
Francesca Genna, nata a Marsala (1967), è tra le poche raffinate artiste italiane interessate all’incisione e all’antotipia, una passione irresistibile che insegna all’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove produce un lavoro esclusivo. Ha lasciato l’isola per andare a Firenze a studiare Pittura all’Accademia di Belle Arti, dove si è specializzata in incisione grazie ad una borsa di studio alla Scuola “Il Bisonte”, poi è tornata nel 2003, vive in Sicilia e continua a perfezionare grafica d’Arte sostenibile.
Come fai conoscere l’arte dell’incisione al di fuori dell’Accademia?
Ho scritto il primo trattato in lingua italiana sull’incisione sostenibile e amo lavorare con il “materiale-natura”, attraverso processi creativi che possono sviluppare narrazioni inattese.
Nel panorama italiano sei tra le poche artiste interessate all’incisione sostenibile e all’antotipia, cos’è questa tecnica e come nasce la tua passione?
Questi due interessi sono accomunati dalla passione per il materiale e dal desiderio di spostare lo sguardo oltre gli schemi abituali. E poi dall’uso del sole, che abbiamo in abbondanza a Palermo! Ho cominciato a fare incisione sostenibile cercando il cambiamento in una disciplina tradizionalmente molto ortodossa. Poi è arrivata la Pandemia, ed ho trovato che l’antotipia fosse adatta per fare stampa d’arte a distanza e senza attrezzature. Un metodo dai tempi lunghi e completamente ecologico.
L’invenzione di questo procedimento è attribuita a Sir John Hershel che già nel 1842 pubblicò una vasta ricerca sull’argomento, all’epoca ancora sperimentale, dettata dal suo interesse di creare un metodo per ottenere fotografie a colori, nel 1839 si inventa la fotografia, ma che relazione c’è tra Antotipia e Fotografia?
La relazione è data dallo stesso Sir John Herschel che negli stessi anni stava collaborando con William Talbot per trovare un metodo per “disegnare con la luce”. Pare fosse proprio lui a suggerirgli il modo per fissare l’immagine, ed il termine stesso di “fotografia”.

gialla, 2024.
Che relazione c’è tra l’antotipia e la cianotipia? Quale?
Sì. È di nuovo Herschel che, nel 1842, presentò alla Royal Society entrambi i metodi di Antotipia e Cianotipia, basati sull’esposizione alla luce. La prima usa materiali naturali ed è instabile, la seconda composti chimici ed è duratura.
Chi sono i tuoi modelli di riferimento e perché?
In fondo in fondo il mio modello di riferimento è il mondo contadino in cui sono cresciuta. Non pensare però ad un idillio bucolico, quanto piuttosto ad una certa familiarità con i processi di costruzione e distruzione della materia. E poi le mie amiche, incontrate in tempi e luoghi diversi, con cui viaggio e faccio ricerca.
Il tuo motto è osservare-raccogliere e sperimentare, cosa intendi esattamente?
Proprio in questa sequenza: ricerca di ciò che appare o può essere nuovo, ed i cambiamenti costanti. Da un punto di vista locale ma che può essere trasferito ad una dimensione globale.
Che rapporto c’è tra l’antotipo e la fotosintesi?
L’antotipia genera immagini tramite sbiancamento del colore vegetale. Una tecnica simile, la “chlorophyll print”, sfrutta la fotosintesi per creare immagini sulle foglie.
Quali sono le varietà di vegetali più sensibili alla luce?
Questo non è il mio interesse principale. Il mio approccio è empirico, basato sull’osservazione e su numerose prove.
Il fascino dell’antotipo, ovvero della tecnica stampa dei fiori, è che non dura nel tempo, non hai mai pensato di fotografare le immagini prodotte con una intenzione di documentazione estetica da mostrare in una esposizione?
Certo, fotografo sempre i miei lavori sfruttando la possibilità di trasferire immagini da un supporto all’altro, com’è proprio dell’incisione.
Dal 2001 sei docente di Tecniche dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Palermo, come hai sviluppato l’antotipo con i tuoi studenti?
Come ti dicevo, stavo già lavorando sulla sperimentazione di materiali meno tossici per l’incisione, quando arrivò la pandemia. Gli studenti e le studentesse hanno risposto con entusiasmo a questa proposta. Ed alla nostra prima lezione in presenza, al giardino di Villa Giulia a Palermo, sono arrivati carichi di stampe colorate: è stato un momento veramente emozionante!
Gli studenti come rispondono alla tua proposta di raccogliere, individuare fiori e diverse specie botaniche, come traccia di un operare artistico sui generis connesso alla natura in maniera sostenibile?
Passato l’entusiasmo del periodo del lockdown, trovo raro l’interesse per la tecnica dell’antotipia, e lo capisco, perché gli studenti non hanno tempo. Aspettare settimane per vedere una stampa, come puoi immaginare, vuol dire vedersi sfuggire il semestre. Del resto non è l’unico argomento proposto nel mio corso di Tecnologia dei Materiali per la Grafica, il cui fulcro è lo spirito di ricerca.
Quanto ha inciso la tua conoscenza della botanica e dei giardini e gli orti di Palermo nella tua ricerca?
Ovviamente moltissimo. ma penso abbia inciso ancora di più il posto dove vivo che è la campagna marsalese.

