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L’isola incantata di Leonor Fini

Da sinistra, Hugues Ronald, Constantin Jelenski, Leonor Fini, Enrico Colombotto Rosso, Stanislao Lepri e Anik Siné Da sinistra, Hugues Ronald, Constantin Jelenski, Leonor Fini, Enrico Colombotto Rosso, Stanislao Lepri e Anik Siné
Da sinistra, Hugues Ronald, Constantin Jelenski, Leonor Fini, Enrico Colombotto Rosso, Stanislao Lepri e Anik Siné
Da sinistra, Hugues Ronald, Constantin Jelenski, Leonor Fini, Enrico Colombotto Rosso, Stanislao Lepri e Anik Siné
Da Max Ernst a Dorothea Tanning, Fabrizio Clerici, David Hamilton. Storia delle “ferie” estive chez Leonor Fini nelle fotografie di Enrico Colombotto Rosso

Nei mesi estivi, tra il 1956 e il 1980, a Nonza, sulla costa nord-orientale della Corsica, tra cielo, mare e rocce, usavano darsi convegno artisti dall’estro bizzarro, dotati di un accentuato gusto per il camouflage, animando delle loro fantastiche presenze le mura dell’antico convento francescano, abbandonato da secoli. I raduni dovevano durare da giugno fino, almeno, al 30 agosto, momento che rappresentava l’apice della vacanza poiché si festeggiava con fuochi e banchetti il compleanno di Leonor Fini, la padrona di casa, pittrice e scrittrice, novella Circe, nonché metamorfica icona, sospesa fra mito e realtà. Ci si cibava di pesce, ortaggi e frutti, procacciati da Devota e Supplizia Marcucci, le anziane proprietarie del monastero, felici di contribuire alle fêtes secrèts qui imbandite dalla “diavolessa”.

 

Il monastero di Nonza, in Corsica
Il monastero di Nonza, in Corsica

Ma non solo di momenti di svago e leggerezza si trattava, bensì di grand parade surrealiste durante le quali l’artista – che peraltro surrealista a pieno titolo mai volle considerarsi – amava giocare con gli ospiti e con sé stessa, facendosi ritrarre – un po’ fata un po’ maga – paludata in abiti da gran sera, come eccentrica regina, oppure, più semplicemente, avvolta di veli candidi, come casta dea; incrostata di foglie, licheni e ombre, come divinità ctonia, oppure immersa nelle acque del primordio, come sirena, o ancora ammantata e ingioiellata, come Madonna profana. Nulla, comunque, al confronto del travestimento di piume da Angelo Nero che aveva ostentato con grande scalpore al celebre Ballo Beistegui, organizzato a Venezia nel 1951.

 

Leonor Fini (foto di Enrico Colombotto Rosso)
Leonor Fini (foto di Enrico Colombotto Rosso)
Tableux vivant

A Le Couvent regnavano humour e amenità, provocazioni e lepidezze, niente di diverso da quello cui Leonor aveva abituato i suoi amanti e seguaci nelle varie fasi della sua escalation artistica, soprattutto da quando lei – nata in Argentina, ma vissuta in Italia a Trieste, la città della famiglia materna, e a Milano, dove fu allieva di Achille Funi – si era poi stabilita a Parigi nel 1931, entrando nel vivo del milieu internazionale: dell’arte, da André Breton a Salvador Dalì; della letteratura, da Andrè Pieyre de Mandiargues a Jean Genet; del mercato dell’arte, da Leo Castelli a Julien Levy; della moda, da Elsa Schiaparelli a Christian Dior (allora anche gallerista).

 

Max Ernst, Dorothea Tanning ed Enrico Colombotto Rosso seduto a terra (foto di Leonor Fini)
Max Ernst, Dorothea Tanning ed Enrico Colombotto Rosso seduto a terra (foto di Leonor Fini)

I pittori Max Ernst e Dorothea Tanning, Fabrizio Clerici, Stanislao Lepri, Enrico Colombotto Rosso, il disegnatore Bob Sinè, gli scrittori Konstanty Jelensky (amatissimo e detto familiarmente Kot) e Hector Bianciotti, i fotografi David Hamilton, Eddie Brofferio e Hugues Ronald furono fra gli assidui frequentatori di Nonza. Ne sono testimonianza le decine di fotografie in bianco e nero che li ritraggono in pose più o meno spontanee, immersi nella natura o fra i ruderi, oppure raccolti intorno e dentro le mura francescane in pose teatrali e ambigue, come tableux vivant sapientemente costruiti. Ma al monastero non si dimentichi che fecero sosta anche Brigitte Bardot e Gunter Sachs, Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, l’editore Filipacchi – gran collezionista di Lepri –, Maurice Rheims – commissaire-priseur e storico dell’arte –, anche solo per qualche ora.

