
Milano, città vivace, effervescente, globale e favorita nei secoli da una straordinaria posizione strategica per le rotte commerciali, ha acquisito una notevole forza economica divenendo sede della Borsa Italiana, polo finanziario e centro di riferimento mondiale della moda e del design e il principale centro logistico per grande distribuzione, moda, industria farmaceutica… Metropoli del Nord, è una delle mete più visitate al mondo dal turismo internazionale anche per le pregevoli offerte artistico- culturali e di ristoranti e negozi esclusivi.
Quando è sbocciata questa città che vanta origini antiche? Fondata da una tribù celtica, con il nome di Mediolanum nel 222 a.C. è conquistata dai Romani. Costantino nel 313 d.C. vi promulga l’Editto di Milano (con cui concede la libertà di culto) e Diocleziano ne fa una delle quattro capitali della tetrarchia (quattro settori in cui divide l’impero romano). Il citato Editto incentiva la costruzione di Chiese e Basiliche tanto che Ausonio (Burdigala, l’odierna Bordeaux, 310-393 ca.), autore del poema La Mosella, nel suo Ordo urbium nobilium, così descrive la città del 380-390: “A Mediolanum ogni cosa è degna di ammirazione, vi sono grandi ricchezze e numerose sono le case nobili. La popolazione è di grande capacità, eloquenza e affabile. La città si è ingrandita…”.
Uno sguardo di ammirazione e di estatica meraviglia quello del poeta latino, non così diverso dal nostro nel percorrere con incantato entusiasmo le vicende di Milano “crocevia delle arti” seguendo il fil rouge del “genio” milanese, capace di fare emergere il positivo di chi l’ha frequentata nei secoli, carpendolo e facendolo proprio con la “milanesità” come è successo ad Ambrogio (Augusta Treverorum, l’odierna Treviri 330 ca. – Milano 397). Di famiglia romana, scomparso il padre (prefetto del pretorio), la famiglia torna a Roma dove il giovane percorre il cursus honorum. Eletto governatore con sede a Milano, Ambrogio si distingue per la sua equilibrata competenza per cui, scomparso il vescovo di parte ariana (corrente eretica del Cristianesimo), è eletto, sebbene laico, Vescovo per acclamazione. Cerca di sottrarsi, ma nel 374 accetta e diverrà un personaggio carismatico che lascerà alla città (nel 387 battezza Sant’Agostino) impronte perenni oltre a essere riconosciuto Santo e Padre della Chiesa. Il cristianesimo, pur con tutte le difficoltà iniziali nel costruire la dottrina e malgrado le divisioni interne, è penetrato radicandosi in maniera profonda tanto da influenzare il prosieguo della storia.

Percorso storico che le Gallerie d’Italia (braccio culturale di Banca Intesa San Paolo), in Piazza Scala 6 a Milano, riprendono dal 1386 (che segna l’avvio della nuova cattedrale di Milano) fino al Novecento attraverso la mostra IL GENIO DI MILANO. Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al Novecento. Curata da Marco Carminati, Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti e Paola Zatti, l’esposizione racconta fino al 16 marzo 2025 con più di 140 opere (in 10 sezioni tematiche e cronologiche) tra dipinti, marmi, sculture, disegni e manoscritti – provenienti dalle raccolte e dai depositi dei musei milanesi e da prestigiosi musei e collezioni internazionali – come il capoluogo lombardo grazie allo stimolo di costruire il suo mirabile Duomo sia stato artefice di innovazione sia nelle arti sia nella scienza aprendo le porte ad artisti “foresti” che hanno realizzato il proprio “genio” anche in virtù di un collezionismo e un mecenatismo lungimiranti.
L’esposizione, realizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e in partnership con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ha la collaborazione delle più importanti istituzioni culturali milanesi.
Tuffiamoci nel grandioso e coinvolgente percorso espositivo che parte dal Medioevo, momento dell’incipit del Duomo.
La prima sezione è intitolata La cattedrale degli stranieri. La piccola lapide – inserita nella parete meridionale all’altezza della prima campata – con la frase “EL PRINCIPIO/DIL DOMO DI/MILANO FU/NEL ANNO/1386” non rappresenta la “prima pietra” posata, ma, pur essendo più recente, precisa l’annus mirabilis in cui è avviata la sua costruzione in stile tardogotico (l’edificazione risale, infatti, al momento in cui il ‘gotico delle cattedrali’ è al massimo della fioritura) inusuale a sud delle Alpi per cui all’inizio è necessario ricorrere a maestranze e artefici provenienti dall’Europa transalpina. L’area destinata alla nuova costruzione è quella di due antiche chiese ciascuna con il suo battistero: la grande basilica di S. Tecla (basilica estiva) del IV secolo e la retrostante chiesa di Santa Maria Maggiore (basilica invernale) con un alto campanile che nel 1353 crolla distruggendo l’edificio ecclesiastico. L’arcivescovo di Milano, Antonio da Saluzzo, esorta i fedeli a collaborare con elemosine per una soluzione unitaria e maestosa. L’entusiasmo è notevole tanto che, dopo la demolizione degli edifici preesistenti, schiere di Milanesi di tutti ceti sociali partecipano allo sterro che arriva ai sei metri di profondità necessari ad accogliere una costruzione di dimensioni eccezionali.

