Artisti, musei, fondazioni, gallerie, fiere, case d’asta, critici, curatori e molto altro: ecco a chi vanno gli OSCAR DELL’ARTE assegnati per il 2024 dalla redazione di ArtsLife.
Miglior casa d’aste internazionale: Dorotheum e Lempertz. Doppio podio d’oro per le più importanti realtà mitteleuropee. Dorotheum può vantare un anno d’aste eccellente, ottenendo uno dei migliori risultati della propria storia. Durante l’anno d’aste, la casa di Vienna ha registrato diversi record mondiali nel segmento di fascia alta. Un’opera senza titolo dell’austriaca Martha Jungwirth, recentemente assurta ad artista di fama mondiale, ha ottenuto il doppio del precedente record per un dipinto gestuale-astratto dell’artista, raggiungendo 520.000 euro. Un altro record mondiale è costituito dai 700.000 euro pagati per l’ultimo autoritratto di Max Oppenheimer. Nel settore dei dipinti antichi, un doppio ritratto del Perugino raffigurante Cristo incoronato di spine e la Vergine ha raggiunto la cifra straordinaria di 842.000 euro, stabilendo un record mondiale per un’opera del pittore rinascimentale. Risponde a stretto giro Lempertz, che ha appena legittimato una stagione da favola con l’asta di arte moderna e contemporanea di Colonia, dello scorso 16 dicembre, con un sublime Mer agitée à Pourville (1882) di Claude Monet battuto per 3,5 milioni di euro.
Miglior casa d’aste italiana: Wannenes e Il Ponte. Il 2024 ha regalato a Wannenes e a Il Ponte Case d’Aste notevoli soddisfazioni. La maison genovese porta a casa un turnover di quasi 30 milioni di euro totale, con un aumento del 4% rispetto al 2023. L’istituzione meneghina risponde, confermando i numeri dello scorso anno, con 34,8 milioni di fatturato globale, di cui 11,6 della sola moderna e contemporanea. Top lot un Anello in oro giallo e bianco con grande smeraldo ottagonale di ct. 35,274 e diamanti a goccia venduto a 1,7 milioni. Tra gli highlights da sottolineare per Wannenes l’asta dedicata a Gina Lollobrigida che ha realizzato il 100% di venduto, il record del mondo per Kurt Seligmann (575.100 euro), gli ottimi risultati per le aste di gioielli con i due top lots che hanno realizzato più di 1 milione di euro e l’asta di Arredi con la collezione proveniente dalla dimora sul Quirinale dello stilista Renato Balestra. Il 2024 ha sorriso anche a Il Ponte Casa d’Aste. Nel suo Cinquantesimo anniversario, la maison milanese ha rafforzato il suo ruolo di protagonista nel panorama nazionale raggiungendo 34,8 milioni di euro di fatturato. E si è data slancio in ambito internazionale con l’ingresso del Millon Auction Group, che proietta la casa d’aste in una nuova dimensione. Il Ponte entra nel gruppo francese col vessillo dell’Arte moderna e contemporanea, il settore di punta, che si porta dietro un fatturato complessivo di oltre 11,6 milioni di euro. Ciliegina sulla torta un Concetto spaziale, Attese del ’66 di Lucio Fontana, venduto a 640 mila euro.
Miglior fiera d’arte internazionale: ARCO Madrid e Art Basel (tutte e quattro le edizioni). Manifestazione che divide le opinioni e fa a gara – a livello di dimensioni, con Art Basel, sia la versione Hong Kong, Basilea, Parigi e Miami. Con la prima della classe Basel, però, non condivide le opinioni, almeno stando al piano della direttrice Maribel Lopez che, finché ci sarà lei a capo della fiera, ARCO resterà latina, assolutamente latina, instancabilmente latina! Se si sente la mancanza di collezionisti russi o cinesi? Nessuna, a quanto pare. Chi l’ha detto che una fiera “globale” non possa avere un’identità precisa?
