Alla Galleria Umberto Benappi, dal 20 settembre al 9 novembre, una mostra che racconta il lavoro del grande artista brasiliano. Inaugurazione giovedì 19 settembre 2024, ore 16 – in occasione di TAG Ouverture e Exhibi.TO
Di seguito il testo della curatrice, Chiara Massimello
Se la fotografia fosse rappresentazione della realtà, quella di Vik Muniz non dovrebbe essere considerata tale. Niente è vero nelle sue immagini, ogni dettaglio è finzione e ricostruzione minuziosa, quasi maniacale, di qualcosa di preesistente. Eppure, sono fotografie le grandi stampe che la galleria Umberto Benappi espone a Torino dal 20 settembre al 9 novembre 2024, l’opera di un grande artista che conosce profondamente la cultura visiva e i media, per il quale la macchina fotografica è l’ultimo passaggio nella realizzazione della sua opera.
Le stampe, dai colori vividi, sono impeccabili, quasi sempre di grande formato, ma è la composizione quella che rende così identificativo il lavoro dell’artista brasiliano, nato a San Paolo nel 1961. Pigmenti, inchiostro e coriandoli; tessere di puzzle, diamanti e sciroppo di cioccolato; semplici fili, materiale di recupero e ritagli di giornale; gli oggetti più disparati sono il punto di partenza del lavoro creativo di Vik Muniz. La fotografia, l’atto finale. Conosco il lavoro di Vik Muniz da più di vent’anni, da quando per la prima volta Gian Enzo Sperone lo portò in Italia nella sua galleria romana (1999) e dopo di lui, Marco Voena e Valerio Tazzetti lo esposero nel loro spazio torinese, Photo&Co.
Tra i lavori più noti, Pictures of Chocolate, la serie di opere realizzate nel 1997. Jackson Pollock, nella celebre immagine scattata da Hans Namuth nel 1950, è immortalato mentre crea una delle sue opere, Autumn Rhythm, con la tecnica del dripping. L’artista è intento a dipingere sulla tela adagiata sul pavimento, nella mano sinistra il barattolo di vernice, nella destra il pennello. Schizzi di colore ovunque. Muniz si appropria della celebre immagine e la ricrea cospargendo lo sciroppo di cioccolato su un piano e plasmandolo con le stesse sembianze dell’originale. La densità del cioccolato riprende perfettamente l’idea della pittura e i colori di Pollock, richiamando anche il bianco e nero dell’immagine di Namuth. Una perfetta unione di soggetto e materia, dove quest’ultima diventa parte integrante dell’opera. Ultimo atto di questa rielaborazione è la fotografia, Action Photo, Jackson Pollock after Hans Namuth, realizzata senza ritocchi e stampata in grande formato (152,5 x 122cm). Un’edizione di questa immagine è nella collezione di opere di Pollock del Moma, ma le opere di Muniz si possono trovare anche al Guggenheim e al Whitney, alla Tate e al Victoria and Albert Museum, al Museu de Arte Moderna de Sao Paolo, al Museum of Contemporary Art di Tokyo, al Centre Pompidou di Parigi e con il suo lavoro ha rappresentato il Brasile alla Biennale di Venezia del 2001.
Con la stessa tecnica, la galleria Umberto Benappi decide di esporre l’iconica serie delle 9 Jackie (2001), originariamente realizzata da Andy Warhol dalle foto pubblicate su Life al funerale del marito, il Presidente J.F. Kennedy, e l’affascinate autoritratto di Rembrandt (Self portrait after Rembrandt, 2002); due opere potenti che si affiancano, nella grande parete della sala principale della galleria, ai ritratti di Karl Marx, Andy Warhol, Liz Taylor e Marilyn Monroe. Vik Muniz è cresciuto in una famiglia semplice e ha iniziato a disegnare molto giovane, anche a causa di una forte dislessia. Passava ore a copiare arte antica nei musei, diventando ben presto molto abile tecnicamente. Disegnava con qualsiasi materiale (e qualsiasi, nel suo caso, voleva dire quasi tutti).
Ferito alle gambe mentre cercava pacificamente di sedare una rissa (1983), con il risarcimento ottenuto, decise di partire per New York. Qui la sua vita cambiò; si poté dedicare definitivamente all’arte e nel 1988 espose per la prima volta in una personale. Cominciò la carriera come scultore, ma da subito si interessò alla rappresentazione fotografica delle sue opere e alle molteplici possibilità dell’immagine. Il lavoro di Muniz è un alternarsi di tematiche differenti e nuove sperimentazioni. Sa essere giocoso e ironico, ma anche provocatorio e critico. In Sugar Children (1996) disegna con lo zucchero i volti di sei bambini le cui famiglie lavorano nelle piantagioni dell’Isola di Saint Kitts. Lo zucchero con cui i bambini sono rappresentati è lo stesso che consuma i loro genitori, lo stesso che cambierà la loro vita. Un lavoro toccante che lo porta ad esporre per la prima volta al Moma, nella mostra New Photography del 1997, e che oggi è nella collezione del Metropolitan.
Materiale non ortodosso sono anche i rifiuti con cui Muniz realizza Pictures of Junk (2006), una serie ambientata nella più grande discarica del mondo, Jardim Gramacho, appena fuori Rio De Janeiro. Qui (fino al 2012) lavoravano migliaia di persone cercando nell’immondizia materiale riciclabile da vendere o barattare. Opere in cui si mischiano i rifiuti ritrovati nel luogo, al disegno, ispirato ai grandi capolavori del passato. Il progetto artistico (che si trasforma anche in aiuto umanitario) fu esposto per la prima volta proprio al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro e raccontato nel cortometraggio Waste Land (2010), poi candidato al premio Oscar.
Dalla serie Pictures of Junk, Benappi espone due incredibili lavori di ispirazione classica: Leda e il Cigno, da Leonardo da Vinci (2009) e Vulcano che fabbrica le frecce ad Amore, da Alessandro Tiarini (2006), entrambi simbolo della capacità compositiva e immaginativa dell’artista.
Muniz realizza Sugar Children e Waste Land, ma anche Marilyn di diamanti e Karl Marx di caviale. Composizioni effimere, tra realtà e finzione, dove non è tanto importante ciò che l’opera rappresenta, ma come qualcosa riesce a rappresentare qualcos’altro. Creatività inesauribile, tecnica impeccabile, sorpresa e stupore.
Una parte del suo lavoro è anche dedicata al collage, ai puzzle e ai ritagli di giornale. Ama i media e conosce molto bene la storia dell’arte, per cui, con naturalezza, cita i capolavori più celebri e trae ispirazione dalle immagini più note della memoria collettiva: i grandi avvenimenti storici, le cartoline delle città più visitate, i personaggi iconici. Mette alla prova il nostro modo di vedere e la nostra percezione costringendoci a riflettere su ciò che abbiamo di fronte e su cosa significhi veramente guardare. È tutto un gioco, ma molto più serio di come appare.
Chiara Massimello