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Rivoluzionario. Provocatore. Intellettuale. Salvo come non l’avete mai visto: il racconto del gallerista Antonio Addamiano

Installation view Salvo. Arrivare in tempo. Pinacoteca Agnelli Torino, 2024. Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino. Ph. Credit Sebastiano Pe[2]
Salvo Mangione e Antonio Addamiano. Inaugurazione di SALVO – Récits. 2010. Courtesy Dep Art Gallery

“Se fai qualcosa che gli altri non si aspettano, non puoi aspettarti una reazione positiva. Però, se ci tieni a farlo, la reazione positiva arriverà. Devi solo avere pazienza” — Salvo, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2014

Le parole di Salvo Mangione (Leonforte 1947 – Torino 2015) risuonano oggi più che mai. L’autunno torinese si apre, infatti, con la più ampia retrospettiva mai dedicata all’artista siciliano: Salvo. Arrivare in tempo, ospitata presso la Pinacoteca Agnelli, curata da Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti. Un’occasione che arriva finalmente in tempo, tanto per il pubblico quanto per il mercato dell’arte, che negli ultimi anni ha dimostrato un crescente interesse per il lavoro dell’artista. Negli anni Settanta, Salvo si affermò come pioniere del ritorno alla pittura in Italia. In un periodo dominato dal concettualismo e dalle sperimentazioni postmoderne, scelse una strada autonoma, riportando il medium della pittura al centro del dibattito artistico. Una scelta audace, che inizialmente suscitò critiche e perplessità: “Ho avuto dei problemi quando ho iniziato a fare quadri […] A volte, quando arrivava un collezionista, il mio quadro in galleria veniva nascosto. Sperone aveva l’intelligenza di lasciarmi fare, ma non voleva nemmeno perdere clienti” ricordava l’artista nel 2014, riferendosi al suo gallerista storico, Gian Enzo Sperone (Torino, 1939).

Nonostante le difficoltà iniziali, Salvo riuscì a superare ogni resistenza, conquistando un pubblico sempre più vasto e internazionale. Colonia, Parigi, Amsterdam, New York: le sue opere attraversarono i confini, tessendo una rete globale di riconoscimenti. Dopo la sua scomparsa nel 2015, l’istituzione dell’Archivio Salvo e importanti mostre postume hanno continuato a testimoniare la profondità e l’importanza della sua ricerca. A livello internazionale, un ruolo decisivo è stato giocato dalla Galleria Mehdi Chouakri di Berlino e dalla Galleria Gladstone di New York. Sul mercato, la sua ascesa è stata altrettanto significativa, con record d’asta sempre più ambiziosi: come il martello di Christie’s Hong Kong nel 2023, che ha assegnato Il Mattino (1994) per 1,1 milioni di dollari.

Oggi, la retrospettiva torinese aggiunge un nuovo capitolo alla storia di Salvo, rivelando come la sua pittura – dai grandi cicli tematici alla costante ricerca della luce – sia sempre stata in perfetta sintonia con le sue origini concettuali. Per esplorare le pagine più significative di questa eredità, abbiamo parlato con Antonio Addamiano, fondatore della Dep Art Gallery di Milano, che ha dedicato sei mostre personali all’artista. In questa intervista esclusiva, Addamiano riflette su Salvo, rivelando il destino che ha intrecciato le loro vite, dando forma a un legame che continua a risuonare nel presente.

Installation view Salvo. Arrivare in tempo. Pinacoteca Agnelli Torino, 2024. Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino. Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano

Da giovane gallerista a punto di riferimento per l’opera di Salvo: come è avvenuto il vostro primo incontro e quali sono stati i momenti che hanno consolidato il vostro legame?

Iniziai a trattare le opere di Salvo nel 2003, avevo solo ventitré anni ed ero tra i galleristi più giovani in Italia. Mio padre, che era un’artista, mi portava spesso a vedere mostre e fu proprio in una di queste occasioni, presso la galleria milanese Zonca & Zonca, che mi innamorai del lavoro di Salvo. Fu uno dei primi artisti di cui acquistai un’opera, con tanti sacrifici e a piccole rate, con l’obbiettivo chiaro di includerlo, un giorno, nella mia scuderia.

Nei tre anni successivi mi formai come mercante e gallerista e nel 2006, con l’apertura di Dep Art Gallery, iniziò ufficialmente la mia carriera.

Un incontro determinante fu quello con Luisa Castellini, una critica d’arte che aveva curato due delle personali di Salvo a Venezia e Genova. Luisa colse subito il mio entusiasmo e la mia passione per il lavoro di Salvo e decise di presentarmelo. Lui ne fu felice e apprezzò molto il fatto che avessi già acquistato alcune sue opere.