Migliore fiera italiana: Artissima e l’Art Week torinese. Qualità. Con questa sola parola possiamo definire l’Art Week torinese, che ha invaso la città sabauda di mostre e fiere dal 28 ottobre al 3 novembre, in occasione di Artissima, arrivata alla trentunesima edizione sotto l’illuminata e consapevole direzione di Luigi Fassi. Forte presenza di gallerie straniere alla kermesse che torna ai fasti degli origini puntando prepotentemente sulla qualità della proposta. Così va di pari passo Torino, sempre in grande spolvero e senza mai -almeno in Italia- eguali. Milano impari.
Miglior politico per la cultura: Sheikha Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al-Thani. Sorella dell’emiro regnante del Qatar, Al-Mayassa da anni svolge un lavoro fondamentale per “superare se stessa”, ovvero per rendere l’arte in Qatar molto più che una moneta di scambio, ma un biglietto da visita globale del proprio Paese. Presidente del gruppo dei Qatar Museums, a cui si aggiungeranno entro il 2020 il Lusail Museum, che ospiterà la più grande collezione al mondo di dipinti orientalisti, e il Doha’s Art Mill Museum, per la Biennale di Venezia 2026 c’è già in programma una mostra di 40 artisti basati nella regione MENA, oltre a un “protocollo di cooperazione” per investire in progetti sul patrimonio veneziano.
Miglior notizia: Koyo Kouoh curatrice della Biennale Arte 2026. Non poteva che essere la sua nomina a catalizzare l’attenzione della stagione. Camerunense di nascita, cresciuta in Svizzera, 57 anni, con Kouoh “La Biennale conferma quel che da oltre un secolo offre al mondo: essere la casa del futuro”, ha dichiarato il Presidente Buttafuoco. “È un onore e un privilegio unici seguire le orme degli illustri predecessori nel ruolo di direttore artistico e creare una mostra che spero possa avere un significato per il mondo in cui viviamo attualmente e, cosa più importante, per il mondo che vogliamo costruire”, sono state le prime parole della direttrice esecutiva e Chief Curator dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) a Città del Capo, in Sudafrica.
Miglior curatore internazionale: Suhanya Raffel + Doryun Chong e Bridget Finn. Raffel e Chong sono rispettivamente il direttore e il capo curatore del museo M+ di Hong Kong, un’isola culturale felice ad HK e in tutto l’estremo oriente. Lo testimoniano il programma espositivo e educativo tra i migliori a livello globale e i 3 milioni di visitatori all’anno. La Finn, invece, ha portato nuova linfa a Basel Miami Beach rivoluzionando la kermesse puntando fortissima sulla qualità e la ricerca.
Miglior curatore italiano: Stefano Collicelli Cagol. Vedere per credere, basta farsi un giro a Prato per vedere coi propri occhi come Collicelli Cagol ha trasformato il Centro Pecci. Solo ora, il museo toscano propone tre monografiche, diverse ma simili, calibrate sul corpo per riverberare in ambiti lontani, dalla New York di Peter Hujar, che fotografava il dietro le quinte del teatro queer negli anni ’70, a Le Signorine di Margherita Manzelli, ritratti stranianti di donne inserite dentro una spazialità astratta, solcata da pattern geometrici. Poesia, sessualità e vegetazioni voluttuose pulsano nella pittura intimista di Louis Fratino, le cui origini italiane chiudono una trilogia che sfiora la penisola anche nell’esperienza palermitana di Hujar e nella pittura di Manzelli. Taglio raffinato che leviga un 2024 solidissimo, come l’iconica architettura circolare che avvolge il Museo.
Miglior galleria internazionale: Almeida & Dale, São Paulo. Fondata nel 1998 da Antônio Almeida e Carlos Dale, la “premiata ditta” Almeida & Dale in Brasile, oggi, ha espanso il suo raggio ben oltre San Paolo e ben oltre il mercato secondario, con cui aveva iniziato – e prosperato, con la propria attività: da Rio de Janeiro a Recife a Brasília, la rete dei soci di Almeida & Dale si è via via consolidata negli anni arrivando, oggi, a detenere quasi una decine di gallerie e centinaia di artisti di ogni parte del Brasile nella propria scuderia. Quando si dice il “potere degli affari”.
