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Lo “Slalom” di Francesca Pasini, in più di tre decenni d’arte contemporanea

Fare ordine per creare scompiglio: l’immaginazione emotiva di Francesca Pasini riscrive l’arte contemporanea come soggetto di vita, ricordo personale e testimonianza universale.

“L’arte non ha la facoltà di salvare il mondo, ma di contribuire alla sua consapevolezza”. Lo scrive Francesca Pasini, critica e curatrice nel suo nuovo libro “Slalom. Arte Contemporanea: Scritti e Letture 1990-2024” (MIMESIS/ETROPIE), una raccolta di scritti sull’arte, articoli, testi pubblicati in cataloghi, riflessioni culturali-artistiche scaturite dalle letture di articoli di giornali, libri, in cui l’autrice ci parla di ciò che ha visto, mettendo a fuoco un’idea, un pensiero basato su un impianto simbolico-filosofico su cosa sappiamo e non sappiamo o riconosciamo nell’opera d’arte che guardiamo, intrecciando fatti e misfatti di cronaca che poi nel tempo diventano storia.

Lo slalom “metatestuale” Pasini l’ha imparato leggendo articoli scientifici, dai libri di Carlo Rovelli, Giorgio Parisi, dai filosofi e storici come Telmo Pievani, Mario Agostinelli e il raffinato politologo Giorgio Galli, l’uomo più importante della sua vita. A Milano Pasini ha animato la Libreria delle Donne, con mostre e cene-simposio frequentate da amici, artisti, intellettuali e curiosi di ogni età, perché lei guarda, ascolta e ri-pensa la vitalità dell’arte.

La sua immaginazione emotiva la porta ad uno slalom narrativo in questo libro “dedalico” che si snoda tra introduzioni/capitoli e recensioni di mostre scritte per diverse testate e quotidiani di artisti conosciuti e frequentati. Slalom è una biografia più che un’antologia del suo modo di pensare, percepire l’opera d’arte come soggetto e non come oggetto; e tutte quelle che Pasini ha visto rimandano inevitabilmente a qualcos’altro, al suo vissuto, incontri e associazioni nell’orbita dell’arte e della terra.

Il libro comprende scritti e sue letture dal 1990 al 2024, incomincia dall’anno del suo primo libro Tra me e te (su Ettore Spalletti), quando l’autrice intraprende l’attività di curatrice indipendente, e incontra il marito Giorgio Galli, morto improvvisamente il 27 dicembre 2020, nel periodo alienante segnato dal Covid, e dall’isolamento forzato a Camogli in Liguria, dove forse per esorcizzare il dolore incolmabile ed elaborare il lutto, l’autrice ricostruisce una biografia sui generis, con date, ricordi, segnalando titoli, anni, luoghi che generano altre narrazioni, seguendo un accorto montaggio di avvenimenti personali e collettivi, in cui la conoscenza dell’arte è anche emotiva.

Nel capitolo intitolato “Basta la mia voce” scrive la Pasini: <<ho deciso di fare slalom tra testi che ho scritto e quelli che mi suggeriscono gli eventi mentre scrivo, andando spesso “fuori pista”. Non per aggiornarli, ma per trattarli come una persona a cui raccontare cosa penso>>. E leggendo il suo libro di oltre quattrocento pagine, in cui arte, ambiente sociale e contesto culturale coincidono, con scritti che non seguono un percorso temporale bensì tematico, il lettore traccerà il proprio slalom personale sul crinale della storia collettiva, recuperando un vasto ed organico quadro sociale, grazie a un impianto strutturale ben definito.

E proprio come accade guardando un’opera, un film, una fotografia, leggendo un libro o ascoltando qualcosa e qualcuno, capiamo che tutto è soggetto dell’esserci qui e ora per reinventare il domani, oltrepassando l’io presente nell’arte.

