Margaret Bourke-White è nota per essere stata una delle prima fotografe donna giunta ad indiscutibile fama internazionale. Il suo nome e la sua opera, legato a doppio filo a quella della storica rivista Life, oggi viene ricordato da Camera a Torino
Nei primi anni duemila il filosofo e storico dell’arte Georges Didi Huberman fu protagonista di una controversia (più o meno accademica) circa alcuni suoi studi che avevano per tema le immagini fotografiche che testimoniano l’orrore dei campi di concentramento. Contro coloro che rivendicavano la possibilità di un racconto per immagini di una realtà storica completamente oggettivo e privo di fuorvianti emozioni, Didi Huberman trattava le immagini dei campi nel loro statuto di immagini, o meglio, secondo le sue parole, di “immagini malgrado tutto”. Che cosa significa quel “malgrado tutto”? Naturalmente lungi dal mettere in discussione la veridicità storica di quelle tragiche immagini, Didi Huberman rivendicava però la loro capacità di dire e insieme tacere, di dire e non dire la verità, o meglio, di non (poter) mai dirla tutta. Proprio come capita per le opere dell’arte e dell’ingegno umano.
Il non dire delle immagini – e qui sta il colpo di genio – non significa, attenzione, negarne la verità o indicarne una fallacia. L’incompletezza costitutiva delle immagini, il loro essere immagini “malgrado tutto” (dove “malgrado tutto” è anche una citazione da un’ultima lettera di Rosa Luxemburg prima di essere assassinata dai nazisti, approfondita da Didi Huberman in un altro testo, tanto per capirci) non significa certo porle in discussione o in dubbio. Al contrario serve a farci rendere conto del loro esplosivo potenziale vitale e testimoniale, sempre riattivabile, vero come sono vere le emozioni umane di cui facciamo diretta esperienza, più che le teorie scientifiche astratte o provate in laboratorio.
Possiamo allargare il pensiero di Didi Huberman ad altre immagini? Sicuramente sì. Perciò diremo che immagini malgrado tutto sono anche e soprattutto le fotografie che testimoniano la storia, non solo quella degli scempi nazisti, ma tutta quanta la storia umana, e anche l’arte.
Impossibile non riandare col pensiero a queste riflessioni visitando la mostra di Margaret Bourke-Withe in corso da Camera Centro Italiano per la Fotografia, a Torino, fino al prossimo 6 ottobre.
Margaret Bourke – White fu tra i primi a varcare le soglie dei lager nazisti al seguito degli alleati, il giorno della liberazione dei prigionieri, e sue sono le foto che ritraggono ciò che essi videro con i loro occhi quel giorno. Alcune di queste immagini sono oggi in mostra da Camera, verso la fine del percorso espositivo.
Margaret Bourke-White (New York, 1904 – 1971) è nota per essere stata una delle prima fotografe donna giunta ad indiscutibile fama internazionale. Il suo nome è legato a doppio filo a quella della storica rivista Life, di cui curò immagini e copertine per molti, decisivi, anni.
Credo si possa dire che le sue immagini, tutte, rientrano a pieno titolo nella riflessione di Didi Huberman. Perché fin dal primo sguardo svelano la loro essenza non solo di documenti storici, ma anche, e soprattutto, di racconti simultanei, capaci di attivare pensieri, ricordi, o meglio memorie di un passato scandito da eventi che riguarda tutti noi, chi c’era e chi è venuto dopo.
Così sono “immagini malgrado tutto” anche le fotografie riprese nelle acciaierie di Cleveland, che raccontano il progresso industriale di quegli anni; quelle narrano la vita nell’Unione Sovietica di Stalin e nell’India di Gandhi, tra drammi e ritratti rimasti indelebili nell’immaginario collettivo. Ma anche quelle più legegre, che raccontano l’Italia e la Germania del dopoguerra.
L’immagine fotografica, negli scatti di Bourke-White, si fa sempre ritratto iconico, di persone come di pezzi di storia. Ma funziona anche e soprattutto come un dispositivo concettuale, estremamente dinamico e in grado di attivare racconti, conoscenze, testimonianze di un mondo in mutamento, di una storia le cui conseguenze riguardano ancora oggi noi tutti, spesso molto più da vicino di quanto a volte crediamo.