
Nel lontano 6 dicembre 1975 un allora ventiduenne Marco Sciaccaluga debuttò come regista al Teatro Duse di Genova con Equus di Peter Shaff, ottenendo un successo strepitoso che segnò la sua lunga carriera di regista portandolo ad essere un punto di riferimento del teatro genovese. L’allora Teatro Stabile di Genova, diretto da Ivo Chiesa, aveva visto lontano capendo da subito che il destino del giovane frequentatore della sua Scuola andava ben oltre il diventare un attore.
Affidare a Marco Sciaccaluga il testo di Shaffer (la cui prima assoluta londinese si tenne all’Old Vic – London National Theatre nel luglio 1973 con la regia di John Dexter con Peter Firth nel ruolo del ragazzo) rappresentava una vera sfida, ma come raccontò lo stesso Sciaccaluga, malgrado fosse convinto di aver fatto in tutta la sua lunga carriera spettacoli migliori di Equus, “non c’è niente da fare, sessantenni che erano allora ragazzini, mi parlano ancora di quello come di un momento molto emozionante”.
Sono passati ben cinquant’anni da quel fortunato debutto, purtroppo Marco Sciaccaluga ci ha lasciati esattamente quattro anni fa, e il figlio Carlo ha voluto nuovamente portare in luce Equus riprendendo e aggiornando la traduzione all’epoca elaborata dal padre. E così ieri, 25 marzo 2025 alle ore 20,30 sempre al Teatro Duse, c’è stata la prima nazionale del dramma psicologico che oltre a Sciaccaluga ha reso noto anche Shaffer. Il drammaturgo di Liverpool prese spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto “un crimine allucinante, che mancava di una spiegazione coerente” come scrissero i magistrati di allora, che era accaduto in una fattoria nelle campagne londinesi. A commetterlo era sto un ragazzo “squilibrato”. Del resto come non giudicare squilibrato Alan Strang, un diciassettenne che accecò sei cavalli senza una logica ragione? Il compito di comprenderne il motivo spetta allo psichiatra Martin Dysart, uomo disilluso e imprigionato in un’esistenza monotona. Ma più lo psichiatra scava nella mente del ragazzo, più emerge un universo di passioni fisiche e mistiche, che lo mette di fronte alla propria crisi esistenziale e lo porta a interrogarsi sull’ eterna lotta tra istinto e ragione, controllo e libertà. Lo psichiatra e il giovane paziente si servono a vicenda innescando un confronto che suscita l’uno nell’altro un percorso di conoscenza che porta alle verità più crude.

Ma Alen è davvero squilibrato o è semplicemente un giovane oppresso dal peso del conformismo? Tra i genitori perbenisti e la tv, il nuovo grande oppiaceo dell’individuo che in quegli anni stava sostituendo la religione, rimane stordito, oppresso, legato. L’unica evasione è andare alle scuderie dove nei cavalli trova il conforto che cerca, ma soprattutto quel senso di libertà di cui ha bisogno. “Ma il desiderio scalpita, freme, a volte non vuole farsi mettere le briglie. E se è oppresso rischia di esplodere e distruggere invece che di nutrire e vivificare” come dice Carlo Sciaccaluga che in questo suo lavoro non ha solo tirato fuori dall’archivio scenografico del Teatro Stabile le grosse maschere di teste equine in fil di ferro adoparate dal padre, ma è riuscito egregiamente ad attuare quell’esplorazione viscerale della lotta tra il desiderio e il controllo, tra l’istinto e la ragione, dirigendo con intelligenza l’ottimo cast di attori: Luca Lazzareschi (MARTIN DYSART, psicanalista); Paolo Cresta (FRANK STRANG, suo padre); Pia Lanciotti (DORA STRANG, sua madre);Camilla Semino Favro (ESTER SALOMON, magistrato); Giulia Prevedello (JILL MASON/ UN’INFERMIERA); Michele De Paola (HARRY DALTON/UN GIOVANE CAVALIERE), in cui eccelle senz’altro il giovane Pietro Giannini (ALAN STRANG) calato nel ruolo dall’inizio alla fine, senza alcuna sbavatura: scanzonato e poco collaborativo all’inizio, via via sente il bisogno di liberarsi da quanto l’opprime e, prima sotto ipnosi e poi conscio di sottomettersi al siero della libertà, farà uscire il perchè dell’accaduto attraverso un lavoro di flash back che riporterà alla luce un trascorso di dolore che inevitabilmente non poteva che condurre ad altro dolore. Il suo corpo pulsa sotto il ritmo incalzante della colonna sonora(di Andrea Nicolini) che a volte evoca il galoppo, a volte il battito cardiaco sempre più celere rispecchiando l’esplosione emotiva dentro di lui, ma dentro il dramma tutto.
Perfette le scene firmate Anna Varaldo , semplici, incisive e nello stesso tempo visionarie, sotto le luci altrettanto impeccabili di Aldo Mantovani. Un plauso anche ai movimenti di scena di Claudia Monti che, quando occorre, fa muovere gli attori come veri danzatori. Senza dubbio possiamo affermare che questa nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova è destinata ad avere il successo della precedente. Certo non fa più scandalo vedere due corpi nudi sul palco, ma resta invece sempre attuale il grido di ribellione, quella voglia di essere animali che è dentro di noi e che ogni tanto è meglio non reprimere per non generare il peggio.

