
Agli Oscar colpo di scena per la miglior attrice, Mickey Madison strappa la statuetta alla favorita Demi Moore. Storica vittoria del cartone lituano Flow sulla Disney. Niente per Isabella Rossellini, nessun premio per il film su Bob Dylan, solo due statuette per Emilia Perez
Quando finalmente sembrava che ci fossimo lasciati alle spalle Emilia Perez, con la sua (ormai) insostenibile retorica woke e il politically correct più codificato, speravamo che i pochi buoni film di un’annata scarsa avrebbero avuto la loro meritata occasione. Invece, nella corsa agli Oscar, si è imposto Anora, una commedia dai toni anni 90 (Mamma ho perso l’aereo, Baby Birba) con un bel ritmo e una combinazione di generi che spazia dallo slapstick al poliziesco, passando per il road e il buddy movie.
Ben scritto ma non particolarmente memorabile, Anora racconta la storia di una sex worker (Mickey Madison) proveniente da una famiglia della classe media americana, che si ritrova a vivere una favola d’amore con il figlio di un oligarca russo. Tra sviluppi rocamboleschi e un happy ending a sorpresa, il film ha conquistato ben 5 statuette su 6 candidature: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Montaggio, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Attrice Protagonista.
Conclave di Edward Berger, invece, che era stato vergognosamente snobbato nella categoria per la miglior regia (sempre per favorire il clan di Emilia Perez), ha vinto solo per la Miglior Sceneggiatura Non Originale. Il film è un thriller politico orchestrato alla perfezione, con un cast stellare che include Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Sergio Castellitto e Isabella Rossellini, candidata rimasta con rammarico a mani vuote. In altri tempi sarebbe stato il candidato perfetto.
I delusi della serata
The Brutalist di Brady Corbet si è difeso meglio, nonostante le sue problematiche: un minutaggio ingiustificato di tre ore e quaranta, un montaggio da rifinire nella seconda parte, inserti narrativi in eccesso e un finale posticcio. Tuttavia, rimane il film più ambizioso del 2024, su cui il regista ha lavorato per sei anni. Il protagonista, Adrien Brody, ha vinto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista, a 22 anni dalla sua prima statuetta per Il Pianista. Questa volta, ha colto l’occasione per denunciare il ritorno dell’antisemitismo, rispondendo a chi lo aveva criticato per non aver preso posizione ai Golden Globes. In un clima maccartista come quello attuale, esporsi solo alla fine si è rivelata probabilmente una scelta saggia. Il suo discorso, però, non ha ricevuto una standing ovation. The Brutalist ha vinto anche nella categoria Miglior Fotografia e Miglior Colonna Sonora.
Ancora premi woke e flop clamorosi
Tra gli altri premi dall’impronta woke, si installa il documentario pro-palestinese No Other Land, che ha soffiato l’Oscar a Sugarcane, indagine sugli abusi della Chiesa cattolica sui nativi americani. Col secondo mandato di Trump e il sostegno di oltre mezza America, Hollywood, diversamente da otto anni fa, non si è voluta esporre troppo e la serata ha visto solo timide incursioni in ambito politico. Eccetto “Love Free Ukraine!” pronunciato sul palco da Daryl Hannah, che è passato quasi inosservato, e il riferimento all’immigrazione nel discorso di ringraziamento di Zoe Saldana (Miglior Attrice Non Protagonista per Emilia Perez), prima vincitrice di origini dominicane, non ci sono stati momenti particolarmente politicizzati.
Il “caso” Emilia Perez
Il fenomeno Emilia Perez rimane un mistero. Dopo essere stato acclamato a Cannes e aver collezionato candidature e premi per tutta la stagione, il film era arrivato agli Oscar con ben 13 nomination. Un numero che, per dare un’idea, è stato raggiunto da titoli come Via col vento, Da qui all’eternità, Shakespeare in Love, Forrest Gump, Oppenheimer, Mary Poppins, Chi ha paura di Virginia Woolf, Il Signore degli Anelli, La forma dell’acqua e Il curioso caso di Benjamin Button.
