
La grande personale Esodo Pratelli. Dal futurismo al “Novecento” e oltre a cura di Elena Pontiggia al CMC – Centro Culturale di Milano illustra, con un corpus di oltre 50 opere, il percorso creativo di Esodo Pratelli (1892 – 1983), protagonista delle avanguardie artistiche del Novecento.
La mostra offre un grande viaggio nel mondo di Pratelli tra simbolismo, futurismo e Novecento attraverso le opere più rilevanti del suo percorso creativo, di cui si ammirano le diverse fasi artistiche con numerosi dipinti a olio, acquerelli, lavori a tempera e a carboncino su carta, fino agli arazzi e alle maioliche policrome. Sono presenti anche interessanti testimonianze tra cui documenti e fotografie inerenti alla sua attività artistica e cinematografica, che lo ritraggono al lavoro e in compagnia di importanti personalità, cui era legato da forti rapporti professionali e personali.
Come afferma Elena Pontiggia, l’artista possiede una particolare intimità dello sguardo, capace di trasformare ogni soggetto in una narrazione affettuosa e poetica. Una sua peculiarità è la costante presenza dell’elemento naturale sia nelle scene di vita quotidiana da lui molto amate, sia nell’ambientazione delle nature morte, sia in episodi dove la presenza vegetale è inusuale fino a diventare protagonista sorprendente.

Nel corso degli anni si avvicina a diverse correnti senza mai perdere le proprie caratteristiche essenziali, nato a Lugo (Ravenna) vive tra Roma e Milano con un’estesa permanenza a Parigi, dove frequenta artisti affermati come Severini, Boccioni, Delaunay, Gris e Glaizes.
Dopo aver dimostrato da subito un grande talento artistico, Pratelli vince una borsa di studio, frequenta la Scuola d’Arte di via Ripetta a Roma e l’Accademia di Francia a Villa Medici.
Il suo soggetto prediletto è soprattutto la campagna romana e un suo Paesaggio è accettato nel 1910 alla 80a Esposizione internazionale a Palazzo delle Esposizioni.
Inizia ad esprimersi dal 1911 anche con la ceramica e con la realizzazione di maioliche policrome dai temi simbolisti, talvolta alternati a deliziosi motivi liberty. Già adesso, nel periodo giovanile, conosce alcune personalità di spicco, quali ad esempio Carrà e Marinetti.

Dal 1913 aderisce al futurismo per svariati fattori ed esperienze di vita tra cui la forte influenza del cugino a lui molto caro Francesco Balilla Pratella, esponente del futurismo musicale e autore dell’opera lirica L’Aviatore Dro rappresentata per la prima volta nel 1920 sul palco del Teatro Rossini di Lugo. Per lo spettacolo, già nel 1913, Esodo Pratelli realizza la scenografia, perfetta sintesi della sua svolta verso il futurismo di cui in mostra sono conservati numerosi bozzetti testimoni del passaggio da una “sensualità estetizzante”, come descrive Elena Pontiggia, a quello che Marinetti, entusiasta, definisce “un magnifico scenario futurista, di acque, montagne e rocce”.
La nota che lo differenzia dagli amici futuristi è la ricerca di una modernità più sottile, fatta di luce, atmosfera e costruzione dello spazio, più che di rumore, dinamicità ed esaltazione della macchina.
Pratelli lascia la Ville Lumière nel 1914 con l’entrata in guerra della Francia e, tornato in Italia, viene chiamato alle armi. Nel breve soggiorno italiano prima della partenza, rientra a Lugo e realizza alcune tele di stampo ancora futurista, molte raffiguranti paesaggi innevati come la tempera Case sotto la neve (1914), oltre ad alcune maioliche.

