A cavallo tra la settimana dell’arte e quella del design, che stanno trasformando Milano in un laboratorio di sperimentazione e di bellezza, la Galleria Cesati espone una selezione di sculture e di arredi dei due maestri del ‘900, alla scoperta di una loro affinità elettiva
Le relazioni tra arti visive e design d’arredo costituisco un campo d’interesse assai “frequentato” sia dalla critica che dai creativi, specie della nuova generazione. In questo campo assai fertile, dinamico e multiforme, dove i confini tra le due sfere appaiono fluidi e sfrangiati, e comunque ricchi di stimoli figurativi, specie quando si ricercano connessioni culturali inedite tra ambiti apparentemente (e tradizionalmente) diversi fra loro.
Proprio in quest’ultimo orizzonte si muove “La materia diventa linguaggio”, il progetto espositivo della Galleria Cesati di Milano che, in collaborazione con la galleria Volumnia di Piacenza, propone, in chiave retrospettiva, un dialogo tra alcune sculture di Umberto Mastroianni, eminente e poliedrico artista, e Gianfranco Frattini, brillante designer che, pionieristicamente, ha fatto del progetto d’arredo un campo d’azione del tutto autonomo rispetto all’architettura.
Pur riconoscendo che i due personaggi hanno operato in contesti un tempo considerati del tutto differenti, oggi, grazie una sensibilità culturale più attenta alla pratica della contaminazione, possiamo rintracciare delle corrispondenze, fondate principalmente su un “fare” multiforme e caleidoscopico, riconducibile per entrambi a veri e propri percorsi di ricerca intorno alle risorse dei materiali.

Le strade dei due autori, pressoché coevi, si incrociano per la prima volta proprio nel 2025 grazie a un’iniziativa sofisticata e di alto valore concettuale, visitabile per molte settimane a partire dal 4 aprile. E non a caso, ciò avviene per merito della galleria Alessandro Cesati, attiva da diversi decenni nel mondo dell’arte antica: oltre ad avere sempre attribuito fondamentale importanza allo studio dei materiali come terreno d’indagine favorito per la selezione delle opere, si è contraddistinta soprattutto per una pervicace e marcata predilezione per i metalli quali il ferro, il bronzo, il rame e l’ottone, unitamente a un’intensa e appassionata attività di esplorazione dell’universo della scultura europea, senza limiti geografici o temporali.
Nato nel Frusinate nel 1910, Umberto Mastroianni esordisce in campo classico-figurativo negli anni ’30, in concomitanza con il suo trasferimento a Torino. È solo negli anni ‘50, dopo una fase storica poco incline all’innovazione artistica, che può metabolizzare e tradurre in opera gli stimoli provenienti dal Futurismo (ma anche da altre figure dell’avanguardia europea, come Delaunay, Picasso e perfino Kandinsky e Moholy-Nagy), assorbiti silenziosamente durante il Ventennio e poi sviluppati in modo costante lungo tutta la sua carriera.
Proprio questo imprinting lo porta a indagare, in modo libero e dinamico, sul DNA dei materiali e sulle loro risorse espressive. Nel suo lavoro, l’alveo scultoreo trova una sostanziale continuità con quello pittorico e con le sue tante e geniali sperimentazioni artistiche. Mastroianni si avventura, ad esempio, nella lavorazione di lastre metalliche (argento, bronzo, rame, acciaio) che, grazie a coraggiose applicazioni di colore a pennello, arricchiscono il proprio carattere e raggiungono una forte complessità “costruttiva”.

In questa prospettiva rientra anche il lavoro di Gianfranco Frattini, nato a Padova nel 1926, fra i protagonisti di quel professionismo colto e sensibile che connota la scena milanese del dopoguerra. Proprio nel capoluogo lombardo, nel quale si trasferisce per studiare Architettura al Politecnico, egli ha l’occasione di confrontarsi con le aziende d’arredo del nascente Made in Italy, avviando con esse delle feconde collaborazioni; ma anche con una committenza borghese attenta alle trasformazioni del gusto ma anche alla qualità intrinseca dei prodotti.
Frattini avvia la professione in un momento in cui l’industria del mobile è ancora permeata di artigianalità. Per questo, come accadeva negli stessi anni per Mastroianni, lo studio della materia non può che rappresentare il nucleo delle sue creazioni, che parte dai legni preziosi tipici degli anni ’50 fino all’acciaio cromato tornato in voga nei due decenni seguenti sotto le influenze stilistiche della Space Age.

Difatti la bellezza sensuale dei legni di noce e di jacaranda è protagonista delle linee di mobili disegnate per Bernini nel 1961 – oggi considerate modelli di punta nei circuiti del modernariato, di cui la Galleria Cesati espone alcuni esemplari proprio in questa occasione (tavolo da caffè mod. 514, sideboard 503 e una cassettiera) – che segnano la transizione dalla dimensione artigianale alle logiche dell’arredo industrializzato.
Tra materia e forma il rapporto appare più dinamico che mai. Ritmi, nervature (naturali o create) e sagome rivelano la genialità versatile dei rispettivi autori. L’omogeneità tra le due figure che, in controluce, viene qui tratteggiata, non deriva tanto da una somiglianza formale, ma da una compatibilità sottile, raffinata, frutto di una precisa koinè e di un medesimo comportamento verso la materia dell’invenzione. Entrambi hanno espresso – e lo fanno tuttora, nel XXI secolo, nonostante non abbiano fatto in tempo ad affacciarvisi in pieno – una sorta di Modernismo temperato, frutto di tempi in rapida trasformazione, ma anche lontano da un radicalismo di maniera.