Alla fine, fortunatamente, si è dovuto accontentare di soli due premi: Miglior Attrice Non Protagonista (Zoe Saldana); Miglior Canzone (El Mal).

Forse, non avrebbe meritato nemmeno quelli. Inizialmente celebrato per il suo cast, il film ha subito un duro colpo d’immagine quando Karla Sofía Gascón, attrice trans protagonista, è stata travolta da polemiche per vecchi commenti razzisti contro musulmani, asiatici e persino contro gli stessi Oscar. A complicare la situazione, le dichiarazioni poco felici del regista e le critiche della comunità trans, che ha contestato la rappresentazione della protagonista.
A Cannes, per evitare di assegnare un riconoscimento individuale a Gascón, la giuria aveva optato per un diplomatico premio al Miglior Cast Femminile. La European Film Academy non si è fatta lo stesso problema. Questo caso riaccende il dibattito su quanto il fattore identitario debba pesare nei premi cinematografici e su come il principio delle quote forzate, nato con buone intenzioni, stia rischiando di trasformarsi in un nuovo sistema di privilegi che privilegia alcune categorie a discapito di altre.
I numeri degli Oscar 2025
Analizziamo i principali film dell’edizione in termini di budget e incassi:
Anora → Budget: 6 milioni | Box Office: 41 milioni
The Brutalist → Budget: 6 milioni | Box Office: 42 milioni
Conclave → Budget: 20 milioni | Box Office: 102 milioni
Emilia Perez → Budget: 25 milioni | Box Office: 15 milioni
Netflix, come sempre, non ha divulgato i dati sui suoi titoli, ma ha investito 50 milioni di dollari nella campagna promozionale sotto la guida della publicist Lisa Toback, ex membro della scuderia Weinstein. Negli anni, Netflix ha abituato Tinseltown ai suoi investimenti ipertrofici nelle FYC Campaigns per la promozione dei suoi film nella stagione delle premiazioni, e forse proprio per questo continua a non ottenere premi di grande rilievo.
Cannes vs Venezia: chi ha dominato gli Oscar?
Quest’anno il Festival di Cannes ha battuto Venezia nella corsa agli Oscar. Da Cannes arrivano Anora, Emilia Perez e Flow (questo film lituano ha battuto a sorpresa il colosso Disney nel Miglior Film D’Animazione), che promuovono le politiche della presidente Iris Knobloch, recentemente riconfermata per ulteriori tre anni.
Da Venezia, invece, provengono The Brutalist (vincitore per Miglior Fotografia e Miglior Attore) e I’m Still Here di Walter Salles, primo film brasiliano della storia candidato sia per Miglior Film che per Miglior Film Internazionale. Si è aggiudicata la candidatura come miglior attrice protagonista anche Fernanda Torres, figlia di Fernanda Montenegro, candidata all’Oscar anche lei 25 anni fa con Central Do Brasil.

I premi tecnici
Miglior Trucco e Acconciatura → The Substance di Coralie Fargeat, un body horror splatter movie che ha lasciato Demi Moore a bocca asciutta, nonostante fosse la super favorita. Quando Mickey Madison ha ritirato l’Oscar per la Miglior Attrice, l’invidia e la delusione di Demi Moore hanno raggiunto le stelle.
Miglior Sonoro ed Effetti Visivi → Dune: Part Two di Denis Villeneuve.
Migliori Costumi e Scenografie → Wicked, campione d’incassi negli USA ma flop in Italia. La vittoria segna un momento storico: Paul Tazewell è il primo costumista di colore a vincere un Oscar in 97 anni.
