
La seconda Biennale di Arti Islamiche di Jeddah, come vi avevamo annunciato, conta della presenza di un unico artista italiano invitato: Arcangelo Sassolino. Sotto il titolo di “And All That Is In Between”, che riprende un versetto del Corano che dice “E Dio ha creato i Cieli, la Terra e tutto ciò che vi è in mezzo”, fino al prossimo 25 maggio, Terminal Ovest dell’Aeroporto Internazionale King Abdulaziz, sarà in scena anche la grande installazione Memory of Becoming, dell’artista italiano. Attraverso un disco di 8 metri, in lenta rotazione e rivestito di olio industriale ad alta viscosità, Memory of becoming crea una danza precaria tra stabilità e crollo, riflettendo sul tempo come elemento essenziale dell’opera e del mondo: la rotazione continua del disco mantiene l’olio aderente alla sua superficie, eppure – nonostante lo sforzo incessante del movimento – un lento gocciolare dell’elemento scuro diventa un richiamo poetico alla perdita e alla dissipazione, una testimonianza della transitorietà che permea ogni creazione. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista:

L’intervista ad Arcangelo Sassolino
La semplicità di una forma elementare (il disco, il cerchio), di un gesto (la rotazione e la forza centrifuga), l’essenzialità di un colore (il nero) e l’irriducibilità di un materiale (l’olio, in questo caso in forma industriale, ma che mantiene per sua natura infiniti utilizzi): avevi già chiaro che avresti usato questi elementi quando hai ricevuto l’invito a partecipare alla seconda Biennale d’Arte Islamica?
Dopo avermi invitato a partecipare è iniziato un dialogo con i curatori della Biennale, sono venuti in studio a Vicenza poi sono andato a Jeddah, per visitare gli spazi espositivi e cercare di capire cosa potesse avere senso proporre per il tipo di mostra che stavano pianificando, cosa potesse meglio entrare in dialogo con la cultura islamica. Via via che il dialogo proseguiva ho capito che il lavoro ideale l’avrei potuto trovare in uno dei filoni di ricerca che porto avanti da qualche anno e che si concentra sui fluidi. Così con la mia squadra di tecnici l’abbiamo sviluppato e realizzato su misura per il padiglione assegnato.
“Stabilità e cambiamento, persistenza e transitorietà: l’opera invita il pubblico a confrontarsi con la fluidità della trasformazione, riflettendo sulla propria esistenza e sul costante divenire”, si legge rispetto a Memory of becoming. Eppure, queste caratteristiche sembrano essere costanti della tua poetica, giusto?
Quelli che elenchi sono sicuramente alcuni temi ricorrenti nella mia pratica, con declinazioni e materiali diversi continuano a riconfigurarsi dentro ai miei lavori. Mi interessa che la scultura sia qualcosa in trasformazione o che abbia inglobato quel potenziale di diventare altro. Nello specifico, il lento ma inesorabile girare del disco contrasta la forza di gravità. La massa d’olio che copre il disco è libera di fluire, trasformarsi, colare, rimescolarsi, franare, scendere verso il basso, disegnare, lasciare tracce poi cancellate da altro materiale, coagularsi in gocce e in fine cadere e perdersi. Tutto senza sosta, senza fissità e con una forma sempre diversa. Non a caso si dice il ‘fluire del tempo’, quindi se si offre alla materia la possibilità di fluire credo possa diventare, a sua volta, una metafora per rappresentare il tempo.
Quali differenze hai notato, in questi anni e grazie alla tua carriera, tra il sistema dell’arte europeo e quello dei Paesi del Medio Oriente? Oltre alle diverse condizioni economiche, vedi anche ulteriori attenzioni all’arte di oggi in quella parte del mondo?
È evidente che la scacchiera geopolitica, con tutto quello che ne deriva, sia in rapida trasformazione e in Arabia Saudita questo nuovo fermento culturale si sente moltissimo. Questa mia prima esperienza in Medio Oriente è stata una sfida stimolante e decisamente positiva. Mi ha colpito l’apertura verso la cultura occidentale, evidente non solo nelle opere contemporanee, ma anche nella sezione storica della Biennale, dove erano esposti manufatti straordinari prestati da molti musei internazionali, tra cui alcuni reperti conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Questo dialogo tra tradizione e contemporaneità mi sembra un segnale importante e necessario per costruire un ponte culturale tra Oriente e Occidente.

La seconda Biennale d’Arti Islamiche
Sotto la direzione artistica di Julian Raby, Amin Jaffer e Abdul Rahman Azzam, insieme all’artista saudita Muhannad Shono come Curatore dell’Arte Contemporanea, la Biennale offre spunti su come le culture di tutto il mondo interagiscano e perdurino nel tempo. Lungo cinque sale espositive e una vasta area esterna, la Biennale conta con più di 500 oggetti e opere contemporanee in mostra, riunendo prestiti da alcune delle principali istituzioni artistiche islamiche del mondo, da Tunisi a Tashkent, e da Timbuctù ai luoghi sacri di Makkah e Madinah, di cui Jeddah e il suo vasto aeroporto sono la porta d’entrata per le decine di migliaia di fedeli che ogni anno si recano nella città sacra dell’Islam. Quest’anno, inoltre la Biennale ospita la prima esposizione del Kiswah completo—il tessuto che copre la Sacra Kaaba—al di fuori di Makkah. Il progetto espositivo, come nel 2022, è stato affidato allo Studio OMA di Rem Koolhaas.
