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Bipart of…this gallery: Cabinet&Studiolo

Warp & Weft, Sylvie Fleury - Alexander Wagner, 2013 - Spazio Cabinet, Milan - photo Filippo Armellin
Maria Chiara Valacchi
Antonio di Mino
Sulla falsa riga del Questionario di Proust, una serie di domande predisposte da BIPART Studio legale volte a conoscere meglio le più prestigiose gallerie d’arte italiane: oggi incontriamo Maria Chiara Valacchi e Antonio di Mino, di Cabinet&Studiolo
Cabinet&Studiolo, Milano

Come avete scelto il nome della vostra galleria (e cosa vuole esprimere con tale denominazione)?
Il nostro progetto è nato nella primavera del 2010 e in forma di non-profit con il nome di “cabinet”; lo abbiamo immaginato come un Cabinet delle meraviglie seicentesco ma rimodulato in termini contemporanei; uno spazio dove sarebbero confluiti convivendo, oltre alle nostre idee, teorie e pratiche artistiche di natura differente, dove il tema del “dialogo” – soprattutto tra discipline pittoriche e altri medium – diventava il cuore del nostro statement. Un principio al quale siamo rimasti coerenti e che si è concretizzato in una programmazione fatta di soli confronti, sempre in forma di double-shows, ad oggi, lunga 14 anni. Qualche mese più tardi abbiamo deciso di utilizzare anche una zona studio/ufficio (parte del nostro primo spazio in zona Isola) per ospitare una selezione di piccole personali di soli artisti emergenti. Una project room che prese il nome di Studiolo (esattamente come l’ambiente per eccellenza riservato allo studio individuale sin dal periodo Umanistico) e che nel 2014 si è trasformata in una galleria vera e propria, mantenendo la stessa forte vocazione verso il la ricerca e il supporto ai giovani artisti. Il nome attuale di Cabinet&Studiolo racchiude tutte queste storie e queste due differenti linee di programmazione che, da sempre, si alternano nel nostro unico spazio.

Qual è il motto della vostra galleria?
Non crediamo di averne mai avuto uno in particolare ma la cosa sulla quale siamo stati sempre d’accordo è stata quella di difenderci dalle pressioni e dai cliché di questo sistema; liberi da calendarizzazioni eccessivamente fitte, da ossessioni fieristiche o da giochi o scambi strategici, spesso, fine a sé stessi; tutte cose dalle quali avremmo potuto trarre possibili vantaggi in termini di visibilità ma che, in molti casi, avremmo pagato in termini di qualità.

Warp & Weft, Sylvie Fleury – Alexander Wagner, 2013 – Spazio Cabinet, Milan – photo Filippo Armellin

Si sceglie prima l’artista o il tema? Qual è il filo rosso che lega le vostre scelte?
Dalle circa 50 mostre fatte insieme fino ad oggi abbiamo potuto appurare che, purtroppo, non esiste una regola. Una mostra può scaturire dalla necessità di sviluppare una tematica che si reputa importante per quel momento storico, dal desiderio di approfondire una pratica artistica specifica o dall’osservazione di una porzione generazionale come, al contrario, dal solo incontro con un’artista e il suo mondo; un rapporto che può sancirsi perché risultato di una ricerca precisa oppure anche per caso, girando per mostre, visitando studi d’artista, accademie, grazie ad un suggerimento o solo perché rapiti da un post su un social network. Il vero filo rosso che lega le nostre scelte – e diremmo la vera difficolta di questo mestiere – è quella di costruire, da tutte queste singole e differenti “tappe”, una visione coerente e riconoscibile; delineare un gusto.

Qual è la qualità che apprezzate di più in un artista?
L’entusiasmo del fare e la generosità; ma chiaramente deve essere reciproco, vale anche per noi che sta dietro le quinte! …senza queste componenti di ottimismo e fiducia non si va lontano.

Qual è la qualità che apprezzate di più in un’opera?
Ancora oggi è una domanda alla quale non troviamo risposta. Un’opera funziona o non funziona, c’è poco da fare, è un innamoramento a tutti gli effetti; tralasciando il fatto che da qualche parte possa esistere un Cupido dell’arte, sicuramente una buona parte di tutto deriva dal background di ognuno di noi…non parliamo di quello esclusivamente scolastico/formativo (parte fondamentale di questo gioco), ma anche di bagagli più intimi, esperienziali, visivi, interpersonali, che possono cambiare drasticamente il modo di valutare o apprezzare un’opera all’interno della nostra società.

