
Trieste e la sua storia, la società, i costumi, i cambiamenti e battaglie dell’emancipazione della fotografia femminile sono stati immortalati attraverso più di ottomila negativi dallo studio fotografico Wulz di Trieste (1868-1981), considerato tra i più importanti corpus archivistici conservati oggi negli Archivi Alinari, diventati patrimonio pubblico grazie all’acquisizione della Regione Toscana che li ha affidati alla Fondazione Alinari Fotografia
E a proposito di questo, stiamo parlando della raffinata e imperdibile mostra “Fotografia Wulz, Trieste, la famiglia, l’atelier” in corso al Magazzino delle Idee a Trieste, curata da Antonio Giusa e Federica Muzzarelli, organizzata dall’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale Friuli-Venezia Giulia, in collaborazione con la Fondazione Alinari di Firenze, inserita nel palinsesto di «GO!2025&Friends», il cartellone di eventi collegato al programma ufficiale di «GO!2025 Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura» (fino al 27 aprile 2025).
La magnifica mostra narra l’epopea della fotografia attraverso trecento fotografie di tre generazioni dello studio Wulz, che raccontano Trieste dagli Asburgo al boom economico, in rigoroso bianco e nero, permettendo allo spettatore di viaggiare nei secoli di una città mitteleuropea, affiancate da documenti e oggetti unici e preziosi.
Oltre cent’anni di una Trieste al centro della scena internazionale sono scanditi in un unico spazio da immagini che documentano lo sviluppo economico, demografico e sociale di una città in fase di espansione culturale, dove Giuseppe Wulz (1843-1918), nel 1860, apre lo studio fotografico per passione e con spirito imprenditoriale, in anni in cui la fotografia in Italia era ancora agli albori. Giuseppe impara il mestiere nello studio fotografico del tedesco Friedrich Wilhelm Engel, in un’epoca in cui bisogna stare fermi in posa a lungo negli autoritratti, quando si comincia a sperimentare carbone, albumina, collodio, carta, e tutti vogliono presentarsi al meglio in una società carica di opportunità.
Engel, dopo l’incendio dello studio fotografico nel 1868, emigra in Austria. Giuseppe Wulz continua l’attività con il socio Luigi Boccalini, da cui si separa dopo pochi anni per intraprendere un percorso professionale autonomo. Da piazza delle Borsa, lo studio si sposta in via San Nicolò, dove passano pittori, musicisti, artigiani, commercianti, imprenditori, venditrici di pane, carsolini con abiti tradizionali: insomma, la gente comune, perché la fotografia è per tutti! La sua produzione si incentra sul ritratto, secondo i canoni fotografici dell’epoca, e si estende a paesaggi, monumenti e scene di vita dal vero.

Carlo Wulz (1874-1928), figlio di Giuseppe, è un autentico dandy di ideali anarchici che eredita lo studio paterno, inaugurato in Corso Italia 19 nel centro di Trieste, negli anni in cui la fotografia evolve. Non dimentichiamo che nel 1888 arriva la Kodak, la prima fotocamera prodotta negli Stati Uniti destinata ai non professionisti, che aprì la strada alla divulgazione della fotografia.
Trieste, nel suo asburgico splendore, cresce: il porto diventa il polo nevralgico di una città che esporta imprese e cultura, diventa moderna con piazze, strade, negozi, assicuratori, armatori, musicisti, intellettuali, la Società di Ginnastica, l’Ippica, l’Università e il Castello di Miramare, lasciato da Massimiliano d’Asburgo quando viene nominato imperatore del Messico e poi ucciso.
Nelle foto in mostra c’è anche il popolo di artigiani, gli industriali e le fabbriche, destinate a crescere velocemente dai primi del Novecento. Nel 1912, l’atelier Wulz subisce un altro incendio, ma non chiude: Giuseppe si ritira dall’attività, e Carlo, abile disegnatore e amico di intellettuali e artisti che ritrae con partecipata intensità, rileva l’attività paterna e triplica opportunità, prestigio e affari.
Nel 1918 si inaugura una mostra temporanea di fotografie di Trieste com’era prima della guerra, comprensiva di quasi trecento immagini scattate da Giuseppe Wulz: è un primo passo verso l’affermazione ufficiale dell’impresa familiare.
