
Un racconto per immagini del debutto a New York del gallerista Tommaso Calabro, con due mostre dedicate ad Harold Stevenson e Aldo Sergio
“Penso che dare maggiore visibilità ai progetti che faccio, che spesso ho fatto anche in fiera in maniera molto curata e molto attenta, sia più significativo per la galleria”. Avevano fatto molto parlare, le parole rilasciate da Tommaso Calabro ad ArtsLife, nelle more dell’annuncio del suo debutto a New York. Una “scelta di campo” carica di significati culturali, oltre che pratici. Che ora compie il suo primo passo concreto: con l’inaugurazione, nei giorni scorsi, del progetto espositivo che unisce due artisti di epoche e linguaggi diversi: Harold Stevenson e Aldo Sergio. Due mostre che riflettono sul corpo, sull’oggetto e sull’intimità, ma con approcci radicalmente differenti.

La prima è dedicata a Harold Stevenson (1929–2018), figura chiave dell’avanguardia americana del dopoguerra. Dopo la retrospettiva veneziana del 2024, Calabro propone una nuova selezione di opere realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Al centro della mostra, curata da Filippo Bisagni, spicca Altar of Peace (1972), presentata per la prima volta nel 1973 alla Alexander Iolas Gallery. La pittura di Stevenson, nota per i nudi maschili monumentali e le rappresentazioni ingrandite di parti del corpo, rompe le convenzioni e apre riflessioni ancora attuali su identità, desiderio e rappresentazione.

Ad affiancarla c’è la prima personale americana di Aldo Sergio (Salerno, 1982), intitolata American Prayers. La mostra raccoglie opere della sua serie Prayers, in corso dal 2018, dove oggetti inanimati – spesso ispirati a simboli pop o souvenir – vengono ritratti con estrema cura e dettaglio, trasformandosi in amuleti del quotidiano. Per il debutto statunitense, l’artista introduce nuove iconografie ispirate al suo viaggio in America, mescolando cliché culturali e profondità simbolica. Qui una galleria di immagini…