A metà degli anni Ottanta due concetti si sono cristallizzati nel lavoro di Haim Steinbach. Uno è ormai così ampiamente riconosciuto da essere diventato paradigmatico: la mensola strutturalista, con le sue dimensioni variabili e le sue proporzioni rigorose che offrono una piattaforma per la selezione e la disposizione degli oggetti. L’altro è il suo lavoro con i testi trovati. I testi di Steinbach sono oggetti trovati, reimpiegati con i caratteri tipografici originali intatti. La loro scala e la loro posizione sono variabili, ma il carattere delle parole e dei font conferisce loro una dimensione di oralità che è fondamentale per il loro significato. Le sentiamo quando le vediamo. Ciò diventa esplicito in un’opera come beep honk toot, 1989. È come se il carattere tipografico fosse progettato per esprimere il tono della frase in modo analogo all’espressione facciale di un oratore.
In occasione della sua mostra beep honk toot alla Galleria Lia Rumma, Steinbach introduce una nuova direzione alle sue opere murali, il “testo condensato”, presentato al piano terra. Il suo hello again (condensed) si basa sul testo murale hello again, 2013, esposto nel 2019 per la riapertura del Museum of Modern Art di New York. Quest’opera è stata elaborata digitalmente, o “condensata” attraverso un sistema di frammentazione e riorganizzazione. Si pensi a un puzzle composto da pezzi che sono parti di una frase o di un brano.
Al primo piano, in beep honk toot (condensed/spectrum) Steinbach espande il processo di condensazione includendo il colore. Partendo dal testo a parete beep honk toot esposto nella mostra Forest of Signs: Art in the Crisis of Representation al Museum of Contemporary Art di Los Angeles nel 1989, il risultato del processo di condensazione è limitato a una griglia di tre per tre riquadri. Un generatore di numeri casuali produce una serie di tessere a gradiente di spettro o a tinta unita. Queste tessere vengono talvolta selezionate a caso per essere riorientate o addirittura cancellate. I risultati vengono poi trasferiti sulla tela, prendendo in prestito lo status del dipinto come piattaforma prototipica per pensare il colore. Il dipinto come convenzione, il dipinto come mensola.
Sei Particle Board with Black Shapes della metà degli anni Settanta e tre nuove composizioni di scaffali, due delle quali sono commissioni con oggetti di collezionisti, sono presentate al secondo piano. Le forme nere delle opere intitolate Particle Board, realizzate con un bastoncino d’olio attraverso uno stencil, sono “sagomate” in un modo che prefigurano le sue recenti opere “condensate”. Il “taglio” è letterale, nel ritagliare le forme dallo stencil, ma anche logico, in quanto le forme sono frammenti della griglia sottostante prevista dal formato quadrato del pannello in truciolato. Ogni pannello è ricavato da un foglio standard di truciolato, che di solito costituisce la sottostruttura della parete di una galleria. Il muro si ripete nell’opera e l’opera porta il supporto architettonico nel gioco. Le mensole a cuneo dalle proporzioni rigorose delle sue opere paradigmatiche composte da mensola e oggetti, seguono questa logica, estendendo le trasformazioni della griglia in un supporto tridimensionale.
La punteggiatura è sempre stata un’utile analogia per i modi in cui alcune caratteristiche della grammatica degli oggetti di Steinbach vengono messe a fuoco. Si pensi, ad esempio, all’uso del giocattolo per cani in gomma “Kong”, che ricompare in questa mostra nell’opera Untitled (kong, books, sculpture, head, totem). Oppure la rima di forme, culture e le qualità materiali tra la caffettiera Lavazza e il porta-bacchette a forma di panda in Untitled (chopsticks, coffee maker). Ma è il cestino nero “jack-o’-lantern” della sua opera trick or treat a punteggiare l’intera mostra con un sorriso provocatoriamente beffardo. Ci ricorda che il “cut-out” è incorporato nelle espressioni vernacolari e nel “display”. Che un triangolo è un naso, che un carattere tipografico è un tipo di faccia, che un suono ha un colore, che le associazioni possono essere allo stesso tempo strettamente controllate e sconcertantemente libere.