
Icarus è il titolo della prima mostra retrospettiva in Europa di Yukinori Yanagi (Fukuoka, 1959), tra gli artisti giapponesi più interessanti del panorama contemporaneo e sempre più distante dalle logiche di mercato. La mostra ripercorre la sua carriera dagli anni Novanta a oggi, con un nucleo scelto di opere riadattate ex novo nelle Navate e nel Cubo del Pirelli HangarBicocca a Milano. E nella cattedrale dell’arte postmoderna, attualità, mitologia, catastrofi naturali e individuali, globalismo e capitalismo liberale sono convergenti e aprono riflessioni su tematiche impegnate come nazionalismi, conflitti, cause ed effetti del progresso, per denunciare gli aspetti contraddittori del presente, complesso, paradossale e mai banale.

La mostra, a cura di Vicente Todolì con Fiammetta Griccioli, è dedicata a Yukinori Yanagi, artista che vive sull’isola di Momoshima in Giappone dal 2000 e tornato in Italia dopo trentadue anni dalla sua prima rassegna internazionale alla 45a Biennale di Venezia. Al Pirelli HangarBicocca ricostruisce Icarus Container 2025, il labirinto ispirato a quello sotterraneo della fuga di Dedalo e Icaro, creatura mitologica greca nota per essersi avvicinata troppo al sole e, dopo aver sciolto le ali di cera, essere precipitata nel vuoto. Il container di Yanagi comprende diversi moduli da attraversare nel buio delle Navate dell’hangar, connessi a una torre posta all’esterno dell’architettura post-industriale che permette alla luce naturale di entrare, come simbolo di speranza e rigenerazione.
Per comprendere la denuncia contro l’hybris umana sottesa alla mostra, che rimanda al mito greco di Icaro e Dedalo, occorre entrare in questo misterioso labirinto, dove piano piano l’occhio si adatta alla semioscurità e si cominciano a leggere versi incisi in bianco su pareti-specchio. I versi sono tratti dal poema Icarus, contenuto nel saggio autobiografico di Yukio Mishima (1925-1970) intitolato Sole e acciaio (1968), scrittore di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita. In questo colossale labirinto specchiante si viene risucchiati dalla luce; una volta giunti in fondo al tunnel, si ha la sensazione di librarsi nel cielo di Milano, riflesso su un grande specchio inclinato. Commenta Yanagi: «È un messaggio che mette in guardia dall’arroganza degli esseri umani, che ripongono un’eccessiva confidenza nella tecnologia». E come dargli torto, viste le catastrofi ambientali e i conflitti bellici che stanno minando l’esistenza umana?

Il sole è la forma sferica ricorrente nei suoi lavori lungo il percorso espositivo, come metafora del Sol Levante (la bandiera nipponica) e dell’energia atomica. Attraversando la mostra si comprende che il tema centrale è la fragilità e vulnerabilità umana, e la vacuità dei nostri simboli universali destinati a cambiare, come i confini, le barriere e le bandiere. Il sole infuocato è il protagonista di un video sconcertante all’interno del labirinto, un elemento centrale della mostra da vedere più che raccontare: un globo rosso, simbolo della bandiera giapponese, che l’artista dissolve tramite l’uso di specchi e superfici riflettenti, mutevoli come l’acqua e leggeri come l’aria. Attraversando questo labirinto ci si sente in bilico tra distruzione e rinascita, passato e presente, tragedia e commedia umana, movimento e permanenza, conflitto tra l’andare e il restare, dentro e fuori questa onirica e spaesante installazione.

Tra le altre opere, è impossibile dimenticare l’imponente accumulo di detriti e materiali di scarto collocato proprio all’entrata del Pirelli Hangar, a simboleggiare una metaforica discarica dell’umanità. Spiccano una barca, automobili, barili e sacchi ricolmi di sabbia. Al centro dell’installazione site-specific, Project God-zilla 2025 – The Revenant from “El Mare Pacificum” (2025), si trova una grande sfera simile a un gigantesco occhio di Godzilla, il mostro dalle sembianze di un dinosauro preistorico inventato in Giappone negli anni Cinquanta come espressione delle paure legate alle radiazioni nucleari, in un paese ancora annichilito dai bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. Alzando lo sguardo verso il grande occhio “gozilloso”, si vedono a intervalli regolari immagini d’archivio di esplosioni atomiche, tra cui quelle di Hiroshima e dei numerosi test nucleari condotti nell’Oceano Pacifico nel dopoguerra. L’opera evoca anche il disastro ambientale causato dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi nel 2011.
Il mix tra denuncia della tecnologia e fiducia cieca nel progresso continua con Banzai Container (2025), un ambiente fumettistico, luminoso e caleidoscopico allestito all’interno di un container per il trasporto merci. Sul pavimento, tra due grandi pareti specchio, sono disposti circa 1200 modellini di giocattoli di plastica rossa e argentata raffiguranti Ultraman e Ultraseven, supereroi dei cartoni animati giapponesi degli anni Sessanta che affrontavano tematiche legate agli effetti delle radiazioni atomiche, all’inquinamento ambientale e al diritto all’autodifesa. Supereroi che hanno avuto un forte impatto culturale e visivo sulle generazioni successive.
Yanagi, attraverso le sue opere, si addentra nella storia giapponese aprendosi a tematiche universali, perché siamo tutti interconnessi in questa umanità dolente, non priva di bellezza, anche se bisogna saperla trovare tra una catastrofe e una speranza di resurrezione. Dal 1988 al 1990 ha studiato alla Yale University, allievo di Vito Acconci e Frank Gehry, vivendo esperienze artistiche concettuali. Dal 2000 vive e lavora in Giappone, sull’isola di Momoshima.


Tralasciando la descrizione delle altre importanti opere site-specific in mostra, connesse all’intreccio tra storia del Giappone e capitalismo globale, Yanagi, sempre predisposto al cambiamento e alla riflessione critica e filosofica sul concetto di confine, si spinge oltre con il celebre lavoro The World Flag Frame 2025, vincitore del Premio Aperto ‘93 durante la 45a Biennale di Venezia. L’opera, collocata nel Cubo a chiusura del percorso espositivo, è composta da duecento bandiere realizzate con sabbia colorata raccolta in scatole di plexiglas, rappresentanti i 193 Stati riconosciuti dalle Nazioni Unite, più sette stati non ufficialmente riconosciuti, come Taiwan, Tibet e Palestina. Avvicinandosi si osserva che le scatole sono collegate da tubi di plastica, all’interno dei quali transitano migliaia di formiche che trasportano i granelli di sabbia, dissolvendo progressivamente i confini e i disegni delle bandiere, simboli delle identità nazionali.
L’artificialità dei confini, intesi come convenzione umana, è il messaggio dell’opera, che invita a meditare su dinamiche più complesse legate alla globalizzazione, ai fenomeni migratori e alla circolazione delle merci. Come ha dichiarato l’artista: «Le formiche non conoscono confini nazionali». A questo punto la domanda è: ma cos’è una bandiera e perché si muore per un lembo di tessuto considerato simbolo di appartenenza e orgoglio nazionale, generatore di conflitti e fratricidi? Quale identità abbiamo al di fuori della grande famiglia umana? Ai posteri l’ardua sentenza. E come ci ha ricordato Papa Francesco, scomparso lunedì dell’Angelo: «L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza».