 

Enrico Colombotto Rosso con Leonor Fini, Parigi, 1958 (foto di André Ostier)
Enrico Colombotto Rosso con Leonor Fini, Parigi, 1958 (foto di André Ostier)
Volitiva mentore

Oggi nella mostra “Io sono Leonor Fini”, allestita a Milano a Palazzo Reale (fino al 22 giugno), appaiono numerose fotografie in bianco e nero a documentare quegli anni fulgenti, suffragando l’eccellenza – e la stravaganza – delle consuetudini di vita di Leonor, ma anche ad aggiungere informazioni intriganti sulle ragioni del suo pennello, così intriso di incanti e stregonerie. Alcune di esse, in particolare, furono realizzate dal giovane pittore torinese Enrico Colombotto Rosso – non è riportato il suo nome in mostra, ma il fatto che ne sia stato lui l’autore è certo, poiché esistono libri, mostre e l’archivio custodito oggi dalla Fondazione Enrico Colombotto Rosso, presso la Casa-Museo di Camino Monferrato, dove il pittore visse e morì, a documentarne la paternità – durante i convegni en plen air, come alle feste fiabesche organizzate nelle scabre sale, a lume di candela – l’elettricità a Nonza non c’era –, in compagnia della sua volitiva mentore.

 

Enrico Colombotto Rosso (foto di Hugues Ronald)
Enrico Colombotto Rosso (foto di Hugues Ronald)

La nostra trasgressione era alzarsi alla cinque del mattino, per rubare tutta la luce al Sole fin dalle prime ore dell’Aurora, per trascorrere le giornate nuotando liberi in quel mare tutto nostro tra roccia e sabbia nera…”, confessava Colombotto Rosso a Rosaria Fabrizio, autrice del volume “Una vacanza con Leonor Fini” (Edizioni Antonio Attini, 2009), ma ben altre erano le loro piccole e grandi follie. Il loro primo incontro era avvenuto nel 1948 a Parigi, in rue de Payenne, presso lo studio-abitazione di Leonor, dove li accomunò subito l’inclinazione per l’inconnu e l’amore per i gatti. La pittrice amava portarsene alcuni, fra i tanti che possedeva, anche in Corsica, stivandoli tra i bagagli nel lungo viaggio che da Parigi la conduceva a Marsiglia e poi da lì per mare all’isola incantata, fino al monastero, a dorso di mulo.

 

Enrico Colombotto Rosso e Stanislao Lepri (foto di Leonor Fini)
Enrico Colombotto Rosso e Stanislao Lepri (foto di Leonor Fini)
Sensualità e cerebralismo

Non a caso, adorni di maschere feline appaiono in mostra lei e un paio di suoi ospiti in una foto scattata a Nonza da Colombotto Rosso, affascinato tanto quanto la ribelle e metamorfica Leonor dalle qualità di questi animali dai poteri straordinari. E la sfinge, per metà felina e per metà umana, divenne anche uno dei soggetti ricorrenti nelle tele di Leonor. L’aveva già scoperta da bambina, come testimoniano foto che la mostrano a cavalcioni di una sfinge di pietra a Trieste, e poi riscoperta da adulta, come rivela uno scatto realizzato nel 1951 a Giza, in Egitto, che la raffigura con il compagno Stanislao Lepri in occasione di un viaggio compiuto alla scoperta dei luoghi egizi densi di magia e mistero.

 

Leonor Fini a Nonza (foto di Enrico Colombotto Rosso)
Leonor Fini a Nonza (foto di Enrico Colombotto Rosso)

Ecco dunque in Corsica il palcoscenico consono all’intreccio fra antico e moderno, natura e artificio, sensualità e cerebralismo che si compiva nelle mîse en scène orchestrate dall’anticonformista pittrice e poi fermate dagli obbiettivi fotografici, tra effetti da Gran Burlesque e compiaciute citazioni arcadiche. Lei, avvolta da candide tuniche (procurate a Torino da Colombotto Rosso) o adorna di piume, ci racconta ancor oggi della sua poetica complessa, alchemicamente alimentata da quei ricchi innesti culturali che diedero linfa a lei come ad altri originali talenti del XX secolo: molti fra i surrealisti, e gli stessi italiani Clerici, Lepri e Colombotto Rosso.

 

Enrico Colombotto Rosso e Leonor Fini (foto di Hugues Roland)
Enrico Colombotto Rosso e Leonor Fini (foto di Hugues Roland)

Che, in particolare, ormai anziano, dedicava alla pittrice una sorta di dichiarazione d’amore con queste parole: “…sui cieli della Corsica la stella di Leonor Fini brillava lucente tra mare e vento, tra gabbiani reali e lame bianche che si stagliavano sulle rocce frangendosi in miriadi di luminescenze cangianti. Un teatro in cui celebrare lo spettacolo dell’esistenza, dove vivere sia di giorno sia di notte: così voleva Leonor Fini”. Nell’autunno 2025, a Torino, al Museo Carceri Le Nuove, si terranno le celebrazioni del centenario della nascita di Colombotto Rosso e la favola dell’Italian fury, come la definì Max Ernst – ancora una volta rivivrà.

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