Lo Show da Los Angeles a Roma
La conduzione di Conan O’Brien non è stata all’altezza del compito: il suo discorso d’apertura era fiacco e ha spento lo spettacolo in apertura. Fortunatamente, almeno sul finale, la serata ha trovato un po’ di ritmo grazie a Queen Latifah, che ha celebrato la scomparsa del genio di Quincy Jones con una straordinaria esibizione di Ease on Down the Road. Il brano, interpretato originariamente da Michael Jackson e dalla monumentale Diana Ross in The Wiz (la versione black de Il mago di Oz, diretta nel 1978 da Sidney Lumet), è stato uno dei momenti più coinvolgenti della serata. Lumet non era un regista da musical e il film non funzionò, ma la canzone è rimasta iconica, e Latifah ha saputo dare nuova energia a un pubblico ammorbato sin dall’apertura da numeri musicali ridondanti e poco coinvolgenti.
Il momento più emozionante della serata è arrivato proprio sul finale, con il ritorno sul palco del Dolby Theatre di Meg Ryan e Billy Crystal, gli indimenticabili protagonisti di Harry, ti presento Sally. Crystal, tra l’altro, ha presentato gli Oscar per diverse edizioni quando era più giovane, e il loro ricongiungimento ha regalato al pubblico un attimo di puro intrattenimento. In Italia, la serata è stata trasmessa dalla Rai, che per il secondo anno consecutivo si è aggiudicata i diritti per la diretta degli Oscar. La serata paludata era condotta da Alberto Matano con il supporto dell’inviata sul red carpet Giorgia Cardinaletti, entrambi evidentemente poco competenti in materia. A peggiorare l’esperienza per il pubblico italiano, l’impossibilità di seguire la versione originale in inglese, una scelta che suscita critiche tra gli appassionati.
Bilanciare meritocrazia e inclusività
Gli Oscar, oggi più che mai, riflettono una crisi profonda del mondo dello showbiz, che si trova a fare i conti con una difficile ricerca di equilibrio tra tradizione e innovazione. Da un lato, premia film che rispettano canoni estetici e narrativi consolidati, come Anora. Dall’altro, tuttavia, le scelte sembrano sempre più influenzate dal desiderio di inclusività, spesso a discapito dei meriti artistici puri. Questo scenario solleva la questione cruciale di come bilanciare meritocrazia e inclusività, uno dei temi più rilevanti per gli anni venturi, ma anche tra i più difficili da risolvere.
Coppola, campione di Razzie Awards
Nel contesto di un anno in cui Francis Ford Coppola ha sbancato ai Razzie Award con Megalopolis più nominato nelle candidature al peggior film, mentre Conclave di Edward Berger ha ottenuto solo un premio su sei candidature (con l’assenza di una nomination per la regia proprio a favore di Audiard), e il film di genere Anora ha trionfato su progetti ambiziosi come quello di Brady Corbet, cosa stanno veramente celebrando oggi gli Oscar? Perché con questi presupposti non è più il riconoscimento del miglior cinema, ma piuttosto un prodotto di scelte politiche, culturali e sociali che riflettono più l’immaginario del momento che il valore artistico intrinseco delle opere.
Le polemiche su Emilia Perez parlano in modo significativo dei rischi della globalizzazione e dei limiti di approcci estremisti e manichei. Parliamo di un paese, gli Stati Uniti, che continua a influenzare profondamente l’immaginario collettivo mondiale con i suoi modelli, tanto che la cultura hollywoodiana rimane il punto di riferimento per gran parte del mondo, non solo quello occidentale. Chi nega questo fatto nega l’evidenza, perché tutti aspirano ai canoni proposti da Hollywood.
Cosa celebrano oggi gli Oscar?
Un tempo, gli Oscar premiavano film memorabili, capaci di segnare l’immaginario collettivo e di restare nel cuore del pubblico. Oggi, tra politiche di inclusività e scelte più prevedibili, la domanda è inevitabile: cosa resterà di questi Oscar tra tre anni? Come ha osservato nello studio Rai Paolo Mereghetti, che già a Cannes aveva condannato la vittoria di Anora, “Chi si ricorderà di questi film?”.
E’ ormai domani e lo sguardo è già rivolto verso Cannes 2025, dove tra appena due mesi inizierà il walzer verso i premi del 2026 che forse ci forniranno nuove risposte a queste domande irrisolte.