Com’è Verona fuori dalla bolla fieristica? Una posto bellissimo, dove gli eventi si susseguono e s’intrecciano. Pure troppo. Visto che star dietro a tutti è impossibile, per la gioia dei nostri lettori ne abbiamo selezionati e provati tre.
ArtVerona si, no, ni. Qualunque sia il responso, una buona esperienza in fiera è fatta anche di tutto quanto si può trovare fuori dalla fiera stessa. Ci riferiamo quindi ai cosiddetti “eventi collaterali”, ovvero tutto ciò che serve ad ampliare gli orizzonti degli appassionati d’arte dopo aver camminato in lungo e largo tra gli stand. Un modo per fare sistema tra varie realtà di zona, permettendo a più pubblico possibile di conoscere meglio il territorio, ché chi di Verona si limita a vedere la fiera dovrebbe essere perseguibile penalmente. Ad ArtVerona tutto questo l’hanno chiamato simpaticamente Art & the city, una rete ampia, virtuosa e ragionata, che raccoglie varie tipologie di eventi. Ecco la nostra piccola selezione, mutuabile in dritte per una passeggiata a tappe nell’affollatissimo centro cittadino veronese.
La Galleria d’Arte Moderna è nel Palazzo della Ragione, offrendo un percorso di visita che combina bene l’attrattiva con una selezione oculata di opere. Terminato il percorso (e comunque non prima d’aver avuto un elettrizzante faccia a faccia con La Meditazione di Francesco Hayez) la palla passa ad ArtVerona, che lì ha inaugurato l’altra metà del progetto fieristico Habitat con “Mario Merz. Il numero è un animale vivente”. Mostra, curata da Stefano Raimondi e Patrizia Nuzzo, allestita in un’unica sala pregna dell’universo Merziano. Un universo dinamico, dominato dalla successione di Fibonacci, nonché dal fare per comprendere: si gira intorno ad una struttura tipicamente igloo per dare un senso a Le case girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle case?, mentre figure animali su carta traslucida vengono sovrapposte come fotogrammi di una sequenza. Ci si ferma quindi di fronte a pile di quotidiano l’Adige, in un’installazione in cui l’affastellamento di annate e prime pagine definisce una sorta di dinamismo invisibile chiamato “tempo”: ovvero la vita. L’opera di Merz resta comunque espressamente legata anche anche alla fisicità, a progetti poco patinati e molto determinati dalla componente materica, prima ancora d’esser poveristi. A tal proposito, avere in teca una foto in cui si vede l’artista all’opera è un gran valore aggiunto.
Scegliere d’incamminarsi verso Castel San Pietro non è alla portata di tutte le gambe. Da mettere in conto ci sono un’infilata di scalini che nemmeno la salita al Calvario. Poi, però, si è ripagati da un panorama sulla città da fare a gomitate (fiatone permettendo) per uno scatto. E, ovviamente, da “Tomorrows – A Land of Water“, progetto di Fondazione Cariverona con Veronafiere S.p.A. – ArtVerona, Contemporanea – Università di Verona, Urbs Picta. Una mostra che guarda al presente/futuro concentrandosi sul tema dell’acqua, soggetto non facile di questi tempi: troppo spesso quando certe tematiche scottanti passano nelle mani di chi si occupa di arte (a vario titolo), queste tendono a raffreddarsi nella coolness del momento. Figuriamoci quando si ha a che fare con sostenibilità, crisi climatica e vita sulla terra. Complimenti quindi alle curatrici, Jessica Bianchera e Marta Ferretti, impegnate come poche altre a non trasformare l’acqua in spritz, mettendo su un progetto espositivo focalizzato più sulla sostanza che sulle chiacchiere da cocktail. Una mostra in cui Elena Mazzi tratta la questione acqua passando per ecologia, equilibri economici, politica internazionale e geopolitica. Elemento principale un video, dove si racconta la creazione della Polar silk road, una rotta attraverso le regioni dell’Artico interconnessa alla realizzazione di un porto presso Finnafjörður, in Islanda. Ci andiamo diretti, anzi direttissimi: è un lavoro che tocca la perfezione per le sequenze di immagini, per il tono assertivo della voce fuori campo e per il testo che suona come una fomentata e gloriosa presa per i fondelli. Un tragitto più breve, le merci arriveranno prima con questa rotta che connetterà Europa, Russia e Cina, bypassando il Canale di Suez e modificando irreversibilmente ecosistemi. È questo il futuro in cui crediamo (?).
Centrato anche l’intervento del collettivo DAVRA (Saodat Ismailova, Madina Joldybek, Zumrad Mirzalieva), alle prese con i cambiamenti dovuti alla creazione del Canale del Fergana, in Asia Centrale, correlati al lavoro del cotone e quindi alla ruolo delle donne in loco. L’acqua secondo Alberta Whittle si affronta trattando la relazione tra colonialismo e catastrofi ambientali (stiamo sintetizzando oltremodo, è vero, ma la videoinstallazione dura 45 minuti e noi non abbiamo caratteri a sufficienza), mentre per Lina Dib è un video interattivo che ragiona su catastrofi ambientali come quella prodotta dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel 2010, rea d’aver rovesciato litri e litri di greggio nel Golfo del Messico. C’è un bagnasciuga accogliente, un mare che si perde nell’orizzonte verso un tramonto rosso e in sottofondo la risacca. È lontano, e lontano deve rimanere. Da vicino, infatti, quel mare rallenta e diventa nero, la risacca un suono sordo. Ci stiamo immergendo in un sogno che rischia di trasformarsi in un incubo.
“Tomorrows – A Land of Water” è parte del più vasto progetto Panta rei, che a sua volta prosegue con una mostra – di nuovo a cura di Bianchera – presso la sede di Fondazione Cariverona. Qui l’acqua è quella che si attraversa per andare e tornare da Castel San Pietro. Quella dell’Adige, raccontato in tutte le sue trasformazioni tra ‘700 e ‘900 attraverso alcuni pezzi della collezione Cariverona. Un Bernardo Bellotto in bella vista (con vecchia attribuzione a Canaletto ancora in cornice), assieme a un Gaspar Van Wittel (Gaspare Vanvitelli suona autarchico, vero?) sono tra i pezzi più catchy (alle volte un inglesismo vale più di mille parole, italiane of course). Belli eh, ma mai quanto quel Rubens Santoro del 1890, in cui il Canale dell’acqua morta è preso con una luce potente e un lavoro di riflesso impressionista da lacrime. Per la cronaca, quel canale oggi nemmeno esiste più, è stato interrato. E poi c’è lei, la Donna che nuota sott’acqua di Arturo Martini. È in uno spazio tutto suo, una sala grigia, spoglia, martinianamente perfetta per quel pezzo di marmo di Carrara modellato dallo scultore di Treviso con un tocco inconfondibile. Un tocco potente, che crea volumi importanti, dalle mani, al busto e fino alle dita dei piedi; che fa onore alla storia della scultura, con una torsione studiata alla Torso del Belvedere. Un tocco che ha sempre messo in discussione la scultura in quanto volume fisico, fluente nell’aria come nel mare. Date retta a noi: che ArtVerona abbia chiuso o meno i battenti, a Martini non si comanda.