Ecco le immagini del raffinatissimo allestimento della mostra di Bertozzi & Casoni al Labirinto della Masone. Non è quel che sembra che, aperta sino al 7 gennaio 2025, stupisce per la ricercatezza tecnica e formale in grado di raccontare la società contemporanea con sguardo lucido ed originale, vuole mettere in luce in particolare il tema della corruzione e del disfacimento dell’ambiente naturale dovuto all’intervento umano; un richiamo alla responsabilità collettiva, evidenziando il potenziale di rigenerazione che è custodito nella natura stessa.
Duo artistico nato a Imola nel 1980, Bertozzi & Casoni è composto da Giampaolo Bertozzi e da Stefano Dal Monte Casoni, scomparso nel 2023, artisti emiliano-romagnoli che si sono formati entrambi nell’ambito della ceramica faentina e che hanno da sempre eletto questo mezzo espressivo a protagonista assoluto delle loro creazioni, riscattando la ceramica dal ruolo secondario in cui l’arte più contemporanea l’aveva relegata e raggiungendo grandi successi anche internazionali grazie alla partecipazione e varie prestigiose mostre all’estero. Dall’inizio del nuovo millennio hanno abbandonato la tradizionale tecnica della maiolica dipinta per specializzarsi in materiali e tecnologie di derivazione industriale che hanno permesso una resa della ceramica sempre più mimetica nei confronti della realtà; la difficoltà esecutiva dovuta alle sperimentazioni sempre più innovative diventa una facilità percettiva per il pubblico, che a stento riesce a distinguere il finto dal vero.
Le opere realizzate dal duo sono il frutto di lunghi, attenti e meditati studi, le composizioni precise vengono spesso modificate fino all’ultimo in una ricerca costante del perfetto equilibrio tra forma e contenuto, consegnando infine ai fruitori delle sculture dall’iconografia improbabile eppure realistica, ricche di riferimenti alla cultura pop e al mondo della storia dell’arte e ai sui più celebri interpreti: si allude a un teatro dell’assurdo legato alla quotidianità della vita che riesce a rielaborare con sguardo originale e riconoscibile la nostra società contemporanea, producendo opere in bilico fra ironia e critica al consumismo, dove l’iperrealismo delle creazioni suscita dubbi e lo splendore fa nascere riflessioni sul disfacimento della società.
Nella mostra al Labirinto della Masone sono una quarantina le sculture che i visitatori trovano non solo nelle sale dedicate alle esposizioni temporanee, ma anche lungo il percorso museale, in un dialogo che coinvolge spazi e opere e che vuole attivare riflessioni soprattutto sulla relazione tra uomo e natura oggi. È così che nella sala dedicata al Parmigianino si incontra Flamingo, scultura composta da due fenicotteri di cui uno con il collo reciso popolato di farfalle, e tra le opere del Novecento c’è Nelle tue scarpe (un’epifania), in cui le scarpe di un noto brand sono rappresentate logore e usurate; Sedia elettrica con farfalle si staglia nella saletta dedicata alle vanitas e nelle gallerie dove sono esposti i volumi della casa editrice Franco Maria Ricci ci sono due opere in cui i libri costituiscono oggetti di uso comune, accompagnati da cibo e tazzine sporche di caffè.
Si entra poi nel vero e proprio spazio espositivo e nella prima sala il pubblico trova subito la serie delle stagioni ispirate a quelle celebri di Arcimboldo: qui al trionfo di frutta, verdure, fiori e piante si aggiunge l’inquietante Quinta stagione che prende forma da plastica, cavi, scarti dell’uomo. Il deterioramento della realtà prosegue nella presenza di animali imprigionati in sacchi di plastica e sopra a barili sporchi, fino ad arrivare all’enorme Caretta caretta, creata appositamente per questa mostra, in cui una tartaruga marina giace su un tavolo veterinario, impigliata nelle reti da pesca gettate dall’uomo, e che forse però proprio grazie all’intervento dell’uomo potrà salvarsi. La seconda sala offre una visione disincantata della vita umana, rappresentata da una delle loro opere più note, Resistenza 2, dove una grande tavola alla fine di un banchetto è colma di avanzi di cibo e stoviglie usate, accompagnata da altre opere con piatti sporchi, sacchetti di plastica e cestini di immondizia. Tra i resti di cibi vari ci sono uova rotte, come in Corno e Istantanea, e polipi, in Vassoio Ma: da tutti questi oggetti emerge un ritratto crudo e realistico della società consumistica contemporanea, cristallizzata e sospesa nel tempo. Nell’ultima sala del percorso il tema della mostra si evolve verso una nota di speranza: qui sono esposte nuove forme di vita che emergono dalle macerie del disfacimento umano, con animali e piante che ritornano a popolare ambienti sporcati dall’uomo e fiori che ricrescono su zolle piene di sigarette e cartacce. Il recupero di oggetti “abbandonati”, a volte sporchi, comunque silenziosi e inermi, riporta ad una seconda vita gli stessi oggetti, che diventano punto d’interesse non solo per gli animali che li popolano ma anche per l’osservatore che si trova ad osservarli fuori dal loro contesto quotidiano e il cui sguardo le trasforma in opere d’arte. Questa sala celebra la capacità della natura di rigenerarsi, suggerendo che, attraverso un impegno collettivo e consapevole, è possibile riparare i danni inferti e favorire un futuro più sostenibile.