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Lo stile del tempo, ne “La voce del diavolo”

È possibile tracciare una storia dell’arte contemporanea capace di dare conto anche dell’intreccio tra tutti i fenomeni visivi – siano di costume o sociali – che definiscono lo stile, se non lo spirito, del tempo?

Una risposta si trova nel libro di Fabriano Fabbri La voce del diavolo. L’arte contemporanea e la moda (Einaudi, 2024 – 472 pagine, 44 euro). Docente di Stili e arti del contemporaneo e Forme della moda all’Università di Bologna, Fabbri è uno studioso attento proprio agli intrecci e alle contaminazioni, lo dimostra un’ampia bibliografia dedicata ai temi dell’arte contemporanea e della moda e a tutto quello che c’è a legare le due discipline. Qualche titolo: Sesso arte e rock’n roll (Atlante, 2006); Lo zen e i manga. L’arte contemporanea giapponese (Bruno Mondadori, 2009); Il buono, il brutto e il passivo. Stili e tecniche dell’arte contemporanea (Bruno Mondadori, 2011); L’orizzonte degli eventi. Gli stili della moda dagli anni Sessanta a oggi (Atlante, 2013); con Einaudi ha pubblicato La moda contemporanea. Arte e stile da Worth agli anni Cinquanta (2019), La moda contemporanea. Arte e stile dagli anni Sessanta alle ultime tendenze (2021).

La voce del diavolo, cover

La «voce del diavolo» che Fabriano Fabbri insegue per le quattrocento pagine del suo ultimo libro è quella che risuona nei versi del poema Il matrimonio del cielo e dell’inferno di William Blake, la voce delle pulsioni profonde, dell’inconscio, dell’insaputo, capace di scardinare la gabbia prospettica (e morale) che ha rinchiuso lo sguardo e il corpo per trecento anni: «In estrema sintesi, se in arte l’età moderna dispone le figure sulle misurazioni matematiche degli assi cartesiani attraverso la prospettiva, lungo una proiezione a cono o piramide […] in moda prescrive l’analogo speculare di una sagoma strozzata dalla stessa intelaiatura a X o a V artificiosamente geometriche. […] Di questi modelli di costruzione l’età contemporanea non saprà cosa farsene, anzi, metterà in campo tutte le sue risorse per sfinirli, per travolgerli, per annichilirli con nuove concezioni di spazio e volume». Ecco allora, continua Fabbri, «Il miglior modo per entrare nel vivo della contemporaneità e dell’arte che la caratterizza nel suo incastro di cultura visiva e tessile sta nel prendere le mosse da Johann Heinrich Füssli, colui che, assieme a Goya e Blake, è l’artista più accreditato ad amplificare “la voce del diavolo”, ovvero la sfera degli istinti, la dimensione del sogno, anzi dell’incubo».

La crisi della gabbia prospettica e di tutti gli strumenti che in moda ingabbiano il corpo – bustini, corpetti, panier, crinolina – e, più in generale, di uno spazio umano conoscibile e rappresentabile con gli strumenti della pittura guidata dal raziocinio e dai sensi naturali, va di pari passo con gli sconvolgimenti filosofici e sociali prodotti dall’incalzante rivoluzione tecnica e scientifica. Fin dai primi capitoli Fabbri individua chiaramente il nodo della questione: «A questo punto, perché non additare un ulteriore ordine di ipotesi per spiegare il motivo di tanta riluttanza verso la prassi di rappresentazione della modernità? Perché non intravedere un aggancio culturale che vada fuori dalle arti, visive o tessili, allargando l’orizzonte delle suggestioni all’ambito della ricerca tecnologica? In altre parole, perché non connettere il rigetto di prospettiva, bustino e panier, con relative fiammate di energie e torsioni corporali, a quanto, negli stessi anni, stavano mettendo a punto Luigi Galvani e Alessandro Volta con le loro teorie e i loro esperimenti sui campi elettromagnetici?»

