senza preoccuparsi di preservare l’equilibrio fondamentale per la nostra sopravvivenza. Solo di recente l’attenzione si è spostata verso il ripristino di questo equilibrio. Nelle mie immagini cerco di rappresentare simbolicamente questi concetti: gli errori, le ferite, la volontà di cambiamento, intrecciandoli con personaggi del mito greco legati agli elementi naturali, come le Grazie, le dee protettrici della natura. Prendo anche ispirazione dalla tecnica orientale della riparazione delle ceramiche, dove l’uso dell’oro attribuisce un valore visibile e più elevato alle ferite.
– Il progetto “Identità” ti vede protagonista, dove racconti te stessa e, più in generale, il percorso che ciascuno di noi intraprende nell’esistenza…
“Identità” è una raccolta in cui sono protagonista e rappresenta ciò che sono in questo momento della mia vita. Ho usato il mio corpo per fermare questo tempo in cui diversi aspetti della mia vita sono in perfetto equilibrio: la mia identità di donna, artista, madre. Ogni aspetto di questi percorsi ha influenzato e arricchito l’altro, contribuendo a creare ciò che sono oggi. L’esigenza di congelare questo momento attraverso la fotografia è arrivata in età matura, quando la libertà intellettuale e la consapevolezza hanno raggiunto un peso e una solidità che non avevo qualche anno fa.
– Parlami del progetto “Il viaggio”, che descrivi come un racconto personale che tocca tematiche universali, come la voglia di riscatto e la paura dell’ignoto. Vuoi raccontarci questo progetto in particolare?
Anche nel progetto “ Il Viaggio” sono io la protagonista delle fotografie. Questo lavoro esplora il diritto al futuro che ciascuno di noi possiede, un diritto preziosissimo che dobbiamo difendere, non solo per noi stessi, ma per tutti. Si tratta del diritto di cambiare, di plasmare la nostra vita e di realizzare i nostri sogni. Un tratto fondamentale dell’essere umano è la capacità di progettare; il pensiero del futuro è una costante. Ho avuto la fortuna di nascere in un paese e in una famiglia che ha protetto questo mio diritto e mi ha dato la possibilità di cercare la mia strada. Tuttavia, ciò non ha reso meno profonde le riflessioni su temi come il rapporto con le proprie radici, con gli affetti, con le scelte e le difficoltà che si affrontano nel proprio percorso.
– La tua indagine verte su tematiche esistenziali universali, sull’essere umano in rapporto al mondo contemporaneo, un mondo che sembra aver cancellato quel rispetto e quella sacralità che spettano alla natura e, di riflesso, alla vita stessa. Vuoi raccontare ai lettori qual è stato il tuo percorso per arrivare a maturare questi input?
La mia ricerca artistica investiga l’animo umano, partendo dal mio vissuto e dal mondo che mi circonda. È un lavoro introspettivo, che nasce dal desiderio di conoscere il proprio io in relazione alla società in cui viviamo. Parto dall’osservazione del reale per giungere a nuove rappresentazioni. Ogni progetto è una riflessione su una tematica che mi colpisce profondamente, che innesca in me una serie di sensazioni e sentimenti che sento il bisogno di esplorare e rappresentare con un linguaggio che posso condividere in modo diretto e senza filtri.
– Ti interessi anche della contaminazione tra fotografia e pittura. Spiegaci questo tuo campo d’azione.
Le contaminazioni tra diversi media o materiali sono sempre ausiliarie alla rappresentazione finale di un’idea, permettendoci di condividerla esattamente come l’abbiamo immaginata. Tutti i miei lavori artistici nascono da un’immagine che ha colori, dimensioni, volumi sempre diversi. A volte è stata la pittura a rappresentare meglio quella visione interiore, altre volte la scultura, e ora è la fotografia. Sperimentare diversi materiali nel corso della mia vita mi ha permesso di capire quale fosse la strada giusta per realizzare la mia idea iniziale.
– Che sentimenti vuoi o speri di veicolare con le tue immagini?
