
La storia dell’arte non sempre è lineare. A volte le opere d’arte, anche quelle che crediamo di conoscere e che sono da sempre oggetto di approfonditi studi, nascondono sorprese che destano l’attenzione di critica e pubblico, dando adito a nuove interessanti letture e interpretazioni. A volte le nuove scoperte portano a rivedere le narrazioni correnti, altre le confermano, in un calembour di ricerche e inedite spiegazioni che ha sempre un po’ il gusto dell’avventura e della scoperta. È questo il caso di una delle ultime opere di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. L’opera in questione è Il Martirio di Sant’Orsola del 1610, parte della collezione Intesa San Paolo e attualmente conservato presso la sede napoletana delle Gallerie d’Italia.
In occasione della mostra dedicata quest’anno al genio di Caravaggio nella prestigiosa sede di Palazzo Barberini a Roma, dove Il Martirio di Sant’Orsola sarà esposto al pubblico, le Gallerie d’Italia di Napoli hanno infatti attuato una paziente e attenta opera di pulitura e di restauro proprio su quest’opera, riportandone i colori all’antica vivacità e splendore. Ma proprio grazie a questi lavori, seguiti da Laura Cibrario e Fabiola Jatta del laboratorio di restauro delle Gallerie d’Italia di Napoli, sono emerse interessanti sorprese, tra cui alcuni dettagli non di poco conto fino ad oggi sconosciuti.
Nel retroscena dell’opera, sono infatti comparsi tre nuovi personaggi fino ad ora rimasti nascosti, non tanto perché avvolti nei giochi di luci ed ombre tipici del Caravaggio maturo, ma perché occultati sotto la patina dei secoli.
Il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, come si è detto, risale al 1610, appunto anno della morte del Merisi, ed è oggi conservato nella sede delle Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano, a Napoli. L’opera porta con sé una storia complessa, che la vide prima dipinta in gran velocità da Caravaggio, impaziente di imbarcarsi di lì a poco per Porto Sant’Ercole, su commissione del Principe Marcantonio Doria. Dopo varie traversie l’opera fece ritorno a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, per essere infine acquistata dalla Banca Commerciale Italiana nel 1972 ed entrare così a far parte della collezione.

Il primo restauro approfondito di quest’opera risale al 2003 – 2004, eppure solo oggi sono emersi i nuovi personaggi che destano l’interesse di critici e studiosi e, soprattutto, arricchiscono l’opera di un ancor maggior rilievo drammatico.
L’ultimo capolavoro di Caravaggio rappresenta, come sempre, una scena di alta portata narrativa, che verrebbe quasi da definire teatrale o cinematografica, con una storia molto particolare. Sant’Orsola era considerata la santa protettrice della famiglia Doria. Per questa ragione il Principe Marcantonio insisté affinché Caravaggio realizzasse un’opera che la vedesse come protagonista. È una delle prime martiri cristiane, che rifiutò di legarsi al re unno Attila e fu da questi uccisa. Esiste un modo tradizionale di ritrarre il personaggio, ma Caravaggio, naturalmente, non si accontentò di realizzare un dipinto banale, come l’avrebbe fatto chiunque altro, e volle fare di più. E così, anziché rappresentare la santa secondo la tradizionale iconografia, che la vedeva ritratta accanto ad altre vergini e ai simboli del suo martirio, Merisi scelse di mettere in scena il momento stesso del suo assassinio per mano di Attila.
Narra la leggenda che il re unno celebre per la sua crudeltà e violenza, s’innamorasse proprio di Sant’Orsola e la volesse in sposa. La Santa, naturalmente, si rifiutò e così il re barbaro, respinto e offeso, la uccise scagliando una freccia dritta in quel cuore che lo aveva rifiutato. Caravaggio sceglie di rappresenta proprio il momento più intensamente drammatico della vicenda, quello in cui Attila ha appena scagliato la freccia, colpendo a morte il cuore della Santa.
Il re, nel dipinto, ha uno sguardo sconvolto, quasi fosse già pentito del proprio gesto inconsulto e violento. La Santa invece porta gli occhi alla freccia, con spavento, mentre le sue mani e il suo volto assumono già il freddo pallore della morte. Gli altri personaggi intorno alle due figure protagoniste dell’evento, paiono sorgere dall’ombra, forse accorse in tutta fretta nel tentativo di soccorrere in extremis la vittima, senza tuttavia riuscire a giungere in tempo. Uno dei personaggi, quello proprio alle spalle di Sant’Orsola, pare riecheggiare nei tratti del suo volto gli stessi del Caravaggio. Un moto empatico, denso di emozione, quello del pittore lombardo, che forse, chi può dirlo, porta con sé tutto il senso drammatico del pentimento, del delitto e del castigo, per un assassinio?
Questa, al netto delle interpretazioni, la lettura tradizionale dell’opera. Il recente lavoro di restauro e pulitura ha però arricchito ulteriormente la scena, facendo emergere ancora altri tre personaggi, fino ad ora invisibili. C’è un soldato che indossa un elmo sulla destra di Attila; un pellegrino con un cappello, poco distante; e infine indoviniamo, dietro ai personaggi, l’elmo di un armigero con la fessura per gli occhi che vi si affacciano.
Quale ruolo narrativo attribuire a questi, per noi nuovi, personaggi? Quale nuova lettura suggeriscono? La scoperta è davvero recentissima e le interpretazioni possono essere molteplici. Di certo, ora, c’è l’interesse per vedere il dipinto finalmente completo di caratteri fino ad ora rimasti nascosti ai nostri occhi, grazie al lavoro svolto dal laboratorio di Napoli.
L’opera di restauro e conservazione si completa, inoltre, con la scelta di una nuova cornice seicentesca, adattata a mantenere il clima frame ideale che garantisce la temperatura ottimale per la conservazione dell’opera.