Miglior galleria italiana: Mattia De Luca. Oltre la crescita esponenziale della sua galleria negli ultimi anni, Mattia De Luca è riuscito a portare una delle mostre più belle di tutto l’anno solare di New York, cristallizzandone il tempo. “Giorgio Morandi-Time suspended II” è il titolo dell’antologica di 70 opere, andata in scena questo autunno, curata da Marilena Pasquali, fondatrice del Museo Morandi di Bologna e del Centro Studi Giorgio Morandi, che coniuga l’amore per la ricerca di De Luca -“Morandi è l’artista che mi ha avvicinato all’arte. Fui folgorato da una “Natura morta” della collezione Giovanardi” New York») con la sua ricerca perenne di qualità espositiva. Bastava vedere dov’era sita l’esposizione americana: gli eleganti ambienti di una palazzina ottocentesca all’East 63rd Street della Fifth Avenue.
Miglior artista storico: Vilhelm Hammershøi. Sdoganato ufficialmente da Hauser & Wirth, che nella sua sede di Basilea gli ha dedicato una retrospettiva durante la settimana di Art Basel, il danese Vilhelm Hammershøi è la vera riscoperta dell’anno e, a partire dal prossimo 22 febbraio, il pittore dell’inquietante realismo sarà a Rovigo, a Palazzo Roverella, nella sua prima mostra italiana. Una ulteriore consacrazione del suo genio silenzioso.
Miglior artista contemporaneo internazionale: Wael Shawky e Nan Goldin. L’artista egiziano con il Padiglione “di casa” in Biennale è stata la star (legittimamente) della scorsa Biennale; l’indomita artista di Washington è inclusa nella nostra classifica perché, forte della sua lunga e folgorante carriera, nonché delle difficoltà nella vita personale, non perde occasione per far sentire la propria voce sui temi più urgenti, dalla Guerra a Gaza alla denuncia del “potere” in giro per il mondo. A Milano, nel 2025, la sua più ampia personale italiana in scena all’Hangar Bicocca.
Miglior artista contemporaneo italiano: Diego Marcon, Nicola Samorì, Giulia Cenci, Marcello Maloberti. Se per Samorì, Marcon e Cenci questi ultimi anni sono stati quelli della consacrazione nazionale e internazionale (e non possiamo esimerci nel non citarli), una menzione speciale va a Maloberti. Il PAC di Milano non è di certo il più bel museo d’Italia, anzi, eppure le installazioni che compongono “Metal Panic”, dell’artista di Codogno, non rappresentano solo lo stillicidio dell’immaginario logoro della “capitale economica d’Italia”, Milano, ma finalmente piegano l’architettura di Gardella al lirismo acido che l’artista porta in scena. Un panorama post-urbano – dove l’estetica “cantierale”, sacchi di sabbia e strutture segnaletiche provvisorie, sono i perni sui quali si mostra in forma splendidamente autoriale l’abisso “dell’Italia del nostro tempo”.
Migliore Fondazione internazionale: Louis Vuitton, Cartier e Pinault. Della serie Vive la France? Un po’ sì. E il perché è presto detto: Cartier entro la fine dell’anno aprirà la sua nuova sede, progettata da Jean Nouvel, proprio di fronte al Louvre, in Place du Palais-Royal, affiancandosi a livello di “potere culturale” a uno dei musei più famosi del mondo. Vuitton e Pinault? “Arte Povera” alla Bourse du Commerce e “Pop Forever” alla Fondazione Louis Vuitton sono due mostre che, grazie a budget ben più che superiori rispetto ai pubblici, probabilmente mai avremmo visto in musei “normali”. Grandi mostre e discussioni aperte, certo, ma di questo livello…
Migliore Fondazione italiana: Sandretto Re Rebaudengo. Non ce ne voglia nessuno, ma Patrizia Sandretto continua a spopolare (unica italiana insieme a Miuccia Prada nella Power 100 di ArtReview) e a progettare per la sua FSRR da Madrid a Guarene, passando per Torino, regalandoci visioni ben più che curiose – e per il 2024 basti citare quella di Precious Okoyomon realizzato dalla Fundación Sandretto Re Rebaudengo Madrid sotto la Montaña de Los Gatos nel Parco del Retiro, e la struggente personale di Mark Manders negli spazi di via Modane, a Torino, aperta durante Artissima. Per usare un francesismo, non si molla un ca***.