Yves Saint Laurent

L’autore segna la strada della sua ricerca nell’intreccio di queste materie in cui i corpi, rappresentati o vestiti, sono sottoposti alle torsioni di un mondo sempre più attraversato da forze, energie, tensioni non visibili – siano l’elettricità o la nevrosi. E se Blake e compagni hanno cercato la voce del “diavolo” nascosto nell’immaginario (Giugliano Briganti, in un seminale lavoro, li definiva pittori dell’immaginario), ci penserà la svolta psicologica imminente ad aprire definitivamente la gabbia della ragione e scoprire il vasto mondo che si agita nell’inconscio. La moda e l’arte visualizzano queste tensioni diventando una eco dell’altra. Per descrivere queste traiettorie esorbitanti Fabbri deve mettere in moto una macchina di riferimenti, citazioni, richiami e suggestioni che dall’arte e la moda dilagano annettendo letteratura, tecnica, musica, finanche cultura pop.

Fabbri procede con una serrata trattazione cronologica, il libro prende le mosse dal tardo Settecento, momento di svolta pre-rivoluzionario e, capitolo dopo capitolo, mette a fuoco le dinamiche che hanno dato forma al Novecento nel rapporto conflittuale tra l’emergere e l’imporsi della “voce del diavolo” profetizzato da Blake e la formazione della nostra società governata dalla logica della tecnologia (e del Capitale). Un conflitto tra pulsioni e controllo, tra «la natura e il suo caos» e «l’ordine meccanico» che ha attraversato il secolo e dato forma a un’arte altrettanto conflittuale. Se il corpo è stato il campo di battaglia di questa guerra, non serve dirlo, la moda ne è stata la prima linea. L’indagine di Fabbri attraversa in modo originale una materia molto studiata, illuminando appunto questi nessi e portando alla luce problemi che appartengono al nostro presente. Infatti, gli ultimi capitoli de La voce del diavolo arrivano a toccare proprio la nostra più stretta contemporaneità, mettendo così in una nuova “prospettiva” figure e forme altrimenti schiacciate nelle due dimensioni della cronaca.

Tutto ciò rende il testo molto suggestivo e, visivamente, decisamente pirotecnico. Per coglierne appieno la ricchezza è consigliata la lettura tenendo a portata di mano un dispositivo – telefono, tablet o computer – con accesso a internet, con il quale integrare l’apparato iconografico del libro che, seppure cospicuo e puntuale, risulta insufficiente nell’inseguire le traiettorie narrative di Fabbri.
Se nei due volumi dedicati alla storia della moda Fabbri attraversa la materia utilizzando gli strumenti esogeni che gli sono abituali – cioè tutto quello che moda non è – altrettanto si può dire in questo nuovo libro in cui l’asse portante è la storia dell’arte contemporanea, rivista però alla luce della moda, una cultura che la sociologia e la filosofia da sempre consegnano, in opposizione alle pretese di eternità dell’arte, all’effimero e al superficiale. Annodando i fili del suo discorso Fabbri dimostra invece la complessità di una trama in cui non è possibile alcuna riduzione ma che al contrario esige un racconto che rilancia costantemente le proprie ragioni oltre i limiti imposti dalla disciplina. Ecco allora che la storia dell’arte non basta più a se stessa – come per altro la storia del costume o della musica o della letteratura. Per leggere i fenomeni della storia moderna e per comprendere le tensioni del contemporaneo, Fabriano Fabbri ci invita ad allargare lo sguardo fino a dove lo sguardo può arrivare, con un’attitudine che si potrebbe definire, se l’autore lo concede, warburghiana.

 

Fabriano Fabbri presenta La voce del diavolo. L’arte contemporanea e la moda MERCOLEDÌ 22 GENNAIO allo Spazio Maria Calderara di Milano (via Lazzaretto, 15. Ore 18.30). Dialoga con l’autore Antonio Mancinelli, interviene Virginia Ricci.

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