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Titina Maselli: il ritorno degli anniversari con collazione

Titina Maselli, Calciatori, 1966, olio su tela Titina Maselli, Calciatori, 1966, olio su tela
Titina Maselli, Calciatori, 1966, olio su tela
Titina Maselli, Calciatori, 1966, olio su tela

Nel centenario della nascita e a venti dalla scomparsa Roma omaggia Titina Maselli con una grande mostra a Villa Torlonia e al MLAC

Inevitabile e godibile rifarsi gli occhi e ritemprare la mente con la bella mostra Titina Maselli allestita a Roma, Casino dei Principi di Villa Torlonia, e al Museo laboratorio di Arte contemporanea dell’Università la Sapienza, aperte fino al 21 aprile, per la cura di Federica Pirani, Claudio Crescentini, Ilaria Schiaffini, Giulia Tulino e Claudia Terenzi. Il lettore che pratichi o soltanto legga di mostre non faticherà a capire a quale altra esposizione la vista turbata del recensore per caso si riferisca, perché topograficamente dista in linea d’aria poche migliaia di metri da Villa Torlonia e si tratta di un evento espositivo del quale hanno e stanno parlando, soprattutto male, con poche connotate eccezioni, giornali, siti specializzati e reti televisive di tutto il mondo.

Chiedo venia allora per la pleonastica, ma incontenibile premessa, una specie di collazione (artistica), come una rilettura di un vademecum di buone pratiche di curatela, di allestimento e di produzione catalogica. Qui al Casino dei Principi fin dall’ingresso si seguono le regole: un grande pannello col colophon ti spiega chi ha promosso è curato l’evento; c’è poi una esauriente biografia dell’artista, una bacheca con cataloghi storici dell’artista e una breve rassegna di ritratti della Maselli dei quali si dirà più avanti. Laggiù invece ti accoglie una fitta pioggia di figurine appese con fili da pesca al soffitto, che sarebbero “parole in libertà” di marinettiana memoria, allestimento realizzato da un grafico, quello che ha aggiunto la C al logo del museo, non da un artista, dunque “non opera” sconfessata come organica all’esposizione dal curatore, ma da lì si deve passare per vedere la mostra.

Per il colophon si deve andare più avanti, ancora nel corridoio, che se ti fermi a leggere tutto rischi qualche spallata dai visitatori che transitano, perdendosi il visitatore un po’ erudito la constatazione che questa grande mostra non ha un comitato scientifico, bensì un comitato organizzativo formato da un famoso archeologo, una medievalista dello staff del direttore generale, con molti titoli anche di insegnamento della materia, e un’architetta: tutti e tre dipendenti del Ministero della cultura.

 

Titina Maselli, Camion, ante 1965, olio su tela
Titina Maselli, Camion, ante 1965, olio su tela

Al che il visitatore un po’ erudito si ricorda di aver letto nel manuale di storia dell’arte del liceo che Marinetti voleva spazzar via ogni vecchiume e allora gli viene una sorta di sturbamento. Altra delusione, voleva vedere quella scultura di Boccioni delle forme strane che, pure, era riprodotta nel suo manuale, ma non la trova, al che chiede a una ragazza della custodia, la quale, imbarazzata, dice che è stata ritirata: altro sturbamento! La mostra è spiegata (spesso un po’ alla buona) per aggregazione di anni in una sala più avanti, quando il visitatore già ne ha visitata la metà!

Pur dichiaratamente nazional popolare, chi è andato là a vederla, adulto o bambino che fosse, non ha avuto neanche l’aiuto di un’audioguida, che ormai hanno anche i musei di campagna, per capire la mostra. In teoria, l’allestimento è cronologico e tematico ma ci sono salti improbabili, collocazioni proprio errate, come quella di inserire nell’arte meccanica opere solo perché ritraggono un treno o un motoscafo! E poi ci sono ritorni ansiosi come quello delle decine e decine e decine di quadri e carte di Balla, molti, superflui, se non penalizzanti per l’artista.

