
Mercoledì 9 aprile sul palcoscenico del Teatro Carlo felice di Genova abbiamo avuto il piacere di vedere ed ascoltare per la prima volta in Italia nella sua versione originale Die Liebe der Danae (L’amore di Danae), l’ultimo grande lavoro realizzato da Richard Strauss. Una composizione per la quale il compositore tedesco aveva volto l’occhio al mondo dell’antica Grecia.
Die Liebe der Danae fu compiuta nel giugno del 1940 e la sua prima rappresentazione avrebbe dovuto svolgersi al Festival di Salisburgo nell’agosto del 1944, ma solo poche settimane prima, a causa del tentato omicidio di Hitler, Goebbels fece chiudere tutti i teatri. Venne concessa solo una prova generale a porte chiuse, con la direzione di Clemens Krauss, alla presenza di un numero ridotto di ospiti tra cui il compositore. Purtroppo Strauss, che quel giorno augurò a sé, ai musicisti e agli interpreti “Arrivederci in un mondo migliore!”, morì nel 1949 non avendo avuto così la gioia di assistere alla presentazione al pubblico del suo lavoro che avvenne tre anni più tardi, il 14 agosto 1952.
La storia è una storia d’amore tra Danae, figlia di Re Polluce, che si innamora di Midas credendolo però un altra persona. In questo amore si inserisce la figura di Jupiter che non è affatto il solito capo degli dei responsabile dell’ordine, della giustizia e del cielo e considerato il dio più potente , ma un dio insolitamente sfaccettato sul piano psicologico, prepotente ed irascibile, certo, ma anche sinceramente innamorato di Danae. Ed è proprio questa figura a rendere lo svolgimento drammaturgico singolare. Infatti l’opera poteva benissimo concludersi coi primi due atti. Invece il terzo si rivela uno spazio drammaturgico e musicale inaspettato, un luogo di riflessione fondamentale nell’economia del tutto. Paradossalmente i temi trattati quando riguardano amore e povertà sono più tipici di una parabola di ispirazione cristiana che di un racconto mitologico.

Ed ecco che nella scrittura di Strauss non riecheggiano riferimenti alle avanguardie novecentesche bensì si fa avanti quell’estetica che ci riporta a quella cultura tedesca tardo ottocentesca che sembrava ormai perduta. Ricchi gli impasti sonori e quelle cifre musicali che ricordano il Ring wagneriano, insomma un grande impegno che richiede un notevole sforzo orchestrale come ha affermato il direttore dello spettacolo Michael Zlabinger: “Strauss amava paragonarsi a Tintoretto -afferma il direttore – ed è incredibile la ricchezza di colori a volte luminosi e a volte cupi, ma sempre sorprendenti”.
L’allestimento presentato al Carlo Felice con la regia di Laurence Dale predilige una visione satirica degli dei dell’Olimpo, contapposta alla trgedia della guerra che appare sin prima che partano le note dell’opera con una grande proiezione che mostra la data del 1944 e tutti i bombardamenti in atto in quel periodo. In scena anche due figure che rappresentano il compositore con la moglie che si aggirano mesti tra le rovine( i mimi Erika Melli e Roberto Pierantoni). La scenografia ad opera di Gary McCann contappone anch’essa il lusso del palazzo del re alle rovine della guerra (un pianoforte a coda rovesciato sul lato sinistro del proscenio). All’interno di questo mondo irreale si aggirano quattro danzatori seminudi, tinti in oro, che si muovono con fare sinuoso intorno a tutti i personaggi dell’opera. Un’idea che sarebbe anche stata buona se non fosse durata troppo. Vale a dire che il loro essere continuamente in scena è distraente ai fini della storia e soprattutto del canto. Meglio sicuramente l’introduzione della danza che riguarda i vari valzer presenti nell’opera che ci mostra l’alta qualità dei ballerini del Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance”, già apprezzati nell’opera Andrea Chenier presentata a febbraio.

Per quanto riguarda i cantanti, un cast di tutto rilievo composto da Scott Hendricks (Jupiter), Timothy Oliver (Merkur), Tuomas Katajala (Pollux), Angela Meade (Danae), Valentina Farcas (Xanthe), John Matthew Myers (Midas), Albert Memeti (Erste König), Eamonn Mulhall (Zweite König), Nicolas Legoux (Dritte König), John Paul Huckle (Vierte König), Anna Graf (Semele), Agnieszka Adamczak (Europa), Hagar Sharvit (Alkmene), Valentina Stadler (Leda), Domenico Apollonio, Bernardo Pellegrini, Davide Canepa, Luca Romano, Andrea Scannerini (Vier Wächter) e Valeria Saladino (Eine Stimme)che il giovane direttore Michael Zlabinger ha saputo gestire con competenza. Zlabinger ha sostituito sul podio Fabio Luisi, assente per motivi familiari, e la sua prova è stata eccellente a parte qualche incertezza iniziale nell’equilibrio musica e coro nel primo atto.
Il soprano americano Angela Meade, riconosciuta come una delle cantanti eccezionali di oggi, eccellendo sia nei ruoli più esigenti del Belacanto, nonché nelle opere di Mozart, ha interpretato Danae con la giusta intensità. La sua è una bella voce, dalla grande estensione, facile al canto di agilità, capace di giocare con la dinamica anche in zona acuta. Anche John Matthew Myers, si è rapidamente affermato come una delle giovani voci eccezionali di oggi, e nel ruolo di Midas è stato tanto generoso che coinvolgente. Il baritono texano Scott Hendricks, considerato uno specialista di parecchi ruoli dei grandi autori d’opera italiani: da Iago (Otello), a Scarpia (Tosca), fino a Macbeth e Rodrigo (Don Carlo), qui, nei panni di Jupiter, non è stato sempre inappuntabile, ma la sua abile presenza scenica ci ha fatto dimenticare qualche lacuna canora.
Spettacolo indubbiamente da non perdere che ha le sue ultime repliche domenica 13 aprile (ore 15 ) e mercoledì 16 (ore 20).