Attivare socialmente concetti socio-identitari per consentirne una comprensione profonda, un ascolto vero. Dare una possibilità, attraverso dei differenti “incontri”, di condividere “cose collettive” mediante la sperimentazione di tempi e spazi comuni.
É stato infatti con l’obbiettivo di istituire un osservatorio poetico sulla pratica della collettività che Palazzo Bronzo – team eterogeneo che pone la collaborazione tra artist* come uno dei punti fondamentali per sviluppare la ricerca artistica e sociale – ha partecipato a FARE COLLETTIVO, il progetto culturale di Platea | Palazzo Galeano dedicato al fenomeno dei collettivi artistici. In occasione dell’ultimo appuntamento per il 2024 promosso dall’associazione lodigiana, abbiamo approfondito con gli esponenti del gruppo alcuni temi cardine della progettualità..
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In occasione di FARE COLLETTIVO avete accompagnato l’intera programmazione con la creazione di un progetto editoriale dal titolo IPERROMANTICO. Da quali premesse si è originato questo volume? Qual è il suo obiettivo a breve e lungo termine?
La proposta è partita da Carlo Orsini, che conosceva la realtà di Palazzo Bronzo e desiderava approfondire il tema dei collettivi artistici. La proposta di Carlo ci ha stimolato ad approfondire il discorso sia in termini metodologici che in termini poetici e umani. Già da tempo sentivamo l’esigenza di riflettere sulla nostra stessa natura e sulla premura che sentiamo nei confronti dello spazio sociale e culturale che abbiamo creato. Il contesto generatosi a Lodi ci ha offerto proprio questo: un lungo respiro in cui studio, interazione, stare insieme e collaborazione si sono trasformati da metodo a praxis. Questo ha dato vita ad un lavoro plurale ed eterogeneo incarnato in primis nella pubblicazione Iperromantico, oltre che nel progetto installativo contemporaneo alle mostre degli altri collettivi.
Il campo d’indagine è stato ristretto ai collettivi selezionati da Giulia Menegale in collaborazione con Platea Palazzo Galeano: RM, MRZB, Extragarbo e Hardchitepture. L’indagine, cominciata con le interviste ai quattro collettivi, si è sviluppata immediatamente in una più ampia ricerca fatta di deviazioni poetiche e riflessioni riguardanti il concetto di collettività e le affezioni che comporta.
Iperromantico non ha come scopo un’indagine universale sui collettivi, lo sguardo del progetto non è storico né storiografico. L’interesse è interamente focalizzato sul presente e attraversa tanto le persone che abbiamo incontrato durante il progetto, quanto noi stessi e i nostri alias. Nell’incontro l’obiettivo é stato fin da subito istituire un osservatorio poetico sulla pratica della collettività, che per noi rappresenta un passo strutturale di crescita e consapevolezza.
Il titolo del Vostro progetto editoriale è sicuramente incuriosente ed evocativo. Come l’avete scelto?
Il nome è insieme una ammissione e uno statement: stare insieme è una scelta e anche una promessa, impedire che questa promessa non venga spergiurata è in fondo anche una dichiarazione d’amore. Il nostro modo di stare insieme lo chiamiamo essere una collettiva, in alternativa al dirsi collettivo. La collettiva (o puddinga) è un concetto più fluido e molecolare del collettivo, che infatti presenta parti insolubili e mutevoli. Ha a che fare con una sensazione di distanza verso l’istituzionalità e l’aspetto quasi burocratico (matrimoniale) dell’essere un collettivo, a cui opponiamo un’organizzazione strutturale non continuativa ma seriale, proprio come la cura di varie collettive consecutive.
Il concetto di iperromantico nasce all’interno della nostra comunità per provare a descrivere il nostro paesaggio emotivo: consapevoli di essere vicini a concetti quali il sublime, l’indicibile, l’ineffabile, e criticamente consapevoli della verticalità – come nella curia regis di un Palazzo. La nostra collettiva tiene vacante il posto del monarca e sogna romanticamente una serie discontinua di aggregazioni dal nucleo decentrato e mobile, sicuramente affascinata dalla sacralità e dall’immanenza dello stare insieme come corpi nello spazio che abitiamo e condividiamo.