Con la Prima Guerra Mondiale, le donne mandano i loro ritratti agli uomini al fronte, e tutto cambia. Poi Trieste diventa italiana, e Carlo Wulz (1874-1928) percorre la città negli anni difficili per registrare i cambiamenti, diventando fotoreporter dal 1914 al 1918. Successivamente pubblica le sue fotografie su giornali e riviste dedicate al nudo femminile; è l’inventore del ritratto a domicilio, e grazie alla sua abilità, il fotografo sarà premiato a Monza nel 1925 alla Seconda Mostra Biennale Internazionale delle Arti Decorative e poi alla terza rassegna del 1927.
Carlo Wulz è insuperabile nei ritratti, soprattutto quelli realizzati con luce elettrica incandescente, come si vede, tra gli altri, nel ritratto del pittore Tullio Silvestri (1926), colto in un atteggiamento pensoso in un’atmosfera soffusa dalle sfumature pittoriche.
Nel 1928, Carlo Wulz espone alla New York Exhibition Camera Club e a Chicago alla Special Exhibition Camera Club. Muore il 14 marzo dello stesso anno, a poco più di 50 anni. A ereditare l’attività paterna sono le due figlie Wanda (1903-1984) e Marion (1908-1993), belle e determinate, cresciute tra camera oscura e macchine fotografiche, modelle in molte immagini scattate dall’amatissimo padre, dotato di notevole capacità di introspezione psicologica nel ritrarre le figlie in occasioni familiari e ufficiali fin da piccole.
In mostra, a loro è dedicata la sezione «Fotografe e sorelle», con immagini straordinarie per qualità tecnica, molte delle quali ottenute su lastre originali provenienti dall’archivio della Fondazione Alinari, e innovative nei contenuti e soggetti, in primis il ruolo delle donne nel Novecento.
Wanda e Marion trasformano l’atelier in un laboratorio creativo con la collaborazione dell’amica Anita Pittoni (1901-1982), scrittrice, editrice, designer e pittrice dotata di grande personalità, che travolge le due sorelle in una dimensione artistica attraverso una serie di performances fotografiche.
Di questo periodo spicca la fotografia di Wanda con il gilet in chiave futurista, un’anticipazione di quello di Giacomo Balla. Pittoni, nel 1929, presenta la sua prima mostra personale a Roma presso la galleria di Anton Giulio Bragaglia, autore del Manifesto della Fotografia Futurista del 1930. Fu proprio la pittrice triestina a presentare le sorelle Wulz ai protagonisti del Futurismo, e l’atelier diventa un circolo culturale dove si organizzano balli, recite, spettacoli e si scattano fotografie di donne in costume, che attraverso la sperimentazione fotografica intendono riscattarsi dal ruolo tradizionale di mogli e madri per diventare protagoniste della loro vita.
Tra le molte immagini degli anni Venti, straordinarie per composizione, luci e taglio grafico, spiccano quelle dedicate alla danza, che immortalano corpi femminili in movimento come essenza della libertà. Tra le altre, «maschiette», non si dimenticano quelle dedicate alla danzatrice e coreografa Jia Ruskaja e ad altre donne alto-borghesi anticonformiste, atletiche e ammalianti. Le donne ritratte dalle sorelle Wulz fumano, ballano, praticano sport, vestono maschile: non sono angeli del focolare, bensì amazzoni della libertà, consapevoli del loro destino.

Le Wulz, con il loro lavoro, sono diventate protagoniste dell’avanguardia artistica del Novecento, veicolando l’emancipazione femminile con fotografie per l’epoca fascista trasgressive. Le sorelle Wulz proseguono la tradizione del ritratto familiare; Marion documenta i giorni della Liberazione di Trieste, e insieme sono l’esempio di donne attive, emancipate e imprenditrici: in una parola, moderne!
Wanda Wulz è la prima e unica donna fotografa del Futurismo italiano, in mostra a Trieste nel 1932, che irritò e affascinò Filippo Tommaso Marinetti con l’iconica Io+Gatto, di cui sono esposte le lastre negative originali. Questa indimenticabile fotografia è il risultato di due lastre sovrapposte tenute insieme da nastro e altre cinque immagini che ricostruiscono la sua esperienza futurista in relazione ad altre sperimentazioni artistiche.
La mostra è sostenuta da Calliope Arts Foundation, ente impegnato nella salvaguardia e promozione del patrimonio culturale delle donne. Il catalogo bilingue, edito da Silvana Editoriale, approfondisce l’epopea di una vicenda familiare che s’innesta con la storia dell’emancipazione femminile, in cui la fotografia veicola un progetto di riscatto personale e collettivo, aprendo letture più approfondite sulla produzione fotografica delle indimenticabili sorelle Wulz.
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