Avete una istituzione/galleria di riferimento (e se sì quale)?
Non esattamente; però siamo sicuramente affascinati dalle storie di alcune gallerie pioniere degli anni ’60/’70 come anche da alcune istituzioni internazionali che, in tema di programmazione, reputiamo ineccepibili e in cui abbiamo visto alcune tra le migliori mostre della nostra vita; tra loro La Fondazione Beyeler di Basilea, Il Palais de Tokyo di Parigi, la Shirn Kunsthalle di Francoforte…; da sempre guardiamo con attenzione anche le esperienze delle nuovissime generazioni, i loro esperimenti collettivi, i loro modelli ibridi, sia in tema di spazi che di programmazione etc.

Cabinet & Studiolo

In quale ambito la vostra galleria può migliorare?
La nostra è una struttura piccola, siamo in due, ognuno con le sue mansioni – chi più logistiche/organizzative chi più curatoriali – e spesso siamo coadiuvati da un’assistente; avere avuto un sistema organizzativo più ampio, spesso, ci sarebbe stato di grosso aiuto.

Qual è l’aspetto che vi piace maggiormente della vostra professione e che le dà maggior soddisfazione?
Fare scouting è stata sempre la nostra passione; quella di scoprire un lavoro nuovo, inedito, che pensiamo possa avere un futuro ci ha sempre elettrizzato molto…e forse, ancora più elettrizzante ed estremamente lusinghiero, è ricevere da parte dei nostri collezionisti la loro estrema e costante fiducia nei confronti di un lavoro che, in quel preciso momento, non è ancora parte solida di un sistema riconosciuto.

Avete, o vorreste avere, una galleria anche all’estero (e se sì perché)?
Da un paio d’anni portiamo avanti un esperimento off nella città Parigi; un piccolo appartamento di fine ottocento sito nel quartiere di Saint Germain de Prés che trasformiamo due volte l’anno in una galleria domestica; un’opportunità che ci fa essere più vicini alla scena parigina…un sistema con il quale lavoriamo oramai da molti anni e che – soprattutto post brexit e grazie all’ingresso Art Basel – è diventato un punto nevralgico sia per l’arte contemporanea che per il design. Proprio durante quest’ultima art week di ottobre abbiamo tenuto lì una collettiva che univa artisti italiani a francesi, (tra cui Valeria Carrieri, Elias Njima, Eliott Paquet, Pierre-Alain Poirier e Josephine Topolanski) e che abbiamo co-curato con Indira Béraud, una giovanissima curatrice di Parigi.

Copyright 2020 Armellin F.

Come pensate che si evolverà il mondo dell’arte e la sua fruizione (anche in relazione alle nuove tecnologie, alla blockchain e al metaverso)?
Noi siamo fermamente convinti che il mondo del blockchain e del metaverso sia (stato) un trend dalle sole declinazioni speculative e che, già oggi, sia evidente il suo stato di oblio e di fallimento. Benché adesso sia molto di moda capire come l’intelligenza artificiale possa ulteriormente cambiare questo mondo… per quanto ci riguarda a noi risulta che, ancora oggi, gli artisti nei loro studi si presentino con gli indumenti sporchi di colore, aprendo cartelle piene di disegni, mostrandoci i loro video mentre realizzano le loro fusioni a cera persa o le loro ambiziose ceramiche colorate e infornate con i metodi più antichi di questo mondo… siamo veramente certi che quello delle nuove tecnologie sia di loro interesse ?

1Arte e diritto: tutela o vincolo (anche alla luce dell’applicazione del diritto di seguito e del diritto di produzione dell’opera riservati agli artisti)?
Lavorando quasi esclusivamente con artisti emergenti o giovani in modalità diretta, con cifre spesso al di sotto dei range normativi e in regime di conto-vendita temporanei, il tema del diritto di seguito per noi non è all’ordine del giorno; …ritornando piuttosto alla domanda precedente…se c’è un vero interesse per le nuove tecnologie da parte degli artisti, questo dovrebbe essere in relazione alla tutela dei loro diritti di produzione e immagine, oggi sotto preda dell’AI.

Le risposte di Maria Chiara Valacchi e Antonio di Mino sono state raccolte da Gilberto Cavagna e Rachele Borghi Guglielmi di BIPART Studio Legale.

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