Iper-romantico, un’idea estetica a cui anelare come un ritorno al sovrumano, in cui individuo e comunità, naturale e artificiale, si rincontrano in una coincidentia oppositorum che è rivelazione (o apocalisse) dei nostri tempi catastrofici.
Ogni inaugurazione dei collettivi ospitati da Platea | Palazzo Galeano vi vedeva “protagonisti” a Platea Project, lo spazio per la documentazione e l’approfondimento dei processi creativi che sottostavano a ciascuna esposizione. Quali sono stati i principi che vi hanno guidato nell’allestimento di queste Vostre variazioni e riallestimenti di “Cose Collettive”?
I concetti su cui abbiamo fondato il lavoro installativo e relazionale di Platea Project sono stati quelli di archivio, documentazione, spazio conviviale e punto di incontro. Abbiamo scelto di utilizzare lo spazio come dispositivo multiforme e specchiante, utilizzando metodi di riassemblamento e reimpasto, che ci hanno consentito di visualizzare, e far vivere, un ambiente sempre in costante evoluzione e cambiamento.
In primis c’é stata la necessità di presentare il progetto editoriale Iperromantico. In occasione dell’opening della mostra di RM, abbiamo smembrato ed esposto il libro su un tavolo laboratoriale, dove il pubblico ha potuto sfogliare, osservare e fruire della pubblicazione, dei materiali scartati e di fonti varie (testuali e visive), in una esplosione ordinata di pezzi di informazione, giochi associativi e cuscini.
Per la mostra di MRZB abbiamo lavorato sul concetto di archivio e puddinga, a partire dall’articolo Puddinga all’interno del volume. Il tavolo del primo appuntamento si é evoluto ed espanso in una scaffalatura complessa che ha ospitato un archivio documentale e nuovi interventi artistici. In quanto perno centrale della nostra ricerca e identità, la puddinga è stata materializzata tramite un colossale mescolamento di una betoniera, diventata per l’occasione al contempo protagonista, alleata e simbolo dell’intero processo di ricerca.
In occasione dell’opening di Extragarbo abbiamo instaurato una collaborazione direttamente col collettivo, intersecando le poetiche e gli interventi. Ne è nata una sagra, culminata in un karaoke itinerante, che si è spostata dalla vetrina di Platea Palazzo Galeano fino a Spazio Extra.
Infine, per Hardchitepture, abbiamo deciso di partire da un altro articolo del libro, E bello doppo il morire vivere anchora, per intavolare un discorso condiviso tra Palazzo Bronzo, Hardchitepture e il pubblico sul tema della fine -della rassegna, dei collettivi, del mondo.
Qual è il messaggio che sperate i fruitori abbiano assimilato sia durante la permanenza dei vostri lavori a Platea Project sia attraverso la lettura del vostro Progetto editoriale?
I nostri interventi si sono sviluppati in un arco di tempo molto lungo e dischiudono molte tematiche che abbiamo investigato come parti di altre collettività e come collettiva: il progetto editoriale è stata una summa che ha investigato questi diversi concetti socio-identitari e li ha proposti tramite le interviste, gli articoli e gli interventi a Platea Projects.
Per fortuna questi concetti non sono solo teorici, ma si vivono e comprendono più facilmente attraverso l’esperienza dello stare insieme, come corpi nello spazio, e soprattutto condividendo lo spazio coi fruitori.
L’esperienza di Platea Projects è stata fondamentale per attivare socialmente questi argomenti e consentirgli di essere sperimentati e commentati. Il messaggio costante, di fondo, è legato alla possibilità che le Cose collettive abbiano a che fare con la reale occasione di stare insieme, come corpi che agiscono trasformando gli elementi e le proprie relazioni, come in un’agorà.
Pensate ci siano degli aspetti che ritenete opportuno mettere in evidenza sia del progetto editoriale sia della Vostra esperienza a Platea Project?
È difficile scegliere un argomento preciso. Parlando di collettività che hanno a che fare con altrettante collettività in un contesto pubblico, abbiamo sperimentato e teniamo a sottolineare che l’esperienza è stata molto generativa. Questa pratica ha generato tantissime connessioni, micro-gruppi di intesa – molto aperti e dialoganti – tra fruitori, art-workers e autori, offuscando i confini e rendendo possibile una larga intesa, a testimonianza del fatto che questo dungeon è romanticamente senza fondo.