A Palermo una mostra mette in rapporto la scultura contemporanea con il giardino. Opere di Richard Deacon, Daniele Franzella e Loris Cecchini
L’arte contemporanea si rapporta di solito con lo spazio naturale come se questo fosse una variegata galleria verde. Senza rinunciare a una sua cifra stilistica, l’artista contemporaneo ha sovente un approccio parattattico con il giardino. L’esperienza estetica si rinnova, perciò, in uno spazio dove oscilla tra stupore e agnizione, cioè, alternando il mai visto al riconosciuto. In questa mostra alla Galleria Rizzuto di Palermo il giardino è un luogo evocato a cui gli artisti si riferiscono con espressioni diverse e singolari, modulate dal paradigma indicato nel contributo letterario di Daniela Bigi e dichiarato operativamente da una coordinazione che la Fondazione Radicepura promuove nel progetto del collettivo Ground Action.
La mostra, realizzata con il patrocinio dell’Accademia di belle arti di Palermo, è un percorso articolato in quattro momenti di cui quello centrale è anche un luogo di riflessione. La natura contorta e ridestata sottoforma di spazio dell’opera di Richard Deacon che troviamo all’ingresso della galleria, ci parla di come l’albero, che ha fornito il legno per la linea contorta della scultura di Deacon, muove metaforicamente il vuoto centrale e crea il perimetro inquieto di una radura immaginaria, qualificata proprio dalla materia manipolata. (Richard Deacon, Fall, 2019 Wood and epoxy 52 x 240 x 120 cm) Infatti, come la torsione del tronco di un albero, il manufatto segna lo sviluppo progressivo della scultura e conserva simultaneamente perizia tecnica e dato naturale in cui traspare una vitale manualità pervicace ed esperta.
La stessa trasparenza che troviamo in lievi e sottili varianti di tono dei lavori su carta di Deacon. Leggeri andamenti di trame e orditi in cui la luce è catturata da dolci sfumature. Richard Deacon (BED #1, 2024, Fine Art Giclée print on Cotton paper 35,5 x 20 cm). Ancora trasparenze che restituiscono i bagliori cromatici di un amalgama, una solidificazione del caos in piccole sculture del grande artista britannico vincitore del prestigioso Turner Prize. (Small Sculpture 13, 2010 Resin and steel 13 x 6 x 15 cm).
Luogo della quiescenza
Dalla stanza di passaggio, lo snodo centrale di cui si parlava, s’articolano gli spazi a venire della galleria di via del Meletto. Questo è un luogo di una riflessione sul giardino contemporaneo che muove dall’installazione video del Ground Group e poggia sul testo di Daniela Bigi. In questo vario e denso scritto il giardino è visto e analizzato in sedici riflessioni, sedici soste di una passeggiata nel verde. Daniela Bigi ci parla del giardino partendo da quelli di Sicilia dove l’ombra acquista l’importanza del luogo della quiescenza; di contro il Giardino delle tempeste è il luogo dove la mutazione continua della natura ritorna a gestire la scena, in cui, in pratica, l’uomo viene spinto a latere come servo di scena, giardiniere, appunto.
Ed è proprio il giardiniere di Calvino, ossia Liberasio Guglielmi ad essere preso ad esempio; ma il giardino è anche luogo della sofferenza, di “suicidio intellettuale”, come lo definì Eugenio Battisti, e anche una sequenza esecutiva di corpo movimento-giardino-paesaggio nella danza di Anna Halprin. Recinto virtuoso nell’espressionismo, il giardino fu esperimento utopistico per Gianfranco Baruchello, che nel 1985 avviò una serie di riflessioni sul Giardino, un esperimento concretizzato nello «spazio-giardino» di Agricola – Cornelia (Roma 1973 – 1981) da cui, nel 2000, l’artista prese spunto per il libro Io sono un albero, (editrice Ripoli, Roma).