Ci racconti il tuo “Erbario delle piante viaggiatrici”?
L’Erbario delle Piante viaggiatrici nasce durante il periodo pandemico Covid 2020-21, dalla riflessione sul tempo interrotto e dall’intimità con il mio giardino. Estirpando le erbacce ho cominciato a scrutarne la forma, l’etimologia, la distribuzione l’habitat e sorprendentemente, la provenienza. Molte di esse provenivano da luoghi lontanissimi: erano piante viaggiatrici. Da queste forme di vita così effimere ho cominciato a creare una serie di stampe con un medium altrettanto effimero qual è l’antotipia. Fotogrammi sviluppati con pigmenti estratti da altrettante piante viaggiatrici. Immagini impermanenti, nate da un desiderio improvviso di rinominare il mondo che ancora mi accompagna. Inizialmente composto da una cartella di venti stampe, l’Herbario Traveling Plants è stato esposto in “Lands Real and imagined”, a cura di Patricia Frick e Janice Glowski (Fisher Gallery, Ohio, 2022). Oggi conta circa cento opere, dedicate soprattutto alla catalogazione delle erbacee infestanti del mio territorio.
Come e perché le piante viaggiano?
Ma questo lo descrivono molto meglio di me Gilles Clément e Stefano Mancuso.

Che cosa ti ha suggerito Stefano Mancuso nel suo L’incredibile viaggio delle piante?
Stefano Mancuso è un divulgatore di prim’ordine, pioniere della neurobiologia vegetale. Anche se non è il primo a parlare di questi temi, il suo approccio li ha resi parte del nostro immaginario comune.
E Gilles Clément?
Gilles Clément è il mio vero riferimento. Amo tutto del suo lavoro e soprattutto il suo approccio multidisciplinare. I suoi scritti, da “Il giardino in movimento” (1991) a “Elogio delle vagabonde” (2002), passando per “Manifesto del terzo paesaggio” (2004), giusto per citarne alcuni, sono alla vera base del mio Erbario delle piante viaggiatrici.
L’arte contemporanea esplora le molteplici forme di connessione, coesistenza tra uomo e natura con una nuova ecosofia, pensi sia solo una moda passeggera o c’è del vero in tutto questo filone di ricerca?
Mi chiedo spesso se oggi esista ancora l’originalità, dato che possiamo vedere tutto in tempo reale. Credo, tuttavia, che esistano momenti storici che sollecitano certe ricerche, come accadde con la stampa nel XV secolo o la fotografia nell’Ottocento.
Chi sono gli artisti contemporanei che ti ispirano?
Non posso fare a meno di pensare a Joseph Beuys e Herman de Vries. Rimango fedele alle mie grandi passioni: Kiki Smith, Maria Lai ed Helen Frankenthaler, che finalmente ho potuto vedere in maniera organica a Palazzo Strozzi. Mi interessano molte artiste contemporanee che usano materiali naturali. Alla 60ª Biennale di Venezia, mi ha colpito Yuko Mohri, del padiglione Giappone. Ho pensato che questo insieme di suoni, movimenti, luci e odori fosse la cosa più prossima all’alchimia dell’incisione.
Dagli anni Sessanta, ad oggi l’arte contemporanea ha utilizzato materiali organici come elementi scultorei, in Italia con l’Arte Povera, il non finito, l’effimero, il processo di cambiamento di un vegetale, diventa parte integrante dell’opera; nel tuo lavoro che importanza dai al processo esecutivo di una immagine?
Il processo per me è tutto, ma sempre insieme al materiale, attraverso i quali può sorgere l’immagine.

Perché le piante possono insegnarci nuove forme di collaborazione, di muto appoggio tra le diverse specie viventi?
Questo lo spiega benissimo Stefano Mancuso, in uno dei suoi scritti migliori, a mio parere, Plant Revolution (2017).
Quali sono le tue piante o fiori preferiti che utilizzi sovente nel tuo lavoro?
L’acetosella gialla, per prossimità emozionale, che copre i campi di un giallo quasi fosforescente in questo periodo.
Perché Antotipia non è molto conosciuta in Italia?
Ma penso che sia abbastanza conosciuta invece, nel suo ambito di nicchia, tra grafica d’arte e fotografia, che in fondo le compete. Alcuni giovani artisti, inclusi miei ex studenti, continuano a sperimentarla con risultati interessanti.
L’intelligenza artificiale come può co-esistere con l’antotipia secondo te?
Già coesiste dal momento in cui la pratichiamo!
A quale progetto stai lavorando?
Inizio 2025: tempo di nuovi progetti! Preferisco raccontarti qui di quello appena concluso in India, dove ho partecipato alla Bengal Biennale di Santiniketan. Amo questa modalità di lavoro, in cui si crea una collaborazione tra donne incisore e docenti internazionali che, al di fuori dei circuiti commerciali, è mossa solo dalla ricerca comune. Il risultato poi è una mostra, spesso itinerante, pubblicazioni scientifiche, incontri e workshop.