Su iniziativa del duca Gian Galeazzo Visconti (da poco al potere), conscio del valore politico, religioso e di immagine del costruendo Duomo, nel 1387 è fondata la Veneranda Fabbrica del Duomo con il compito di trovare e amministrare le risorse finanziarie necessarie a progettare, costruire e conservare una basilica più grandiosa di quelle esistenti non solo nella Penisola. In effetti da subito si prefigurano dimensioni eccezionali poi raggiunte con 150 m di lunghezza, 90 di larghezza nei transetti e ca. 12.000 m² di superficie. Il duca per esaltare la magnificenza della costruzione stabilisce che venga usato il “nobile marmo”: al riguardo concede alla Veneranda Fabbrica l’uso delle cave di Candoglia (all’imbocco della Val d’Ossola) dalle quali ancora oggi si estrae il delicato marmo grigio-rosato che all’epoca grazie all’efficiente via d’acqua arriva a ridosso del cantiere. Si comincia a lavorare dall’abside. Inizialmente accanto a maestri lombardo-ticinesi ne compaiono numerosi transalpini, molti dei quali consegnano modelli lignei come progetti. Una storia infinita di costruttori della parte edilizia e delle decorazioni tra problematiche, chiamate, liti, licenziamenti anche di lapicidi, scultori, scalpellini e maestri vetrai prima stranieri che man mano cedono il passo a quelli della nostra penisola. Affascinanti nella prima sezione le testimonianze del faticoso iter costruttivo come il Modello del duomo di Milano (Anonimo, seconda metà XIX secolo) quale esempio di quelli presentati per tutta o parti della chiesa. Suggestive la serie di sculture tra cui statue di santi, serafini e doccioni (un tempo canali di scolo per l’acqua piovana) sostituite e salvate e numerose vetrate (in vetro e piombo) dipinte con rara eleganza, alcune delle quali smontate per l’occasione e calate dalle finestre del Duomo.
Tra i problemi più importanti da affrontare a metà ‘400 si presenta quello del “tiburio” (elemento architettonico che, all’incrocio dei bracci di una chiesa, racchiude al suo interno una cupola proteggendola) per la cui costruzione si consultano numerosi architetti “forastieri” e locali tra cui Bramante e Leonardo da Vinci (pagato nel 1487 e1488 dalla Fabbrica per il modello ligneo), ma non convincono finché i lombardi Amadeo e Dolcebuono, architetti della Fabbrica, lo completano nel ‘500 in modo armonioso e così solido da accogliere nel ‘700 il notevole peso della guglia maggiore con la Madonnina aurea, protettrice della città.

Lodi, Museo Civico – © Mauro Ranzani
Inizia così un momento magico della storia milanese con Leonardo, un fiorentino a Milano orgogliosa di averlo ospitato, come recita l’iscrizione della statua in suo onore, eretta dallo scultore Pietro Magni nel 1872 in Piazza della Scala.
Galeazzo Maria Sforza e Ludovico Sforza, detto il Moro, hanno vanamente tentato di attirare grandi artisti alla loro corte per averne prestigio e lustro. Leonardo vi giunge nel 1482 e vi resta stabilmente fino al 1499 e poi in varie occasioni tra il 1506 e il 1513. Si presenta come esperto nell’arte militare, ma in primis è un ottimo ma incostante pittore in grado di dipingere sfumando i contorni delle figure. Giuseppe Diotti nel 1823 immagina Leonardo mentre argomenta il suo pensiero presso La corte di Ludovico il Moro (con la giovane moglie Beatrice d’Este e il fratello Cardinale Ascanio) con il progetto del Cenacolo sulle ginocchia: sulla destra un musico, un poeta con corona di alloro e uno storico mentre alla sinistra Bramante parla con il matematico Fra’ Luca Pacioli mentre sta entrando il potente segretario Bartolomeo Calco. In mostra insieme ad altri notevoli disegni di Leonardo si ammira il raffinato Studio di fiori dipinto con minuziosità da botanico.
Segue La Milano di Federico Borromeo, arcivescovo intellettuale che fonda la Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana indirizzando il gusto cittadino aperto al nuovo verso la pittura fiamminga, il paesaggio e la natura morta.
La Milano di Sebastiano Ricci che la frequenta al pari di altri pittori formatisi nella Serenissima come prima tappa della loro affermazione in Europa dove primeggiano – a fine ‘600 in momenti diversi rispetto al Tiepolo e ad altri pittori comunque entro il 1740 – mostra come gli artisti milanesi ne siano influenzati in modo innovativo soprattutto nei generi mitologico e sacro.
Nel secondo ‘700, grazie alle radicali riforme dell’imperatrice Maria Teresa e del figlio Giuseppe II e della vis razionale che aleggia nel periodico Il Caffè tra intellettuali del calibro di Pietro Verri, Cesare Beccaria e altri Milano diviene uno dei centri dell’Illuminismo europeo.

