Mark Manders e Stefanie Heinze, uno scultore e l’altra pittrice, sono i protagonisti di due mostre che la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino ha appena inaugurato (e che resteranno esposte fino al 16 Marzo 2025).
Realtà e finzione si confondono a Torino, che come nelle più antiche delle narrazioni oniriche sembrano essersi risvegliate nell’art week 2024. A guidarle non può che essere Artissima, fiera d’arte contemporanea che raccoglie sotto il tema del daydreaming tutte le suggestioni creative che costantemente abbiamo, ma che difficilmente riusciamo ad afferrare. Provano a farlo, oltre che gli artisti all’Oval Lingotto, anche i due esposti alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che nelle mostre organizzate per l’occasione sembrano allinearsi proprio alla linea poetica scelta da Luigi Fassi per la sua creatura fieristica.
Mark Manders e Stefanie Heinze, uno scultore e l’altra pittrice, mettono a nudo i rispettivi mondi – o una loro versione tendente al vero, o tendente al falso, chissà? – in due personali che segnano le prime monografiche italiane per entrambi. Probabilmente non un caso trovarli affiancati, in un percorso separato ma attiguo, contigue per temi e probabilmente anche per tono emotivo, anch’esso controverso, tra il familiare e il disturbante. Un esito forse inevitabile quando si decide di abitare il lato sinistro della realtà, quello dove la logica e la verità cedono il passo al lessico della suggestione.
Basta guardare alle premesse con cui Menders lavora dal 1986 al suo progetto di lungo corso Autoritratto come edificio, di cui una parte è esposta da Sandretto: la ricerca sulle potenzialità narrative della scultura e la costruzione di un’idea espansa di autoritratto, lontana da una dimensione letterale e biografica. In questa cornice, le opere di Manders corrispondono a “parole visive”, e le sue mostre a “stanze” di un edificio immaginato, riflesso mutevole dell’identità e della narrazione dell’artista.
Nell’esposizione di Torino, Silent Studio, è riprodotto per l’appunto lo studio di Manders, luogo reale e al tempo stesso mentale, composto di assi di legno sul pavimento e di tende semitrasparenti come pareti. Una struttura semi-labirintica che si sovrappone all’architettura minimalista della Fondazione. Al suo interno, più di venti opere, tra sculture, installazioni, mobile, in bronzo, acciaio, ferro, ma anche carta e pittura, che trasmettono un’idea di transitorietà e vulnerabilità, resa attraverso una conformazione apparentemente non finita e l’impiego di materiali solidi, come il bronzo, che simulano la fragilità dell’argilla. Il terriccio argilloso disperso ovunque partecipa all’inganno, aumentando il senso di decadenza e malinconia tipica, forse, di tutti le immagini di noi che ci creiamo a posteriori.
Con sibillina incertezza parla anche la pittura di Stefanie Heinze, che rifiuta di prendere una posizione univoca nella contrapposizione tra astrazione e figurazione e si situa nel territorio di mezzo tra le due. Un luogo di certo già esplorato in precedenza da colleghe e colleghi, ma che la pittrice interpreta in modo personale, cercando di integrare nelle sue opere tenerezza e vulnerabilità, spiritualità antiche e urbane, goffaggine e curiosità. Un universo personale che la mostra Your Mouth Comes Second distribuisce in modo avvolgente lungo le pareti della sala espositiva, attraverso dipinti di grandi dimensioni e ricchi di forme ambigue.
Quelle che potrebbero sembrare parti del corpo, cibo, animali e oggetti quotidiani si fondono e si dissolvono, fluttuando su piani vivaci che si sovrappongono e si oscurano reciprocamente. Senza filtri, i segni e i simboli che appaiono sulle tele sono indistinguibili da elementi casuali. Le sue pitture abbracciano la confusione e l’incertezza, destabilizzando qualsiasi senso di forma o narrazione fissa. Spogliando il linguaggio e sabotando l’eccessiva predominanza della mente, Heinze mira a disturbare la psiche, a riconnettere il corpo e i suoi sensi, a mobilitare la percezione.