L’allestimento al Casino dei Principi è sobrio ma convincente: un pannello ogni stanza, luci diffuse, a volte concentrate quando lo richiedono le opere; disposizione cronologica con alcune sale tematiche. Laggiù nei grandi saloni troneggiano un idrovolante (una riproduzione dell’originale), automobili, motociclette… che spesso oscurano i piccoli quadri che fanno da sfondo e gli specchi agli stipiti non dinamizzano, ma confondono il visitatore. Venendo alle scelte espositive, strettamente legate alle scelte critiche, qui c’è la cronologia ma anche le sale tematiche e pannelli che spiegano bene un’artista complessa, così come aiuta l’inevitabile audioguida, a leggere un artista difficile da contestualizzare, spesso misteriosa. Laggiù l’audioguida non c’è e i pannelli sono di modesto contenuto, a volte carenti o con errori. La disposizione è spesso caotica e contraddittoria, anzi costellata di non poche mancanze e svarioni.

Per non parlare del catalogo: qui molto professionale della Electa con testi tutti qualificati con schede, bibliografia, elenco delle opere, laggiù un volumone da 70 € non contiene uno straccio di bibliografia, neanche un elenco degli artisti in mostra, figurarsi le schede delle opere. Sfogliandolo, si è presi da uno straniamento: un lettering da bollettino parrocchiale, una impaginazione improbabile con minimali fra i testi che si sperdono nella pagina bianca e che si rivelano spesso illeggibili. Leggibili sarebbero stati i documenti storici in mostra, ma inspiegabilmente non sono stati riprodotti. Infine, opere riprodotte che non sono in mostra e opere non riprodotte che sono in mostra! Insomma un pasticcio!

Dov’eri Treccani? Quanto ai testi, la maggior parte sono di non esperti della materia del movimento artistico presentato, spesso giornalistici, quando non più lunghi di una scheda, insomma il tema oggetto della mostra non è spiegato a chi non lo conosceva e ai bambini. Scuserà il lettore per questa lunga digressione, ma la visita alla mostra della Maselli dopo quella, reiterata, che non viene citata ma è facilmente individuabile, conferma che non c’è stato pregiudizio nel contestare quell’altra sia riguardo all’accuratezza espositiva che all’allestimento, per non parlare del metodo di ricerca dei contenuti e di redazione e impaginazione del relativo catalogo.

 

Titina Maselli, Composizione urbana, 1977-81, acrilico su carta
Titina Maselli, Composizione urbana, 1977-81, acrilico su carta

Dunque, finalmente, viene saldato il debito con la Maselli, in occasione del centenario della sua nascita e a venti dalla scomparsa con la sinergia fra il Comitato per il Centenario di Titina Maselli Roma Capitale che presenta al Casino dei Principi la produzione degli anni Quaranta e Cinquanta in un percorso cronologico, con qualche approfondimento tematico temporalmente trasversale, e l’Università la Sapienza e la Sapienza che presenta una selezione delle opere di grande formato dagli anni Sessanta in poi.

Maselli, un’artista un po’ dimenticata che ha lasciato un segno nella vicenda artistica del secondo ‘900, sicuramente certo per l’innovazione espressiva, per la disinvoltura e la sostanziale autonomia, avendo ben presente il contesto geograficamente e culturalmente variegato in cui ha operato, bensì da lei restituito con un’inconfondibile cifra estetica, sia che ritraesse i grattacieli di New York. Le immagini dei grattaceli ed anche i ritratti sportivi sono esasperazioni dilatazioni deformazioni di pose, di occupazioni abusive di spazi.

Prospettive improbabili anche pseudo aeropittoriche come nel calciatore mi pare, lasciando talvolta al colore acceso psichedelico spesso, catarifrangente, l’allusione, adesione alla Pop art al cui riguardo Pirani, opportunamente e ricercatamente cita anche suggestioni che l’artista romana avrebbe ricevuto dall’opera del lucano-americano J. Stella (che ho inserito nel 2023 nella mostra su Futurismo e Mezzogiorno a Matera). Appare infatti improbabile che la conoscenza dell’arte americana del XX secolo fosse estranea alla Maselli un cui capitolo della produzione riflette su analoghe tematiche metropolitane.

