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Mieke Bal è una poliedrica teorica olandese – docente di Analisi culturale all’Università di Amsterdam, videoartista e regista, oltre che curatrice e critica – forse ancora poco nota in Italia, della sua cospicua bibliografia è disponibile solamente “Narratologia in pratica” un libro della metà degli anni Ottanta pubblicato quest’anno da Postmedia books.
Con “Narratologia” Bal pone le basi per riformulare l’azione interpretativa di un’opera d’arte attraverso, appunto, una “pratica”. Nella prefazione a “Narratologia” Carla Subrizi scrive «Se l’opera è considerata come un’entità auto-sufficiente, chiusa e quindi contenente una serie di aspetti e informazioni, in grado di rivelare il racconto o gli aspetti formali che la caratterizzano, senza coinvolgere l’interazione di tutte le altre premesse, culturali, sociali, politiche, biografiche (e molto altro) che concorrono alla sua formazione, l’opera perde in realtà quello che permette di definirla un «oggetto teorico», sempre secondo l’apparato profondamente concettuale, ma al contempo non allineato a teorie o filosofie preesistenti, di Mieke Bal. Un «oggetto teorico» è quello che Bal definirà, alla fine degli anni Novanta, – sia esso un’opera d’arte, un testo o un film – un oggetto che sollecita in chi guarda la riflessione o, meglio, il pensiero».
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Un approccio “concettuale, ma al contempo non allineato” muove anche le pagine del nuovo libro di Mieke Bal dedicato alla scultrice franco-americana Louise Bourgeois edito sempre da Postmedia Books in queste settimane: “Beyond the Habitual. Louise Bourgeois as Builder, Narrator, Theorist – Oltre L’abituale. Louise Bourgeois come costruttrice, narratrice, teorica” (in inglese e italiano, traduzione di Sara Benaglia e Gianni Romano, 160 pagine, 16,90). Il volume ha il doppio merito di aggiungere un titolo alla bibliografia italiana di Bal e di offrire al lettore la possibilità di un approccio all’opera di Bourgeois che va, come del resto promette il titolo del libro, “oltre l’abituale” modello interpretativo.
Fin dalla prima pagina Bal dichiara i propri strumenti teorici; il libro propone, più che un metodo di studio, «un mosaico di possibilità» e si articola in otto brevi sezioni che hanno come abbrivio un’unica opera di Bourgeois, l’imponente scultura-installazione “Spider”, un’opera che si pone tra due serie importanti dell’artista: le celebri Cells e gli altrettanto celebri Ragni – e di cui si è tornati a parlare proprio in questi giorni grazie alla ricollocazione dell’impressionante ragno Maman alla Tate Modern.
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Il testo si concentra su “Spider” ma le differenti “possibilità” interpretative hanno come esito l’elaborazione di pensiero capace, per estensione, di fornire strumenti applicabili all’arte in generale. “Spider” diventa alloro lo snodo per diverse linee di fuga interpretative che vanno intrecciandosi nel testo, senza per altro doversi necessariamente connettere in un quadro unitario, una molteplicità di approcci che rende “Beyond the Habitual” un lavoro originale e decisamente “sfidante”.
Come primo passo Mieke Bal “mette in discussione il biografismo”, cioè tutte le interpretazioni dell’opera di Bourgeois elaborate a partire dall’elemento biografico o autobiografico. «La critica biografica – scrive Bal – si fonda sulla concezione razionalista e univoca della soggettività come effettivamente intenzionale. Naturalizza l’appello all’intenzione dell’artista». Oltre a questo, Bal rifiuta “la critica psicoanalitica” «per definizione impegnata a esplorare gli impulsi inconsci che si presume scaturiscano dall’opera». Sono queste, secondo Bal, modalità di lettura che si pongono “nell’anteriorità” dell’opera, come del resto fanno le letture iconologiche e formali, come anche quelle che «fanno appello alle intenzioni dell’artista». Un’anteriorità interpretativa che è un ostacolo all’apertura di nuovi spazi di interazione ed esperienza con l’opera d’arte.
