Il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di Torino racconta, attraverso 70 opere e un inedito carteggio, il controverso rapporto che legò Giorgio de Chirico al Surrealismo. Dal 31 ottobre 2024 al 2 marzo 2025.
Come ogni anno, più di ogni anno. Se il Surrealismo è da un secolo una delle correnti più affascinanti della storia dell’arte, popolare e sofisticata al tempo stesso, il 2024, che segna proprio il rotondissimo anniversario della nascita, segna un’infittirsi delle occasioni espositive dedicata agli artisti che ne hanno fatto parte. Non esula da questo giro Giorgio de Chirico, che ebbe un ruolo fondamentale nella nascita e nello suo sviluppo. Su questo aspetto, dunque prendendo in esame uno specifico arco temporale che va dal 1921 al 1928, si concentra la mostra che il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto di Torino dedica al pittore italiano. Un discorso che si allarga a considerare anche il suo complicato rapporto con André Breton, il fondatore del movimento, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala (che poi sposò Salvador Dalì).
Sono oltre 70 le opere in mostra, tra cui una cinquantina di dipinti e opere su carta di Giorgio de Chirico, affiancate a una ventina di ritratti degli artisti, poeti e scrittori surrealisti, fotografati da Man Ray e Lee Miller. Spicca poi il il carteggio de Chirico – Breton (1921-1925), inclusa la lettera del 1924, finora poco conosciuta, in cui l’artista propose di realizzare per Breton la prima replica di un’opera del periodo metafisico, quella de Le muse inquietanti del 1918. Un documento mai esposto prima d’ora, arrivato in prestito dalla Bibliothèque littéraire Jacques Doucet di Parigi.
Prima e oltre le parole, sono di dipinti stessi a raccontare il controverso rapporto intercorso tra de Chirico e i Surrealisti. Tutto iniziò quando Breton scoprì la sua pittura metafisica, a Parigi, nel 1916, grazie al poeta-critico Guillaume Apollinaire. Da qui un lungo corteggiamento che andò concretizzandosi solo nel 1924, quando il pittore e Breton si conobbero a Parigi. Finalmente il genio metafisico si era unito al gruppo. Un idillio durato nemmeno due anni, che si inasprì rapidamente nel corso del 1925, con una rottura definitiva nel 1926. Il culmine fu raggiunto con la dichiarazione pubblica di Breton secondo cui de Chirico era ‘morto’ artisticamente nel 1918.
Cos’era cambiato? Lo stile dell’artista italiano, che aveva abbandonato piazze e manichini in favore di un ritorno al Classicismo, considerato inspiegabile e svilente da parte dei Surrealisti. Che si lo confinarono ai margini del gruppo, ma al contempo continuarono a commissionargli repliche e copie dei capolavori metafisici. Nel frattempo, come racconta la mostra, de Chirico portò avanti il suo interesse classicista in opere come Lucrezia, 1921 circa, o Autoritratto con la madre, 1922, e Autoritratto, 1925 – la prima opera dechirichiana acquistata dallo Stato Italiano.
L’elemento della sua continuità dell’opera metafisica degli anni Dieci, da lungo denominata come una “metafisica continua”, è invece testimoniata, ad esempio, da Natura morta con cocomero e corazza, 1922, L’aragosta (Natura morta con aragosta e calco), 1922, o La mia camera nell’Olimpo, 1927, dove, in un’atmosfera fantastica ed enigmatica, compaiono, uno accanto all’altro, oggetti accostati apparentemente in maniera casuale. La continuità con il suo passato emerge anche in opere come Facitori di Trofei (1926-1928), in cui convivono elementi del passato e del presente: figure antiche, frammenti di colonne, fiamme stilizzate, profili di cavalli, il timpano di un edificio classico, fusi insieme da tre personaggi-manichino intenti nella costruzione dell’iconico “totem-trofeo”.
Segno evidente che il percorso poetico di de Chirico fu organico e complesso, e che se i Surrealisti lo vissero come un passo indietro fu a causa del conservatorismo estremo che Breton imponeva al gruppo, o a questioni personali che l’apparato documentale della mostra prova a mettere in luce.