Nell’attuale contesto geopolitico, segnato da crescente militarizzazione e proliferazione di conflitti armati, la mostra Theater of Dis-Operations (Atto I. A Disarmament) alla ArtNoble Gallery, aperta fino al 27 settembre 2024, offre una riflessione critica sul tema del disarmo.
Theater of Dis-Operations (Atto I. A Disarmament) non è solo una mostra, ma un atto di resistenza contro la normalizzazione della violenza che si distingue nel panorama della proposta espositiva delle gallerie milanesi grazie alla capacità di prendere posizione, resistendo allo scollamento tra il mondo dell’arte e quello reale. Secondo i dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra il 2014 e il 2023, le importazioni di armi da parte degli Stati europei sono aumentate del 94%. Questo incremento riflette non solo una crescita nella spesa per la difesa, ma anche una crescente tensione internazionale e l’espansione del mercato globale delle armi. Sebbene queste dinamiche sembrino distanti dal mondo dell’arte, il loro impatto è tangibile, interrompendo dialoghi con intere aree geopolitiche e influenzando il mercato culturale.
In questo scenario, l’esposizione curata da Sa.turn, in corso da ArtNoble Gallery, supera la rappresentazione tradizionale delle armi, indagando le strutture e i simboli che alimentano e giustificano la violenza. Il titolo Theater of Dis-Operations richiama il termine militare “theater of operations”, usato per designare le aree di conflitto, proponendo invece un “teatro” alternativo in cui la violenza viene affrontata e disarmata attraverso l’arte.
La mostra presenta opere che oscillano tra il reale e l’immaginario, invitando il pubblico a riflettere su come il sabotaggio possa eludere e rendere disfunzionale il paradigma bellico. L’intento è smontare i meccanismi della violenza non solo tramite il disarmo fisico, ma anche attraverso la diserzione, la fuga e il “drop out”, mostrando come queste strategie possano indebolire il sistema bellico anche in contesti apparentemente pacifici.
Il concetto di “arma” si amplia, includendo simboli come “stato”, “bandiera” e “nazione”. Così la bandiera di Francesco Vullo, con una trama di lame intrecciate, pende come un monito, sopra la testa dei visitatori e i fucili di vetro realizzati e fotografati dall’artista Gaia De Megni vengono attraversati dai riflessi circostanti, quasi fossero fantasmi di armi.
La discreta invisibilità di alcune pratiche belliche ritorna nell’opera video del collettivo Critical Art Ensemble che esamina l’uso e la copertura delle armi chimiche attraverso un tentativo di re-enactment fai da te. Infinite, invece, critica le strategie pubblicitarie delle industrie armate, dimostrando come la propaganda possa normalizzare e legittimare la guerra, creando una distanza percettiva tra chi la osserva da lontano e chi la vive quotidianamente.
La tensione è palpabile nei pugni stretti del soldato senza volto ritratto nella foto in bianco e nero a dimensioni reali di Paolo Ciregia, così come nei passamontagna indossati dalle donne indigene del Chiapas, protagoniste delle fotografie di Thiago Dezan. Due estremi che rappresentano la polarità delle lotte che si svolgono al di fuori delle narrazioni e geografie ufficiali, unendo il soldato e il rivoluzionario, la violenza e la resistenza, in un dialogo silenzioso ma potente.
Tra gli artisti in mostra anche Zazzaro Otto, il cui lavoro era già stato esposto dalla galleria a marzo 2023 nella personale Traslochi Heimat s.r.l.. Otto realizza mezzi composti da resti di veicoli bellici d’epoca, trovati e collezionati da lui o dalla sua famiglia. Le sue opere incarnano la contraddizione tra il fascino per l’estetica militare e la disapprovazione per i principi che essa rappresenta. Da una parte, la sua pratica riflette le capacità di adattamento e armamento tipiche delle situazioni di scarsità in tempo di guerra, rievocando ciò che i futuristi avrebbero definito il prodigio di “un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. Dall’altra, la loro apparenza ludica, amplificata da canzoni infantili o inserti di oggetti giocattolo, trasforma le macchine di Otto in strumenti di diserzione e fuga, richiamando le creazioni di Pino Pascali.