
Focus sull’ostracismo subito negli anni ‘60 in Italia dai neonati fumetti noir, da Diabolik a Satanik e Kriminal
In ogni epoca nuove espressioni artistiche e media sono state spesso accusate di deviare i giovani: succede oggi con la trap, è successo con il rock n roll, i videogame e la tv. Nella prima metà degli anni ‘60, in Italia, questa sorte è toccata anche ai neonati fumetti noir, vittime di una ferrata inquisizione giuridica e mediatica. Fin dagli esordi, l’ispettore Ginko è stato la nemesi di Diabolik. Un rappresentante della legge che tenta di assicurare un ladro alla giustizia non ha niente di insolito, e su questo dualismo cinema e letteratura hanno costruito grandi fortune e narrazioni.
Ma negli anni ‘60, il ladro in calzamaglia creato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani – pubblicato nel novembre del 1962 – insieme ad altri fumetti meno longevi ma più cruenti quali Satanik e Kriminal, creati dalla penna di Magnus e Max Bunker, subirono un vero processo mediatico nazionale. Che trascese le pagine dei fumetti, e interessò diversi esponenti del mondo giuridico e culturale. L’Italia del dopoguerra e del miracolo economico iniziava a cambiare, e probabilmente tra i primi a coglierne i sintomi furono i fumettisti: sul mercato, ancora pregno di moralismo, si affacciarono storie noir in cui spesso serpeggiava un erotismo a volte di fondo, altre volte più manifesto.
Traviare i giovani
Quindi, giudici e censori decisero che personaggi Diabolik, Kriminal e Satanik turbassero la morale e il senso comune, e nel 1963 il terzo numero della prima serie, “L’arresto di Diabolik”, fu denunciato, e accusato di “traviare i giovani”. L’allarme scattò quando Angela Giussani, per promuovere il numero, distribuì l’albo ai ragazzi di una scuola media. La creatrice di Diabolik fu assolta, ma i guai non finirono: quel processo segnò l’inizio di una feroce campagna mediatica e giuridica nei confronti del fumetto noir nascente.
Nel 1965 la magistratura di Milano predispose il sequestro di diversi albi considerati socialmente pericolosi, e la stampa avviò una campagna denigratoria pressante: nello stesso anno, la testata giornalistica Il Giorno titolò: “I Signori del crimine rischiano la gattabuia”. Nel dibattito pubblico, anche volti della televisione e della cultura si schierarono contro i nuovi protagonisti di china. Enzo Tortora definì il nuovo genere: “sgangherati gorilla del brivido a base di sesso, violenza e balbettanti scemenze”. E nel periodico “La tribuna illustrata”, le accuse furono: “oltraggio al buon senso, offesa al buon gusto, alto tradimento”.
Antieroi
Gianni Rodari fu tra le personalità di spicco ad utilizzare toni meno incriminanti, ma affermò che il fumetto noir rappresentava “una macchia per l’editoria nazionale”. Con il passare degli anni, l’inarrestabile successo delle vendite e l’imposto bollino “fumetti per adulti” normalizzarono la situazione. E i nostri eroi “immorali” misero a segno un duro colpo alla censura e al senso comune.
Dalla pubblicazione del primo numero di Diabolik sono passati quasi 63 anni. E la società si è abituata agli antieroi, come protagonisti di una storia. Forse la rivoluzione del fumetto noir è stata questa: portare in primo piano personaggi dinamici più simili a noi umani. Le cui caratteristiche negative e positive si mescolano, rispetto a personaggi macchinosi, contraddistinti da una forte linea di demarcazione tra bene e male.