Migliore mostra internazionale: Summer Show, Fondazione Beyeler, Basilea. Secondo le indicazioni, “la mostra è stata concepita come un organismo vivo, mutevole e intricato, all’interno del quale i partecipanti contribuiscono con le loro suggestioni a ogni fase della costruzione e dello sviluppo del progetto”. Imperdibile, discussa, con oltre trenta artisti e il rimescolamento continuo delle opere della collezione, più di dieci curatori, innumerevoli titoli a cambiare il display…The Lateness of the Hour, Melting Mirrors, Echoes Unbound, Ghost Dreams, All My Love Spilling Over… e il personale del museo “addestrato” al valzer dello spostamento continuo. Per i detrattori del “museo come luna park”: ce ne fossero di giostre così!
Migliore mostra italiana: Salvo alla Pinacoteca Agnelli e Il tempo del Futurismo, GNAMC, Roma. Discutibile per il fatto del Movimento creato da Marinetti essersi fatto portavoce di echi fascisti? Può darsi. Ma davvero dobbiamo indagare un’avanguardia storica, vecchia di cent’anni, attraverso la sua “biografia”? Opportuno sarebbe imparare a scindere le vampate contemporanee dai corpi inerti della storia dell’arte. E allora godiamoci questa infornata di sale meravigliose che attraversano un trentennio rovente e ci propongono opere rare e dialoghi a dir poco scenografici, come avviene in coda alla mostra, con Pino Pascali e Pietro Dorazio. E poi, per una volta, un po’ di orgoglio nazionale! Allo stesso modo divisiva la mostra di punta del novembre torinese, il mese di Artissima: Salvo. Arrivare in tempo, la più grande mai dedicata al pittore. Il pubblico, di critici e meno critici, è da tempo teso tra il fascino dei suoi notturni urbani e la nostalgia per la ricerca poverista dei primi approcci, più concettuale e impegnata. L’esposizione alla Pinacoteca Agnelli sorride ai primi, che fino a maggio 2025 hanno l’occasione unica di immergersi nella Torino lisergica di Salvo come mai prima d’ora. Tantissima pittura, allestita tematicamente, con guizzi azzeccatissimi negli accostamenti e nel ritmo cromatico. La curatela è ambiziosa e leggera, stratifica l’esperienza con suggestioni biografiche e letterarie che danno un taglio quasi romanzesco al percorso espositivo. Banale, semplice, ripetitivo? Può esser tutto, ma dopo il successo sul mercato internazionale è arrivata anche una mostra di punta in una realtà italiana. Gli scettici chiederanno ora un grande progetto estero. E fanno bene ad aspettarselo.
Miglior ufficio stampa internazionale: St James Arts, Londra. Della serie “non molti, ma molto buoni”: St James Arts di Nigel Rubenstein, da oltre quindici anni offre consulenze su strategie di comunicazione e gestisce progetti, sia nel Regno Unito che a livello internazionale. E tra quelli a cui abbiamo “presenziato” nel 2024 ci sono stati gli opening del Museo di Arte e Storia di Ginevra (MAH) e della Vuslat Foundation a Istanbul, dove St James Arts ha anche collaborato con la Istanbul Foundation for Arts & Culture (IKSV), oltre che con Frieze, Deutsche Bank, Stephen Friedman Gallery, DAU, Ballon Rouge Collective…
Miglior ufficio stampa italiano: Anna Defrancesco. Dopo molti anni passati tra i progetti firmati CLP, Anna Defrancesco si mette in proprio e continua fedelmente con la comunicazione per musei, fondazioni e aziende, e tra i primi dell’anno appena trascorso che hanno dato fiducia al nuovo ufficio stampa ci sono il Museo Diocesano di Milano, Palazzo Morando – ancora a Milano, dove attualmente segnaliamo la bella mostra del fotografo Carlo Orsi, e anche il Complesso Monumentale della Pilotta, a Parma. Una scelta non scontata e coraggiosa di indipendenza, in tempi complessi.