All’epoca, la sua galleria di riferimento a Milano era Zonca & Zonca. Per un giovane gallerista, all’inizio del suo percorso, organizzare una personale di Salvo sembrava un’impresa quasi utopistica. Eppure, Salvo non mi scoraggiò. Mi disse: “Se ce la fai con le tue forze, non te lo impedirò, anzi mi fa piacere: è da anni che non vedo un giovane così determinato”. Non mi vietò di organizzare la mostra, mi incoraggiò a provarci, ma senza ufficializzarla.

Da quel momento, mi dedicai anima e corpo a quel progetto, aumentando l’acquisizione di sue opere. Grazie alla collaborazione con altre gallerie di riferimento per Salvo – Bugno a Venezia e Mazzoleni a Torino – e l’aiuto di alcuni collezionisti che mi prestarono le loro opere, riuscii a completare la mostra. Nel 2007, realizzai così il mio piccolo sogno: Salvo. Opere scelte 1986-2007, una personale nella mia galleria, curata dalla stessa Luisa Castellini.

Questa mostra fu una tappa fondamentale per me e per Dep Art Gallery, che iniziò a crescere, realizzando le prime vendite importanti.

Salvo Mangione e Antonio Addamiano. Inaugurazione di SALVO. Opere scelte 1986—2007. 2007. Courtesy: Dep Art Gallery 

Salvo, nel frattempo, divenne sempre più curioso di me e io di lui. Fu per me una figura fondamentale, quasi un secondo padre in arte. Mi apriva le porte del suo studio due o tre volte al mese, mi invitava a pranzare insieme e condivideva con me la sua visione internazionale, qualcosa che ancora mi mancava.

Grazie a questi incontri, il mio interesse per il suo lavoro crebbe ancora di più, concentrandosi in particolare sui suoi periodi più iconici, degli anni Settanta e Ottanta.

Il nostro grande esordio arrivò con la sua seconda personale, presentata a gennaio 2010 ad Artefiera Bologna. All’epoca, accedere a quella fiera era difficilissimo: si contavano 500-600 gallerie in lizza per soli 200 posti, era considerata l’Olimpo dell’arte. Per un giovane gallerista come me, ottenere uno spazio era una sfida enorme. Eppure ci riuscii grazie a questo progetto, che segnò definitivamente il mio destino con Salvo.

La fiera di Bologna si rivelò un successo straordinario. Grazie a quella vetrina entrai in contatto con il palcoscenico italiano ed europeo di grandi collezionisti. Fu un momento di svolta, tanto per Dep Art quanto per i miei artisti: accanto a Salvo, anche Dadamaino (Milano, 1930 – Milano, 2004) iniziava a ricevere riconoscimenti importanti, e la galleria conquistava un ruolo sempre più internazionale.

A marzo dello stesso anno portai la mostra in galleria, completandola con un catalogo. Intuivo che presentare un progetto prima in fiera e poi in galleria potesse essere una strategia vincente per coinvolgere i clienti che mi avevano scoperto in fiera o che avevano già acquistato le opere. Tant’è che la terza mostra, Salvo – Récits, fu un’esplosione: la galleria, allora molto più piccola di quella attuale, era stracolma di persone.

Installation view SALVO. Un’arte senza compromessi. 2017. Courtesy: Dep Art Gallery

In quel periodo Salvo iniziò a sperimentare nuove tecniche, dipingendo straordinarie tele su juta, un cambio di supporto che mi colpì immediatamente. Nel 2011 decidemmo di progettare la quarta mostra, in occasione della fiera di Roma The Road to Contemporary Art, ponendo quest’ultima ricerca in dialogo con il periodo delle lapidi, creando un forte contrasto.

Anche questa mostra si rivelò un grande successo, soprattutto per i contatti e le relazioni che ne scaturirono. Le lapidi, in quel periodo, erano disperse tra collezionisti e mercanti ma non godevano di una particolare attenzione: portandole al centro del progetto, riuscimmo ad attirare l’attenzione di collezionisti appassionati di arte povera, offrendo loro una nuova visione del lavoro di Salvo.

Dopodiché ci fu un momento buio. Salvo ebbe alcuni problemi di salute e, a parte qualche messaggio, preferii rispettare i suoi spazi. Per circa un anno ci allontanammo. Quando ci ritrovammo, la galleria stava vivendo un momento magico: Simeti (Alcamo, 1929 – Milano, 2021) e Dadamaino (Milano, 1930 – Milano, 2004) stavano riscuotendo grande successo, tanto che le persone mi fermavano per strada per farmi domande. Questo, però, infastidì Salvo. Alla fine, furono gelosie e invidie tra artisti a dividerci nuovamente.