Al suo ritorno nel 1919 si stabilisce a Milano, si allontana gradualmente dal futurismo per vivere un momento di fitto dialogo con il simbolismo – ben rappresentato da opere come Serenità del 1920 – e con l’orfismo, riscontrabile nei suoi incantevoli arazzi presenti in mostra. La sua arte ormai volge verso una maggiore plasticità, la costruzione rigorosa delle forme e la ricerca di maggiore solidità volumetrica, ed evolve fino ad accostarsi ai canoni del movimento del Novecento, di cui frequenta i maggiori rappresentanti, tra questi Mario Sironi, Ardengo Soffici e Achille Funi.
Nel capoluogo lombardo partecipa a diverse mostre, tra cui svariate al Museo della Permanente come la “I Mostra del Novecento italiano” nel 1926 e la Biennale di Brera nel 1927, mentre il 1933 lo vede realizzare con successo un affresco – nella Galleria della pittura murale ideata da Sironi – alla V Triennale di Milano. Conduce una vita molto attiva, diviene una personalità di spicco, ricopre il ruolo di segretario del Sindacato Fascista Belle Arti di Milano prima e della Lombardia poi (1927 – 1932), dedicandosi soprattutto alla promozione e valorizzazione degli artisti meno noti, dirige la Scuola d’Arte applicata del Castello Sforzesco di cui è docente.

Prende parte a numerose esposizioni in Italia e all’estero, nel 1928 partecipa per la prima volta alla XVI Biennale di Venezia e nuovamente nel 1930; nel 1931 è presente alla “I Quadriennale di Roma”; torna a esporre alla Biennale di Venezia nel ’32 e nel ’34.
In Europa si ricordano le mostre a Zurigo, Lipsia, Madrid, Nizza, Barcellona, Amburgo, Monaco, Amsterdam. Tra i soggetti prediletti delle sue tele rientrano scene quotidiane e paesaggi, ma anche visioni urbane e cantieri mai manchevoli della leggerezza e della ricerca di verticalità insite nel suo linguaggio espressivo come Ciminiere del 1924.
Con l’amico Mario Sironi condivide l’interesse per una pittura solida e monumentale, il loro rapporto, testimoniato anche dal Ritratto di Sironi (1928) è significativo, mentre Sironi esprime una visione austera e urbana, spesso impregnata di dramma e potenza, Pratelli continua a mantenere una sensibilità più lirica, intima, una visione luminosa, dalle forme leggere, in cui la natura gioca un ruolo centrale, in particolare in mostra si osserva l’olio La strada bianca del 1928. Negli anni Trenta, la sua arte ritrae soprattutto paesaggi senza tempo e scene dalle precise strutture geometriche, tendenze ben rappresentate dall’opera Estate del 1930, una scena di vita all’aperto in cui la natura è parte integrante della composizione e le pennellate leggere costruiscono una sensazione di armonia nel tenue contrasto tra l’immobilità del primo piano e la dinamicità dello sfondo.

È il 1935 quando Esodo Pratelli lascia Milano per Roma, città dove si dedica con grande successo esclusivamente al cinema, in veste di sceneggiatore e regista, fino al 1945. In seguito, riprende l’attività di artista con la scelta di temi a lui cari, caratterizzati da una crescente semplificazione del superfluo, come nel caso della tela dall’evocativo titolo La scatola delle cose dimenticate del 1967.
Attualmente importanti opere dell’artista sono custodite in musei nazionali e internazionali, gallerie e collezioni pubbliche e private.
La retrospettiva al Centro Culturale di Milano offre quindi l’occasione di conoscere, tramite opere rappresentative del suo percorso, diverse sfumature di un artista eclettico, ma coerente, che ha attraversato le avanguardie del Novecento restando sempre fedele al suo personale stile pittorico, capace di sussurrare storie di affetti e di vita.
Aperta fino al 13 maggio, la mostra è accompagnata da un’accurata monografia di Elena Pontiggia edita da Silvana Editoriale, ad oggi la più completa sull’artista.
Informazioni utili
Esodo Pratelli. Dal futurismo al “Novecento” e oltre
A cura di Elena Pontiggia
Fino al 13 maggio 2025
Centro Culturale di Milano
Sala Espositiva CMC Largo Corsia dei Servi, 4 – Milano
Orari
da lunedì a venerdì ore 10.00/13.00 – 14.30/18.00
sabato e domenica ore 15.00/19.00
Tel. 02.86455162
Per Visite guidate: segreteria@cmc.milano.it
Ingresso libero