
Il vento del contemporaneo soffia forte sulla capitale in questi mesi autunnali, e porta con sé tante importanti novità degne di nota.
Il primo posto spetta alla Fondazione D’Arc, un nuovo ambizioso spazio espositivo promosso dai collezionisti Giovanni e Clara Floridi: 6000 metri quadrati in via dei Cluniacensi, nel cuore del quartiere Tiburtino, dove lo studio di architettura 3C+t Capolei Cavalli ha recuperato una fabbrica di cemento abbandonata da vent’anni, costruita sul sito di una domus romana del III secolo d.C. Lo spazio parte con i migliori auspici, affiancando alla presentazione di una collezione dedicata principalmente all’arte italiana moderna e contemporanea – con opere di maestri come Giulio Turcato, Alighiero Boetti, Anselm Kiefer, Christo e Joseph Kosuth – affiancati a artisti delle ultime generazioni come Paolo Canevari, Vanessa Beecroft, Loris Cecchini, Chiara Camoni, Giorgio Andreotta Calò, Giulia Cenci, Fabrizio Prevedello e Bea Bonafini, un programma di mostre e residenze affidate alla direzione artistica di Giuliana Benassi. Un luogo ampio e spazioso, dove si respira un’aria internazionale – la somiglianza con le collezioni di Miami (Rubell, Cisneros o Margoulis) salta all’occhio, anche per l’estrema attenzione ai dettagli. Non è difficile immaginare che questo spazio potrà in qualche modo cambiare la percezione dell’arte contemporanea legata alle fondazioni private romane, già attive e dinamiche ma in spazi di dimensioni più ridotte rispetto alla D’Arc.

Un vero e proprio tsunami ha investito un’istituzione paludata come l’Accademia di San Luca, dove è aperta una notevole personale di Alighiero Boetti, curata da Marco Tirelli, presidente dell’istituzione, e Caterina Boetti, presidente della fondazione Alighiero e Boetti, in occasione del trentennale della scomparsa dell’artista. Raddoppiare Dimezzando riunisce pochi selezionatissimi lavori di Boetti, ispirati ai temi del doppio e della proliferazione, dall’uno al molteplice. Un percorso che prende avvio dal porticato eseguito da Francesco Borromini, dove è collocato Autoritratto (1993), una scultura in bronzo con l’effige dell’artista a grandezza naturale con una pompa che gli raffredda il capo fumante. La seconda tappa è il Salone d’Onore, trasformato per l’occasione in un ambiente museale, che ospita alle pareti il lavoro Opera postale (De bouche à oreille) (1992-93). Si tratta di un’unica installazione composta da undici serie diverse, con 506 buste postali affrancate e timbrate, accompagnate da altrettanti disegni a tecnica mista, che Angela Vettese definisce “un compimento dei diversi temi attraversati dall’artista nel suo percorso”. A proposito di questa installazione, esposta in rare occasioni, Tirelli aggiunge: “In Opera postale c’è lo spirito della vita e della carriera di Boetti”. La mostra prosegue con altri due lavori iconici, Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 (1969) e Gemelli (1968), necessari per completare un percorso espositivo essenziale di grande qualità.

Boetti è protagonista anche di un’altra mostra, proposta dalla galleria Tornabuoni. Intitolata Alighiero Boetti. Cabinet de curiosités, riunisce duecento documenti inediti, messi a disposizione dalla figlia Agata, che svelano i lati più intimi e privati dell’artista, tra i quali spicca l’opera in progress Muro (1972-1993), definita dalla moglie Anne Marie Sauzeau “iconostasi privata della sua esistenza”, composta da manufatti come un dipinto di Salvo, una foto con Francesco Clemente e alcune poesie di Sandro Penna. Centinaia di materiali disparati si dispiegano come una “quadreria delle ispirazioni” di uno degli artisti più geniali del secondo Novecento, presentati insieme ad alcune opere come Storia naturale della moltiplicazione (1974-75) e una grande Mappa (1983), quasi a corollario di una mostra suggestiva e originale, pensata come una wunderkammer incentrata sull’essenza più intima di un artista che si definiva “partigiano dei tempi lunghi”.

Infine, la scena romana delle gallerie si arricchisce di un nuovo spazio: dopo anni di attività a Milano, la gallerista Federica Schiavo torna a Roma, dove ha aperto uno spazio a Lungotevere dei Vallati 2. Affacciato sul porticato del palazzo dei Cento Presti, è un unico ambiente con pareti molto alte, perfetto per ospitare le opere del pittore tedesco Michael Bauer (1973), protagonista della mostra Helmeted Towards Dawn. La personale riunisce una serie di tele di dimensioni diverse realizzate negli ultimi due anni, che riprendono nelle loro cromie squillanti la tradizione dell’astrattismo di Wassilj Kandinsky e Franz Marc, in bilico tra astrazione e figurazione, con un cromatismo dinamico e psichedelico ispirato da autori di fantascienza come Clark Ashton Smith, Samuel Delaney, David Bunch e Jack Vance.