Qualche mese dopo, durante un volo verso Hong Kong – il primo dell’Emirates dotato di wi-fi – ricevetti un messaggio da Norma, la figlia di Salvo. Mi scrisse che suo padre era scomparso. Incredulo, guardai il monitor dell’aereo per capire dove mi trovassi: stavo volando sopra Fujairah, il titolo del quadro più grande che Salvo mi aveva affidato. Mi viene ancora la pelle d’oca a pensarci, sembrava un segnale, quasi volesse dirmi “Devi fare qualcosa tu”.

Dopo la sua scomparsa, il mercato delle sue opere crollò improvvisamente. Così, insieme a un caro amico, iniziammo ad acquistare tutte le opere disponibili. Due anni dopo, nel 2017, organizzai in galleria una mostra monografica intitolata Salvo. Un’arte senza compromessi, accompagnata da un volume curato da Matteo Galbiati.

Installation view Salvo. Arrivare in tempo. Pinacoteca Agnelli Torino, 2024. Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino. Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano

Verso la fine della sua vita, Salvo aveva iniziato a lavorare con la Galleria Mehdi Chouakri di Berlino, Mazzoli di Modena e, nel 2020 la Galleria Gladstone di New York tornò ad occuparsi delle sue opere. La famiglia, molto impegnata con queste realtà internazionali, a quel punto non era più interessata a un’altra antologica. Decisi quindi di concentrarmi su due periodi raramente esplorati, difficili da trovare: le Sicilie e le Italie degli anni Settanta, insieme al tema della città. Nacque così SALVO. Sicilie e città, inaugurata nell’ottobre 2022, accompagnata da un catalogo con un testo di Gianluca Ranzi.

Infine, circa un anno fa, mi domandarono alcune opere per la mostra Salvo. Arrivare in tempo organizzata alla Pinacoteca Agnelli. Quando, ad aprile, acquistai in asta il quadro Arrivare in tempo, mi fu chiesto di prestare sia l’opera che la lettera ad essa legata. Solo più tardi scoprii che quel dipinto sarebbe diventato l’immagine e il titolo della mostra. Una dimostrazione, forse, che il destino che lega me e Salvo non si è mai interrotto.

Installation view Salvo. Arrivare in tempo. Pinacoteca Agnelli Torino, 2024. Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino. Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano

Salvo emerge nelle sue interviste come una figura estremamente pragmatica, lontana dalle teorizzazioni. Come descriveresti il suo approccio all’arte e alla vita?

Salvo era un uomo profondamente pragmatico. Sul lavoro, però, manteneva un approccio diretto e semplice: aveva un’idea e la metteva subito in pratica, senza perdersi in teorie astratte. Preferiva vivere il quotidiano, ma sempre con la consapevolezza e la forza di essere Salvo, di essere il migliore.

Questa forza si percepiva chiaramente stando con lui: riusciva a creare un quadro in pochissimo tempo, difendeva con determinazione le sue idee e vedeva ogni sua evoluzione, variazione o innovazione come una naturale crescita, che non necessitava di analisi troppo approfondite. Anzi, credo che discutere troppo lo annoiasse.

Anche i suoi amici erano persone all’apparenza semplici, ma ricchi di esperienze e diverse culture, con cui condivideva momenti di quotidianità: una partita a biliardo, un bicchiere di vino, una chiacchierata sul calcio. Passava anche moltissimo tempo a leggere, divorando libri su ogni argomento. Insieme ad Adami (Bologna, 1935), è stata una delle persone più colte che abbia mai conosciuto, eppure non faceva mai pesare questa sua cultura. Sapeva un po’ di tutto e, se c’era qualcosa che non conosceva, comprava subito un libro per documentarsi. Questa sua curiosità era straordinaria.

Salvo ha spesso riflettuto sulla storia dell’arte nelle sue opere. Come descriveresti il suo approccio alla tradizione pittorica?

Salvo, pur attingendo al passato, non si limitava a replicarlo: lo rielaborava e restituiva alla contemporaneità con un’impronta fortemente personale. La sua riflessione non era un semplice omaggio alla tradizione, ma un mezzo per affermare sé stesso come artista contemporaneo: per dimostrare di essere il migliore.