Per Bal è più utile indagare ciò che si muove nel soggetto che interagisce con l’opera, comprendere gli “affetti” suscitati dall’esperienza estetica: «Questi affetti possono provenire dalle cose quanto dalle persone. Per questo gli affetti sono sociali per definizione, anche se le loro ripercussioni o interpretazioni possono essere individuali».
Ecco delinearsi una di quelle linee interpretative che conduce a nuove prospettive di visione: una lettura capace di collocare l’opera nelle “ripercussioni o interpretazioni individuali” è, per Bal, il primo passo per comprenderne – paradossalmente – l’aspetto politico. Spider – una gabbia, un ragno enorme, oggetti misteriosi che raccontano storie altrettanto misteriose – è l’opera perfetta per cogliere questo passaggio: «lo spettatore vede (ciò che è all’interno della cornice o della gabbia) ed esita su cosa fare; produrre questa esitazione è la forza politica dell’arte. Poiché influisce sulla nostra soggettività nello spazio, la sproporzione di scala ci prepara meglio di ogni altra cosa a questa esitazione»: un’esitazione che «costringe a utilizzare la nostra immaginazione» e, oltre a questo, è «uno strumento per snaturare l’idea predominante, ma profondamente errata, che l’arte rappresenti la realtà. Al contrario, la affronta dall’interno di una comunità – transitoria ma, in quel momento, reale».
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Questa dimensione personale, relazionale e perciò politica, è solo una delle possibilità teoriche che attraversano questo testo; molto rilievo viene dato al passaggio da «un modo di ragionare che non sia legato alla logica disciplinare», sequenziale e causale, a un tipo di pensiero “topologico”, centrato sul contesto, sulla dimensione spaziale, architettonica. «La topologia distrugge la linearità rendendo narrativo il principio del tempo non la “sequenza”, ma l’“incorporazione”. Incorporazione come l’inglobamento di una cosa in un’altra, un corpo in una casa. […] Invece di una narrazione anteriore, Spider richiede e “tematizza” una narratività processuale. Intendo una narratività messa in atto dallo spettatore come risposta alle suggestioni […] Questa narratività rappresenta più di un’alternativa alle modalità narrative basate sull’anteriorità, fornisce a queste modalità sia un commento critico, che un maggiore “spessore”».
Rifiutare l’abitudine di ridurre l’interpretazione dell’opera al suo autore (alla quale quasi sempre è soggetta Bourgeois) libera la possibilità narrativa dello spettatore, «la narrazione diventa uno strumento, non un significato; un mediatore, non una soluzione; un partecipante, non un estraneo». La narrazione, così come la intende Bal in dialogo con Freud, Benjamin e Bollas, è lo strumento per far emergere il “sé inconsapevole” del soggetto, sia questo soggetto artefice e osservatore dell’opera.
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Nel «mosaico di possibilità» interpretative, o narrative, di “Beyond the Habitual” emerge anche, in modo costante, un suggestivo richiamo, a un tipo di pensiero che Bal definisce “barocco”. Un pensiero a volte implicito nel riferimento ad autori che hanno elaborato e lavorato con un “pensiero barocco” (Walter Benjamin, Gilles Deleuze, per fare alcuni nomi) e spesso apertamente dichiarato in passaggi rilevanti.
Bal sottolinea la necessità di un pensiero barocco per avvicinarsi a “Spider” e all’opera dell’artista: «È proprio attraverso il rapporto di Bourgeois con la scultura barocca che l’artista offre un’esplorazione radicalmente innovativa della narratività scultorea, in dialogo sia con il modernismo che con il barocco». Bal utilizza le riflessioni sulla Bourgeois Barocca per trarne un modello applicabile ad altre opere d’arte. Ecco allora che il pensiero barocco – torsioni, ellissi, “sbilanciamenti di scala” – è utile per rielaborare, più in generale, il pensiero sull’arte contemporanea, visto che le categorie critiche moderne e postmoderne cominciano a sembrare insufficienti per descrivere il presente in tutte le sue sue torsioni, ellissi e sbilanciamenti di scala. È un tema trattato da Mieke Bal in altri testi ancora inediti in Italia – speriamo non per molto.