Quarant’anni fa nasceva il Castello di Rivoli, e oggi una parte della sua grande collezione viene riallestita seguendo l’eredità di Rudi Fuchs, interrogandosi sull’identità del museo di domani
«Si tratta di allestimenti di opere che appartengono alla Collezione, e non “mostre”, proprio per indicare il museo come “bene comune” per la comunità, in omaggio ai valori fondanti del Castello di Rivoli e seguendo la sua identità espositiva, ovvero quella di esporre solo arte contemporanea»: così Francesco Manacorda, direttore di Rivoli, con la vice Marcella Beccaria, ha iniziato la presentazione di “Ouverture”, percorso che omaggia il quarantennale dell’istituzione e che si ispira alla traccia indicata da Rudi Fuchs, che il 18 dicembre 1984 – sotto ben altre contingenze storiche, economiche e sociali – come ha ricordato Beccaria, dava inizio alla vita di Rivoli con una sua “Ouverture” in cui sceglieva di collocare in mostra solo opere realizzate nell’ultimo decennio, 1975-1984. Oggi, Manacorda e Beccaria, hanno optato per un periodo che va dal 2010 in poi, integrando il tutto con alcuni elementi del passato che nelle sale del Castello vivono in permanenza, come gli interventi di Sol LeWitt e di Nicola de Maria, oltre a qualche prestito, tra cui vi sono alcune opere di Robert Gober.
C’è però anche la volontà di tracciare quello che sarà il corpo “sociale” del Museo dei prossimi dieci anni, e le parole – veri e propri hashtag, sono quelli del museo globale: inclusivo, fluido, dedicato a culture extra-occidentali, “sismografo” del proprio tempo, polifonico, non-unico; un museo come “organismo”, come ricorda Beccaria, che accolga pubblici differenti ma, contemporaneamente, rispettando il grande tesoro che a Rivoli ha la sua casa: 900 grandi capolavori, molti dei quali nati appositamente per uno dei centri d’arte contemporanea più originali del mondo.
«Non abbiamo voluto realizzare una mostra dedicata ai 40 anni del museo: c’è il presente dell’istituzione, la sua storia passata e una auspicabile traccia per il futuro con i valori che guideranno il nostro operato», rimarcano i direttori. E di questo progetto fa parte anche il progetto “Il Castello Incantato”, curato da Marcella Beccaria, Francesco Manacorda e Paola Zanini, al terzo piano del museo, che con il coinvolgimento delle scuole locali si propone come “l’antro” più didattico del contemporaneo, dove l’installazione Free Land Scape di Paola Pivi è certamente la regina del Castello: l’opera, per la prima volta esposta in Italia e ripensata nelle sue dimensioni per vivere dentro la seconda sala, offre ai visitatori di tutte le età un’esperienza in cui movimento e percezioni corporee sono protagonisti in un “tunnel” realizzato con tessuto jeans elastico.
E ora, raccontando un po’ quello che si scopre nelle sale, ricordando molti degli artisti che a Rivoli hanno avuto grandi mostre negli ultimi anni, c’è l’indagine che Cooking Sections dedica alla relazione tra il cibo e l’inquinamento ambientale, e accanto una fortissima sala di Anna Boghiguian, che a sua volta era stata protagonista di una personale al museo nel 2017.
E poi Nalini Malani, e la grande “pensilina di Carlo Scarpa” rimessa in scena da Gabriel Orozco, Shade Between Rings of Air, progetto speciale per Rivoli, a cura di Marcella Beccaria. Entrata nelle Collezioni del Museo nel 2023 per donazione dello stesso artista, nato in Messico nel 1982, l’opera è ispirata al capolavoro dell’architettura italiana La Pensilina, realizzata nel 1952 da Carlo Scarpa per il Padiglione Centrale ai Giardini della Biennale di Venezia, che Orozco riprende come una scultura in sé e di per sé, in un inaspettato dialogo tra tempi e materiali, mischiando la leggerezza della struttura con la luminosità delle sale che tutt’oggi rivivono nell’iconico progetto di restauro guidato dall’architetto Andrea Bruno. D’altronde, “La scelta delle opere e dell’allestimento si fonda sul valore della relazione con lo spazio, che pone il Castello di Rivoli, in quanto museo d’arte contemporanea, come luogo da abitare, da vivere e di cui tutti sono invitati ad appropriarsi a partire dall’esperienza”, come si legge nello statement della “Ouverture” 2024. Esisterà davvero un Castello al passo coi tempi?