Leggendo Slalom diventerete complice dell’autrice, la seguirete nell’esplorazione del suo io dilatato nell’arte, parola dopo parola, dove si cela un commento su qualcos’altro. Lei scrive come se navigasse tra correnti avverse, scompiglia e ricompone racconti sul filo dell’immaginazione narrativa, fluttuando dentro il modo di guardare l’arte, e si rigenera nel dialogare con gli artisti di cui ha curato mostre o scritto recensioni; ed è come se ci parlasse dal vivo. Pasini s’inventa associazioni nelle diverse opere viste nel corso del tempo, tutti soggetti che percepiamo come tali che sono in sintonia con il loro divenire e sempre contemporanei.

Nel capitolo 11, intitolato “Il Libro che devo finire”, Francesca ci racconta della morte del marito, memorie personali, come suggerisce lei: <<per non separare la coscienza dell’arte da quella emotiva personale, che pure sembra normale esprimere, ma non è così>>. Il suo obiettivo è l’incontro e l’ascolto con l’opera d’arte, riflessioni che innesta abilmente con scritti di altri autori, connesse al suo momento di guardare qualcosa che poi, leggendola diventa anche nostro.

Quindi leggiamo e guardiamo attraverso il suo sguardo, colto ma non saccente, l’arte contemporanea di “una curatrice senza qualità” (pag 252.253), come si definisce l’autrice, nel senso che vorrebbe imparare una diversa qualità di interazione con uomini e donne in molteplici ambiti del sapere, incluso quello della scienza.

Francesca Pasini

Pasini è pindarica nel ripresentare artisti di cui ha scritto e qua e là fa emergere dubbi sul sistema culturale e il mondo complesso, ma evocativo, senza cedere a compiacimenti autoreferenziali annodando in maniera fluida critica emotiva ai fatti della sua e nostra vita quotidiana.

L’arte è soggetto col quale dialogare, anche se ci fa inorridire, e Pasini per riallenarci alla spontaneità, al dialogo con l’opera, come ha fatto con Arianna Giorgi a Milano (2024), preferisce organizzare mostre dentro gli studi per destabilizzare il sistema dell’arte, ingabbiato in white cube o gallerie tradizionali.

La sua un’azione culturale del e sul ri-guardare l’arte contemporanea per attivare conversazioni senza limiti, frontiere e ideologie. E tra artisti, mostre, artefatti, manufatti, tecniche e diverse poetiche e linguaggi, l’opera d’arte è il soggetto di una interazione tra fruitore, luogo e intenzione di uno scambio simbolico tra vita e immaginazione sul filo della ragione tra un gesto, segno, traccia, materia e azione del guardare per incontrarci metaforicamente nell’arte, come prassi umana.

Pasini ha commentato: <<Io voglio raccontare l’arte che ho visto e voglio parlarne a voce alta, ma scriverne, perché mi piace che gli altri e altre leggano, e magari gli venga voglia di parlarne con me. E poi perché penso che in ‘epoca di social e info continue dobbiamo rinnovare il modo di raccontare l’arte, per essere attraenti anche per chi non è un addetto ai lavori. La scienza si è inventata un modo di divulgazione letteraria per cui anch’io mi ritrovo, o mi invento associazioni con la mia quotidianità a cui non avevo pensato>>.

Affascinata dalla scienza, cita sovente Carlo Rovelli, che pensa “il mondo come una sovrapposizione di tele, di strati, di cui il campo gravitazionale è solo uno fra gli altri”. (L’ordine del tempo, Adelphi, 2016, p.69) e Pasini scrivendo attraversa letteratura, filosofia e scienza, “dipinge” con le parole la nostra vita con quella degli altri. È contemporanea nel ripercorrersi con argute riflessioni empatiche, e ci guida a cercare l’arte anche dove normalmente non si pensa di trovarla, tra un pensiero e una suggestione in bilico tra arte e vita, oltre il contrasto tra natura, scienza e cultura.

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