
“Auspico poi si possa realizzare anche in altre città in futuro”: Tommaso Calabro parla del suo sbarco a New York
“Sono estremamente convinto di questa scelta che ho preso, che auspico poi possa realizzare anche in altre città in futuro”. La notizia asciutta ve l’abbiamo data ieri, non appena diffusasi con la pervadenza tipica dei social. Ma ora ci arrivano le parole dello stesso protagonista, e la cosa si arricchisce di significati. “Per ora della durata di un mese, dal 1 al 31 maggio”, ci dice Tommaso Calabro, parlando del debutto della sua galleria sulla scena di New York. E già qui c’è da riflettere: perché questa uscita nella Grande Mela sarà soltanto la prima di una serie di pop-up galleries in giro per il globo.
Ricapitoliamo velocemente: Calabro testerà la scena statunitense aprendo una temporary gallery sulla West 23.ma strada, in quell’angolo di Chelsea dove si focalizza il top dell’art system globale. E questo dopo aver trasferito la sua galleria milanese in Corso Italia, dopo aver aperto un secondo avamposto a Venezia e dopo aver inaugurato anche una succursale a Feltre, città natale. A New York si presenterà con Harold Stevenson, presentato a Venezia per inaugurare la sede di Campo San Polo, e con opere del giovane pittore italiano Aldo Sergio (1982).
Contatto umano
Ma sono altre le dichiarazioni del gallerista ad ArtsLife a conferire una forte pregnanza a questa scelta. “L’ho valutata insieme a tutto il mio team in alternativa alle fiere d’arte, perché ritengo che passare più tempo in un determinato luogo, per quanto ci sia una minore concentrazione di collezionisti di quanta ce ne possa essere in una fiera di tre giorni, possa però creare delle connessioni più durature e significative con collezionisti e advisors”. Una scelta di campo, quindi: bocciate le fiere, terreno d’elezione sul quale oggettivamente oggi la gran parte delle gallerie punta per sviluppare le proprie strategie. E un ritorno allo “spazio fisico”, al contatto umano più diretto e riflessivo.

Ma dalle parole di Calabro emerge anche una opzione “culturale”: “penso che dare maggiore visibilità ai progetti che faccio, che spesso ho fatto anche in fiera in maniera molto curata e molto attenta, sia più significativo per la galleria”. Fra le righe sembra di leggere l’auspicio di un ritorno al ruolo storicamente avuto dalle gallerie d’arte: spazi di incontro, di approfondimento teorico e di creazione di connessioni, oltre che commerciali.
E non manca nelle parole del gallerista un riferimento che aggiunge particolari inediti al progetto newyorkese. “Sono in particolare molto felice di portare a New York Aldo Sergio, artista con il quale abbiamo già fatto una mostra a Milano, oltre che di Stevenson, ovviamente. Ma sono convinto che Sergio sia fra gli artisti più bravi della sua generazione, a livello pittorico. Esporremo una sua nuova serie, dal titolo American prayers, in una stanza all’interno della galleria che ho scelto”.