Roma, Palazzo della Minerva. San Francesco, tra Cimabue e Perugino. Nel Giubileo con il Cantico delle Creature fornisce un ideale percorso di sviluppo dell’iconografia di san Francesco di Assisi, tra Medioevo e Rinascimento, esaltando il suo ruolo nell’ambito della definizione dell’identità nazionale italiana. La mostra, curata da Costantino D’Orazio (direttore dei Musei Nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei nazionali Umbria) e da Veruska Picchiarelli (responsabile del Dipartimento di Arte medioevale e della prima età moderna della Galleria Nazionale dell’Umbria) e visitabile sino al 2 marzo, è l’occasione per declinare e condividere il patrimonio culturale dell’Umbria nel segno del “Poverello di Assisi”, promuovendo alcune delle principali realtà del territorio in cui è presente la sua memoria: in questo contesto, ad alcuni capolavori della Galleria Nazionale dell’Umbria si affiancano opere provenienti da altre istituzioni, in un’ideale linea del tempo volta a indagare l’evoluzione della percezione, della memoria, del messaggio di Francesco. La mostra è aperta da due eccezionali prestiti, frutto della consolidata collaborazione tra la Galleria Nazionale dell’Umbria con la Custodia Generale del Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica di San Francesco dell’Umbria.
Il primo concede, in via del tutto eccezionale, la Chartula, una pergamena annoverata tra le più importanti reliquie di san Francesco, databile al 1224 e scritta di suo pugno dopo l’impressione delle stimmate: in essa sono riportate una ispirata benedizione del santo al compagno e amico frate Leone e, sul recto, una lirica, Lodi di Dio altissimo. La reliquia, conservata nella Cappella di San Nicola, nella chiesa inferiore della Basilica di Assisi accanto al suo saio, è ancora ben leggibile, con il “Tau” impresso su un lato, simbolo con il quale il santo si firmava. Dal Museo della Porziuncola, che afferisce alla Provincia Serafica di San Francesco, arriva un altro capolavoro dall’intensa identità spirituale: l’effigie del santo dipinta da Cimabue negli anni in cui era impegnato ad affrescare la Basilica di Assisi, utilizzando come supporto la tavola che, stando alla tradizione, era servita da copertura della prima umilissima cassa di legno nella quale il corpo di Francesco fu tumulato subito dopo la morte (1226).
Partendo da questi oggetti sacri, il percorso prosegue con opere di alcuni tra i maggiori pittori del Medioevo e del Rinascimento: Perugino, Benozzo Gozzoli, Taddeo di Bartolo, Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno, in una suggestiva narrazione volta a restituire l’evoluzione dell’immagine del santo in parallelo all’affermazione, sempre crescente, del culto francescano. Nel Gonfalone della Giustizia di Perugino, uno dei maggiori capolavori conservati presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Francesco è affiancato da san Bernardino in adorazione della Madonna col Bambino, in una composizione dove compare anche la comunità dei fedeli radunata ai piedi di una formidabile veduta di Perugia, ancora segnata da una selva di torri. Nel tabernacolo di Nicolò del Priore Francesco è protagonista di un evento straordinario che lo accosta ad uno dei momenti più dolorosi della Passione di Cristo: il conferimento delle stimmate lo consacra come alter Christus, l’unico uomo ad aver accolto sul suo corpo le stesse ferite di Gesù. Le opere della mostra si presentano come raffigurazioni di eccezionale potenza simbolica ed evocativa, come nell’elemento centrale del Polittico di San Francesco al Prato, capolavoro di Taddeo di Bartolo, in cui il santo schiaccia le allegorie dei vizi opposti ai tre voti della Regola Francescana (la Superbia, opposta all’Obbedienza – la Lussuria, opposta alla Castità – l’Avarizia, opposta alla Povertà).
Passando per la sublime eleganza dello Sposalizio mistico di santa Caterina, opera di Benozzo Gozzoli proveniente dalla Museo d’arte moderna e contemporanea “Aurelio de Felice” di Terni, e per la struggente Pietà di Niccolò di Liberatore e Lattanzio di Niccolò, in prestito dalla Fondazione Perugia, l’itinerario umbro si conclude, idealmente, con due capolavori dell’artista che ha la sua terra nel nome: Pietro Vannucci, detto Perugino, il quale nel corso della vita si misurò più volte con la volontà di dare un volto al santo. Le sue opere, provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria, si accostano agli altri tre capolavori che giungono a Roma dal principale museo umbro, realizzati da pittori del calibro di Taddeo di Bartolo, Nicolò del Priore e il Maestro di Paciano. La capacità del meglio maestro d’Italia (come lo definì Agostino Chigi, nel 1500) di rendere la portata mistica e le manifestazioni dell’ardente fede di Francesco, attraverso i gesti e le espressioni, rende le sue visioni del “Poverello di Assisi” particolarmente vive e attuali, ricordando come la contemporaneità del santo sia il più efficace e puntuale manifesto dell’identità di una terra, di una regione, di un sentire umbro.