Daniela Bigi, più innanzi, indaga e cita le riflessioni di Fosco Maraini sul giardino Zen. E, da lì, passa al lavoro di Carlo Scarpa a Venezia che, nel restauro della Fondazione Querini Stampalia, diede all’acqua una funzione primaria. La figura dell’architetto a questo punto è chiamata in causa. La lettera a Franco Rella che Vittorio Gregotti scrisse nel 2000 viene analizzata, dalla critica d’arte romana quale riflessione esemplare sul coinvolgimento dell’uomo nella trasformazione antropica della natura. Viene poi sottolineato il lavoro politico del collettivo Stalker, costituito proprio da architetti e artisti, che si sono prodigati per la riabilitazione del giardino quale parte necessaria per far fronte all’assenza di servizi sociali; così come l’azione di Green Guerrillas, l’associazione americana che ha liberato spazi dal cemento per trasformarli in luoghi di riscatto sociale.
Giardino come palcoscenico
L’autrice sottolinea ancora una volta il senso politico ricordando il saggio di Marco Martella E il giardino creò l’uomo (Ponte alle Grazie, Firenze 2012). Dove lo spazio verde è considerato un luogo di resistenza alle pratiche eccessive della modernità. Questo si contrappone a quella dimensione separata e fantastica di cui il teatro universale di Bomarzo è l’epifenomeno, una macchina emblematica di mnemotecnica del XVI Secolo riscoperta e decifrata recentemente da Antonio Rocca. Sarà poi la figura di Roberto Burle Marx, che scrisse sulla rigenerazione del rapporto tra l’uomo e la natura, a riportarci alla accezione edenica del giardino vista, di nuovo, come una questione politica.
Tutte queste tappe non sembrano però formulare un presupposto teorico al giardino contemporaneo. Ma indicare, piuttosto, una strada su cui muoversi e ragionare, così, su una deviazione da più noti valori simbolici e prospettive ecologiche. In pratica, Daniela Bigi indica una terza via, alternativa alla duplice polarità del giardino locus amoenus e sineddoche della condizione di planaria sofferenza, una via gestita dal dialogo epicureo tra umani e ambiente.
Per questo, la seconda sezione della mostra, acquista un significato singolare. Le opere di Daniele Franzella intendono il giardino come palcoscenico, come se l’artista giocasse sull’omofonia di Parco/palco. (Locus solus, 2024 Affresco digitale 300 x 248 x 5 cm). Sullo scenario allestito per la sua statuaria ceramica, Franzella proietta immagini digitali di abitanti brillanti di virtualità elettronica. (Marygold, 2024 Ceramica base in legno107 x 53 x 18 cm).
Danza di ombre
Conclude la mostra la sezione di Loris Cecchini dove l’artista ha allestito con esperta sensibilità un giardino artificiale e analogico. Cecchini, infatti, da anni opera interagendo con alberi e spazi verdi donando la scintillante proliferazione dei suoi piccoli moduli alla luce naturale. Cecchini dà vita, con ciò, a una trasfigurazione della germinazione botanica. (Airborne, 2024 Welded stainless steel module – dimensioni variabili). Le superfici delle foglie e delle terre diventano il modello per morbidi gradienti e sollecitazioni ottiche in cui la luce. Che ivi s’insinua curvando e increspando la monocromia del piano, genera una danza di ombre. (Laminascapes – (1320/A) giallo, 2024 Polyester fibres, handmade Japanese paper, aluminium frame 51,5 x 34,5 x 4 cm). (Aeolian Landforms, 2024 Cast polyester resin, acrylic resin, nylon fiber, aluminium frame 180 x 250 cm).
Cecchini sembra riattivare la relazione tra la parte e il tutto perché gioca sul continuo spostamento dello sguardo. Ciò che vediamo nell’insieme non è, dunque, una installazione è un giardino, ossia un’esperienza immersiva non solo dello sguardo ma dei sensi tutti. Nel giardino di Cecchini troviamo un accerchiamento di dettagli gestito da vista e tatto.