Per affrontare un grande maestro e reinterpretarlo in chiave contemporanea, o addirittura sostituirsi a lui, era necessaria una sana presunzione e una convinzione assoluta della propria padronanza, qualità che Salvo possedeva.

Un aspetto che spesso passa inosservato è la sua profonda passione per l’arte antica. Salvo collezionava opere del Seicento, Settecento e Ottocento, oltre ad oggetti asiatici che raccoglieva durante i suoi viaggi.

Negli ultimi anni, abbiamo visto una crescente attenzione per l’opera di Salvo nel mercato dell’arte. Quali cambiamenti hai notato nel modo in cui viene percepito e valutato il suo lavoro?

Le reazioni sono varie. Da un lato, c’è una nuova clientela che si avvicina a Salvo con maggiore interesse, desiderosa di approfondire e comprendere il suo lavoro prima di acquisirne le opere. Dall’altro, alcuni collezionisti storici si trovano davanti a una scelta delicata: realizzare il proprio investimento, vendendo le opere, o conservarle gelosamente. In mezzo ci sono anche i polemici, coloro che faticano a comprendere il successo che Salvo sta riscuotendo.

Le critiche fanno parte del gioco, ma ritengo che parlare di speculazione sia fuorviante: Salvo è un maestro a tutti gli effetti. Mostre come quella attuale alla Pinacoteca Agnelli non fanno che confermare la sua centralità nel panorama contemporaneo.

Quali sono, secondo te, gli elementi chiave che hanno contribuito al rinnovato interesse per Salvo e la sua opera?

Senza dubbio, la qualità dell’artista è il fattore principale. Tuttavia, è stato altrettanto importante il lavoro svolto dall’archivio, che ha permesso di documentare e valorizzare in modo sistematico la sua opera. Questi due aspetti si sono integrati sinergicamente, ponendo le basi per l’interesse che oggi riscuote sul mercato.

A ciò si aggiunge il ruolo fondamentale delle gallerie, dei curatori e dei musei, che hanno dato grande visibilità al suo lavoro; è essenziale, però, che continuino a sostenerlo e promuoverlo nel tempo.

Inoltre, le tendenze globali giocano sempre un ruolo decisivo: negli ultimi anni, temi come l’Africa, il femminismo e la pittura figurativa hanno guadagnato spazio, superando movimenti come il minimalismo e l’astrattismo. Salvo si è inserito perfettamente in questo scenario. La sua pittura, pur radicata nella tradizione, è incredibilmente contemporanea: le sue opere sembrano essere state create oggi, e questo è il suo grandissimo punto di forza.

Salvo ha saputo reinventare il linguaggio pittorico in un’epoca dominata dall’arte concettuale. Secondo te, quale eredità lascia per la prossima generazione di artisti, in particolare quelli che si approcciano alla pittura in un’epoca dominata dalle nuove tecnologie e dai media digitali?

L’eredità di Salvo risiede nella sua capacità di concentrarsi sull’essenziale. Per lui, non erano i dettagli a fare la differenza, ma la sintesi, l’uso sapiente del colore e la capacità di catturare la luce.

In un contesto dominato dalle nuove tecnologie, Salvo dimostra che l’arte può essere espressa in modo immediato e diretto, senza ricercare l’eccesso o la complessità per impressionare il prossimo. Dimostrando che il vero talento, spesso, si misura nell’essenzialità.

Guardando al futuro, quali credi possano essere le prospettive di crescita per l’opera di Salvo e come vedi il suo ruolo nel panorama artistico internazionale dei prossimi anni?

Salvo, ormai da tre-quattro anni, fa parte di quell’élite mondiale che pochi artisti riescono a raggiungere. I dati di mercato e i risultati delle aste lo confermano chiaramente. Raggiungere questo livello era la parte più difficile, ora sia la crescita che eventuali flessioni dei valori fanno parte del gioco: quando si raggiunge questo livello, è fisiologico.

L’obiettivo è che l’opera di Salvo rimanga al centro di questo sistema, ma da protagonista. A mio avviso, la sua presenza nelle collezioni museali, è l’area con il maggiore potenziale di crescita. Nonostante la qualità del suo lavoro, la presenza di opere di Salvo nei musei è ancora limitata, ma sono convinto che, con il tempo e la giusta perseveranza, questo cambierà.

Credo che un collezionista non dovrebbe concentrarsi esclusivamente sull’andamento dei prezzi. Un’opera di Salvo va desiderata: se il quadro è quello giusto e si ha la possibilità di acquistarlo, non c’è motivo di esitare. Collezionare è un atto d’amore verso l’artista.

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