Tutta la mia produzione ha un duplice significato: da un lato, c’è un aspetto egoistico, quello di elaborare elementi della mia vita, proprio come si fa in un percorso psicoterapeutico, dove si affrontano i nodi della propria esistenza con le parole. Io lo faccio con le immagini. Dall’altro lato, c’è la volontà di condividere empaticamente un pensiero, di entrare in connessione con l’intimità delle persone attraverso un colore, un oggetto, un ricordo, creando un legame con persone che non conosco e che non mi conoscono, ma con cui spesso condivido uno stesso vissuto. È prima di tutto un’esigenza comunicativa, e la fotografia ha in questo una forza che nessun altro medium possiede.
-Se dovessi definire il sentimento che evocano le tue opere, che parole useresti? Come ti vedi ora rispetto a quando hai iniziato a dedicarti al medium fotografico con i primi progetti?
Non riesco a identificare un unico sentimento, poiché ogni progetto tocca corde diverse e rappresenta un’elaborazione di vissuti personali, momenti specifici o esperienze particolari. Tuttavia, ciò che accomuna tutti i miei lavori è la creazione di un’atmosfera lieve e sospesa, immersa in un tempo indefinito, indipendentemente dal racconto che si sta rappresentando.
Quando ho iniziato a voler esprimere fisicamente alcuni dei miei pensieri, ho trovato molte difficoltà nel farlo attraverso la fotografia. Nonostante le ore infinite passate in camera oscura e nei laboratori a sperimentare con le varie pellicole a colori e polaroid disponibili, non riuscivo a esprimermi esattamente come desideravo. È stato in quel momento che ho iniziato a esplorare altri medium come la pittura e la scultura. Solo negli ultimi anni ho trovato la chiave per raccontare pienamente ciò che voglio attraverso la fotografia. Questo è avvenuto durante il periodo del Covid, da cui è nato il progetto “La festa è finita”. Si tratta di un racconto fotografico in cui una scultura, una luminaria che ho disegnato e fatto realizzare in Salento, legata alle mie radici pugliesi, diventa protagonista di una serie di scatti ambientati in un’Italia immobile. Questo progetto ha segnato un passaggio fondamentale per me, e il tempo dedicato a lavorare con altri medium mi ha permesso di trovare il mio linguaggio anche nella fotografia.
-Presto ti vedremo protagonista di una personale alla Galleria Podbielski. Vuoi raccontarmi su cosa verte questa mostra?
Collaboro da qualche anno con la Galleria di Pierre André Podbielski. Insieme abbiamo presentato un mio solo show prima alla fiera di Amsterdam e poi a PhotoLondon. Il prossimo novembre presenteremo un altro solo show a Paris Photo, mentre a settembre esporrò per la prima volta i miei lavori nella galleria di Milano.
In questa occasione saranno presentati tre progetti, di cui due inediti. La mostra, curata da Mauro Zanchi, si intitolerà “Personale”. Il titolo è emblematico e ha un duplice significato: da un lato, si tratta della mia prima personale in galleria; dall’altro, offre uno sguardo su tre tematiche molto intime. La mostra si sviluppa in un percorso che attraversa lo spazio espositivo, utilizzando ognuna delle tre stanze della galleria per raccontare una storia diversa.
Il primo progetto, “Una relazione privata”, esplora una relazione d’amore attraverso istanti catturati in una casa estiva, evocando momenti di intimità condivisa.
Il secondo progetto, “Cose”, è dedicato al tema della perdita e a come gli oggetti diventino custodi di ricordi e connessioni umane.
Il terzo progetto, intitolato “Life before me”, consiste in 48 fotografie e un libro. Questo lavoro rappresenta un approccio totalmente nuovo per me, poiché ha richiesto una lunga ricerca di cartoline scritte e spedite nel 1975, nei mesi in cui mia madre era in attesa della mia nascita. Ho fotografato queste cartoline e le ho raccolte in un’opera unica. È una riflessione sulla vita e sulle relazioni che esistono e ci avvolgono inconsapevolmente.