Splende dal punto di vista urbanistico e architettonico La nuova Milano di Giuseppe Piermarini. L’architetto di Foligno, di formazione romana e allievo di Luigi Vanvitelli, operando più con semplicità e buon gusto che con lusso, realizza importanti interventi nel tessuto urbano anche con l’inserimento di dimore per nobili e borghesi emergenti: Palazzo Belgiojoso, Villa Reale di Monza, Teatro alla Scala, i Giardini Pubblici… una Milano neoclassica che regge con stile al vivace e complesso divenire storico tra ‘700 e ‘800.
Se muta l’aspetto esterno, anche gli interni si abbelliscono grazie ad artisti come i toscani Gaetano Traballesi e Giuseppe Franchi, I maestri di Brera e Andrea Appiani e il mosaicista e bronzista romano Giacomo Raffaelli. Nella promozione della riforma neoclassica è decisivo il ruolo dell’Accademia di Brera, diventata presto la prima d’Italia grazie alla presenza nel suo corpo docenti di maestri affermati come il fiorentino Luigi Sabatelli.
Non bisogna dimenticare che in questo periodo per iniziativa di Napoleone si conclude (1803-1813) la facciata del Duomo mentre proseguono i lavori di costruzione e decorazione: guglie sulle coperture e vetrate istoriate. Mancano ancora le porte, realizzate tra il 1909 e il 1965. Iniziano poi nella seconda metà del ‘900 importanti lavori di restauro.
Nella successiva sezione sul Romanticismo compaiono pittori e scultori come Pelagio Palagi, Francesco Hayez, Massimo d’Azeglio, Carlo Canella, Alessandro Puttinati che – formatisi tra Roma e Parigi – si trasferiscono a Milano per le opportunità offerte da una città capitale culturale della penisola e sempre più europea, come riconosciuto da Stendhal, ed eccellente in ambito letterario, musicale e artistico. Sono loro che, seguiti da artisti come Giuseppe Molteni, Giovanni Migliara e Angelo Inganni conquistano un collezionismo colto facendo di Milano nella prima metà dell’Ottocento il centro del Romanticismo destinato a trasformare profondamente la sensibilità e la concezione stessa del bello.

Si avvicina la fine del secolo e Milano in virtù dello sviluppo economico e sociale e della internazionalità acquisiti diviene capitale morale del nuovo Stato Italiano e si passa Dal Divisionismo al Futurismo. Se il primo nasce a fine ‘800 grazie all’audace Vittore Grubicy, saranno pittori come Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo a preparare l’affermazione di Umberto Boccioni cui si deve il passaggio al Futurismo.
Nel ‘900, a Milano fervono nuove idee che trasformano il modo di concepire l’arte in considerazione di una nuova visione che ritiene superato il futurismo. Autore di questo “ritorno all’ordine” a favore di progresso e classicità tradotti in un solido linguaggio pittorico è il gruppo Novecento fondato da sette artisti (tra cui Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Pietro Marussig e Mario Sironi) provenienti da esperienze diverse e appoggiati dalla veneziana Margherita Sarfatti (a Milano dal 1902) – mente visionaria, intuitiva, tenace e molto abile – nella cui casa-studio di corso Venezia si muovono i più promettenti intellettuali tra letterati, scultori, architetti e pittori.
La mostra si conclude con l’analisi del rapporto tra il raffinatissimo scultore Adolfo Wildt e Lucio Fontana e Fausto Melotti, due suoi giovani allievi dell’Accademia di Brera, che partendo dal figurativo arrivano all’astratto fino a rivoluzionare e cancellare i confini tra le arti come nella scenografica installazione Ambiente nero spaziale a luce nera di Fontana, emblema di un’arte che va oltre la materia.
È presente in mostra anche uno dei progetti con cui Fontana partecipa nel 1955 al concorso per la realizzazione di una nuova porta del Duomo concludendo così il racconto espositivo che vede la Cattedrale al centro di una Milano sempre al passo con l’innovazione: una mostra che delibata lentamente rimarrà sempre nella memoria dei fortunati visitatori.