 

Titina Maselli, Ciclista, 1995, acrilico su tela
Titina Maselli, Ciclista, 1995, acrilico su tela

La sua autonomia si è manifestata con l’essere stata sempre defilata rispetto a gruppi e movimenti, seppure, ad esempio, è stata definita “madre della Pop italiana”, in riferimento, certo, a opere squillanti come il ritratto di Marilyn, riguardo alla quale Claudio Crescentini scrive “Un’icona spezzata è quella della Garbo di Titina Maselli, frantumata dall’ingrandimento pittorico ossessivo posto in atto dalla pittrice che la riproduce numerosissime volte, anche in versione serigrafica, decontestualizzandola dal mito tanto da sfiorare l’auto-immedesimazione…” e lo stesso aggiunge: “Anche la pittura di Titina Maselli può essere situata grossomodo in questa vasta corrente neo-oggettiva, e anzi la sua storia – date alla mano – è stata spesso interpretata come un caso, sia pure anomalo di Pop Art ante litteram”.

Per sottolineare il carattere autonomo della pittura della Maselli, la Pirani cita Corrado Alvaro che nel 1964 sottolineava “l’inaspettata originalità delle opere esposte, del tutto estranee al coevo e acceso dibattito del dopoguerra tra i fautori dell’impegno politico che sposavano la grammatica post-cubista e chi si rifaceva alle istanze formali dell’arte astratta, ma anche differenti dalla “terza via” interpretata dal lirismo esistenziale di Scialoia”.

Pirani scrive poi dell’“insopportabile senso di mancanza” che ha accompagnata per tutta la vita l’artista, la quale era attratta, fin dalla tenera età, dall’idea di “diventare pittrice“ anche perché le nauseava il destino marito-bambini“ dell’ambiente borghese in cui viveva, ma adombra anche che l’artista cercasse una sostanziale solitudine ricordando che di notte, spesso, con la complicità e l’assistenza del fratello e di pochi altri amici che l’accompagnavano… dipingeva all’aperto, nei pressi della stazione Termini, a piazza Fiume, a piazzale Flaminio, mai nel centro monumentale.

Altra caratterizzazione Pirani rinviene “nell’essenzializzazione della composizione e nell’assenza di ogni rimando aneddotico, la sua precipua cifra stilistica”. Ma l’originalità maselliana più spiccata credo che la si debba rinvenire nei reticolati: delle grandi facciate dei grattacieli, delle finestre-alveari, delle impalcature, “una griglia geometrica che, appiattendo l’immagine, forma uno spazio ostruente, sbarrato, una sorta di agarofobia che espunge l’orizzonte dalla visione”, scrive Pirani.

In effetti in quei dipinti si leggono griglie geometriche, come in N.Y. 7 a.m., 1975, Impalcatura 149 148 1952 195 Palazzo e fili elettrici 195 che appaiono come velari che nascondono oppure maschere dietro le quali l’artista vede e restituisce la realtà. Così come il suo dipingere all’aperto di notte appare un modo di mettere un filtro fra lei e il paesaggio urbano. Reticolo e buio sono media mentali di una lettura libera, intimista. estranea a contesti , movimenti e gruppi . A volte però produce slanci e le sue narrazioni esplodono di colore e di posture e allora fuggono fuori dai reticolati e dal buio, come in La Ville II 200 1971, Grande gatto 1978-1980 e Grande cielo, 1967.

Per arrivare alla conclusione di questo commento alla mostra, occorre tornare all’inizio del percorso dove si legge la Maselli, sempre molto corteggiata, che non disdegnò di posare per alcuni amici giovani artisti, vista in alcuni ritratti. A partire da quelli del marito Scialoia, che ne presentò più volte il volto acerbo con linguaggio ferocemente espressionista, denso di materia cromaticamente variegata, quasi irriverente nella sorta di smorfie. Gilles Aillaud, ci restituisce invece di Titina un’immagine gioiosa che la Tutino, nell’introduzione al capitolo, definisce: tanto personale da farci entrare in una dimensione diversa: molto più intima, autentica, quotidiana, disordinata e sensuale”.

Guccione la riprende invece convincentemente a figura intera di profilo, quasi in trasparenza, senza il volto, eterea. Figura intera anche quella di Vespignani, decisamente sontuosamente klimtiana. Un bel collage di immagini, alla fine del percorso, sfoglia un album di ricordi della Maselli nello svolgersi del tempo e dei luoghi frequentati: New York, Parigi, Roma ovviamente…immagini di una donna libera e appagata.

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